Ep. 01

Ugo Forno, 12 anni, è stato l’ultimo martire della Resistenza Romana.

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Resistenza bambina

Sono oltre 1500 i bambini e le bambine vittime di stragi e rappresaglie durante la Seconda Guerra Mondiale in Italia.

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Al folle coraggio di questo ragazzino, agli spari ingenui del suo fucile contro i soldati nazisti, alla sua morte guardiamo come all’esempio di chi non volle far finta di non vedere.

L’anno scolastico 1943/1944 a Roma si concluse a metà maggio.

In meno di dodici mesi la città era stata bombardata 50 volte: la prima, il 19 luglio 1943, 591 bombardieri americani avevano quasi raso al suolo il quartiere San Lorenzo, alle spalle della stazione Termini, e il Tiburtino, dietro la stazione Tiburtina. Ancora oggi San Lorenzo porta i segni, piuttosto evidenti, della deturpazione delle bombe: nel luglio del 1943 più di 4000 bombe, 1000 tonnellate di esplosivo, sono piovute sulla Città Eterna. La contraerea fascista, ai comandi del Generale di armata aerea Rino Corso Fougier, rispondeva alla tecnologia bellica americana con pezzi d’artiglieria del 1917.

Bilancio finale: 9 aerei americani abbattuti. 3000 morti civili, 11000 feriti.

La sera del 19 luglio Papa Pio XII visitò piazzale del Verano per benedire i bombardati che, poco dopo, presero a sassate l’auto di Re Vittorio Emanuele II. Benito Mussolini invece non si fece vedere, salvo una veloce visita ai feriti organizzata più di una settimana dopo. A poco più di una settimana da quel bombardamento il fascismo cadde: il 27 luglio il generale Pietro Badoglio fu nominato primo ministro, il 5 agosto soppresse la Camera dei Fasci e delle Corporazioni e, il 14 agosto 1943, dichiarò Roma “città aperta”.

Ma il peggio doveva ancora cominciare.

Forno Ugo, nato a Roma il 27 aprile 1932, religione cattolica, razza ariana, esonerato dal pagamento delle tasse scolastiche perché figlio di invalido. Promosso alla III classe. Dotato di intelligenza vivace e pronta, pieno di amor proprio, ha saputo conseguire un brillante risultato. Profilo: vivace, intelligente, viene a scuola con entusiasmo. È felice se può dimostrare che sa. Pieno di buona volontà, un po’ troppo irrequieto ma buono e generoso.
Registro di classe della IIB, Scuola Media Luigi Settembrini, via Sebenico. Roma, quartiere Trieste

Si chiamava Ugo Forno e quando è morto il 5 giugno del 1944 aveva compiuto da poco 12 anni. In casa e tra gli amici era soprannominato Ughetto, era uno scolaro di seconda media ed abitava al piano ammezzato del civico 15 di via Nemorense, quartiere Salario, Roma. Primo dei due figli di Enea e Maria Vittoria, Ughetto era gracile e vivace, capelli scuri, occhi profondi.

Il 3 settembre 1943, quando l’anno scolastico stava per iniziare, Ughetto Forno cominciava la seconda media e l’Italia si apprestava a proclamare la resa incondizionata agli Alleati con l’Armistizio di Cassibile. Alle 19:42 dell’8 settembre l’EIAR trasmetteva la voce di Badoglio che annunciava l’armistizio. Quattro giorni dopo, l’11 settembre, le SS occupavano Roma mentre il Re e il governo fuggivano a Brindisi.

Quell’anno scolastico una cinquantina di bombardamenti degli Alleati martellarono la città occupata dai nazisti: quartiere Tiburtino e Tiburtino scalo, San Lorenzo, piazza Bologna, Garbatella, rione Nomentano, quartiere Italia e verso nord-ovest, fino alle borgate di Val Melaina e Montesacro. Tutte le stazioni della città furono bombardate in modo massiccio. Migliaia furono i morti.

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La città che soffre. La città che resiste.

Il 22 gennaio 1944 gli americani sbarcarono ad Anzio puntando alla linea Gustav verso Cassino, Frosinone, ma restando inchiodati per mesi sul litorale. Il 12 febbraio 1944 i quartieri Esquilino e San Giovanni in Laterano furono bombardati e il comando tedesco ordinò l’anticipo del coprifuoco alle ore 19. La città che soffre. La mattina dell’8 marzo 1944 la studentessa partigiana Carla Capponi dei Gruppi di Azione Patriottica (GAP) lanciò quattro bombe a mano contro un’autocisterna della Wermacht in via Claudia, a due passi dal Colosseo. Tre militari tedeschi morirono nell’esplosione, il mezzo brucerà fino a consumarsi. La città che resiste.

Il pomeriggio del 10 marzo 1944, dopo un attacco dei GAP ad un corteo di fascisti quella stessa mattina, il comando tedesco decise di proibire ogni manifestazione all’aperto, anche ai fascisti. Piazza Bologna fu nuovamente bombardata. Il 23 marzo 1944 è una giornata di sole senza nuvole. Alle 15:52 i GAP fecero esplodere un’ordigno rudimentale in via Rasella, rione Trevi, centro di Roma, proprio di fronte a palazzo Tittoni. 33 soldati tedeschi dell’11esima Compagnia del III Battaglione Polizeiregiment Bozen e due civili italiani morirono nell’esplosione, altri quattro civili furono colpiti dal fuoco di reazione del Battaglione. Il giorno dopo, il 24 marzo, 335 prigionieri civili e militari italiani furono uccisi alle Fosse Ardeatine dalla rappresaglia tedesca. Tra loro Alberto Marchesi, gestore di un’osteria in via della Scrofa: era stato arrestato nel suo locale due settimane prima perché partecipante alla Resistenza, Maurizio Giglio, tenente della polizia torturato dal 17 marzo a Regina Coeli, Enrico Ferola, fabbro di via della Pelliccia fornitore ufficiale di chiodi per i sabotaggi, Gioacchino Gesmundo, professore di lettere e comunista. Il 25 marzo 1944 i giornali pubblicarono il comunicato del comando tedesco che annunciava l’eccidio, comunicando i nomi degli uccisi ma non il luogo dove rinvenire i cadaveri. La razione giornaliera di pane acquistabile fu ridotta da 150 a 100 grammi.

Pochi giorni dopo, il 1 aprile 1944, alcune donne esasperate dalla diminuzione delle razioni di pane inscenarono una protesta davanti a un forno in via Tosti, quartiere Appio. Il 6 aprile un camion scortato da camicie nere e trasportante un carico di pane venne assaltato da gente affamata a Borgo Pio, a due passi dal Vaticano. Il 7 aprile donne, anziani e ragazzini assaltarono il forno Tesci, che riforniva i militari tedeschi nei pressi del Ponte di Ferro, quartiere Portuense. SS e fascisti caricarono la folla, presero dieci donne e le fucilarono con armi automatiche contro la spalletta del ponte. Il 17 aprile, alle 4 del mattino, iniziò l’Operazione Balena voluta da Albert Kappler nel Quadraro. Duemila persone furono rastrellate e portate a Cinecittà. 744 di loro, tra i 16 e i 55 anni, furono deportate in Germania. Gli altri finirono in carcere.

Il 1 maggio 1944 su molti edifici vennero issate bandiere rosse. Il 25 maggio, dopo aver sfondato la linea Gustav con le truppe di fanteria, gli aerei alleati martellarono diverse zone della città: quasi tutte le consolari furono colpite, Roma era quasi isolata dal mondo. Il 27 maggio gli Alleati liberarono Aprilia mentre i bombardieri facevano piovere bombe sulle consolari.

«Elefante». Con questa parola Radio Londra, il 2 giugno 1944, indicò alla Resistenza romana che era cominciato l’attacco finale per liberare la capitale. All’alba del 4 giugno i soldati canadesi e i partigiani di Bandiera Rossa entrarono a Roma dalla via Casilina mentre le SS in fuga abbandonavano i mezzi in avaria carichi di prigionieri, fucilandone a decine lungo il tragitto. Il giorno dopo il generale Roberto Bencivenga, rifugiatosi in Vaticano con alcuni componenti del Comitato di Liberazione Nazionale, si insediò in Campidoglio come comandante militare e civile di Roma. Re Vittorio nominò il figlio Umberto luogotenente del Regno e Badoglio gli presentò le dimissioni. Roma era stata liberata.

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Ughetto

Chissà dove le ha trovate, Ugo Forno, quelle due pistole lanciarazzi e tutte quelle munizioni. Il 5 giugno la scuola era già finita ma lui uscì di casa presto, la madre Maria Vittoria gli raccomandò di tornare per pranzo. A piazza Vescovio un gruppetto di persone discuteva animatamente: i guastatori tedeschi, in fondo alla colonna che sta abbandonando Roma lungo la via Salaria, stavano minando un ponte ferroviario a un chilometro di distanza da loro. Dove erano i partigiani? Dove erano gli americani? Arrivano, arrivano tutti.

Le truppe alleate si erano attestate sull’arco da nord-ovest a nord-est, dalla via Aurelia al vallo del Tevere fino all’Aniene, ponte Mammolo e alla via Casilina. Su via Salaria, a due passi da casa di Ugo Forno, quella mattina i primi ufficiali alleati visitavano Villa Savoia, oggi Villa Ada.

I resoconti della First Special Service Force, il reparto d’elite sotto il comando della V Armata statunitense, parlano di durissimi scontri tra alleati e partigiani contro i nazisti a Porta Furba, Centocelle, Acqua Bullicante e largo Preneste, prima di arrivare a Porta Maggiore ed entrare in città. Una battaglia durata tutta la giornata precedente, 4 giugno, dalla mattina al tramonto. Dopo i violenti scontri contro i tedeschi, gli americani stavano entrando in quel momento da Porta Maggiore. Era questione di ore e i tedeschi lo sapevano bene. La Wermacht si ritirava verso nord, verso Rieti e Viterbo, cercando di fare terra bruciata, rallentare gli Alleati, fiaccare la Resistenza.

Un’ora dopo Ugo fu avvistato da un uomo mentre entrava in una casa colonica su un prato a vicolo del Pino. Dietro, altri cinque giovanotti, tutti più grandi di lui. Questa volta Ugo indossava una bandoliera e aveva un mitra a tracolla. Cesare De Simone, in Roma città prigioniera, scrive che i ragazzi si avvicinarono a un gruppo di contadini e che fu Ugo a parlare: «I tedeschi stanno attaccando le mine al ponte sull’Aniene, lo vogliono demolire. Noi andiamo a salvarlo, ci devono passare gli americani. Avete delle armi? Venite con me». Con me. I contadini e i braccianti, sei persone, si alzarono e tirarono fuori dalla cantina le armi, poi uscirono tutti per dirigersi al ponte di ferro sull’Aniene, a nemmeno un chilometro di distanza. I guastatori tedeschi, una decina di militari, erano lì a lavorare, piazzando i candelotti di dinamite, e l’effetto sorpresa ha fatto da preludio allo scontro a fuoco. Era mezzogiorno.

I tedeschi mollarono tutto e batterono in ritirata, usando un mortaio per coprirsi le spalle. Tre colpi fatali. Il contadino Francesco Guidi fu gravemente ferito e morì poco dopo, il bracciante Luciano Curzi si ritrovò una gamba straziata dalle schegge e il bracciante Sandro Fornari perdette di netto un braccio; le schegge del terzo colpo colpirono Ugo al petto e alla testa mentre sparava un colpo di mitra nascosto in una capanna. I militari tedeschi in fuga raggiunsero allora la Salaria, salirono a bordo della camionetta che li aspettava e partirono verso nord. Gli ultimi tedeschi ad abbandonare Roma.

Il ponte era intatto. È ancora intatto oggi e porta il nome di Ugo, 12 anni, l’ultimo romano a cadere nella Resistenza.

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