La difesa dell’informazione non si fa senza soldi
C’è uno specifico frammento del lavoro giornalistico che è particolarmente costoso: la responsabilità di ciò di cui si scrive.
Danneggia contenuti e creator, favorisce chi sa sfruttare le tendenze
«Wow! Hai aumentato la tua visibilità per 100 giorni di seguito. Continua a crescere!»
Mi ha scritto così, Facebook, tra le notifiche dell’applicazione che ho sullo smartphone.
Facendo tap sulla lusinghiera (?) notifica si scopre cosa intendono, in Facebook, con questo.
«Grazie ai post di qualità», spiega la nota esplicativa, «e alle interazioni giornaliere con il tuo pubblico hai aumentato la tua visibilità per 100 giorni».
Ecco qui la spiegazione ufficiale gentilmente offerta da Facebook, che, in tre punti, mostra sia le modalità con cui ottenere questo “aumento della visibilità” sia le sue conseguenze:
Ma c’è un contraltare, che è, appunto, la trappola della visibilità.
Mettiamo che ad un certo punto tu ottenga un aumento della tua visibilità perché parli di qualcosa di cui stanno parlando moltissime altre persone. Per caso, o per scelta, o perché hai una grande esperienza sul tema, hai imbroccato un trend. Le cose che dici girano molto, ti commentano, Facebook ti manda le notifiche con i complimenti, è tutto bellissimo (certo, poi dovremmo capire se hai anche un progetto sensato per convertire questa visibilità. Ma diciamo che ce l’hai, ok? Diciamo che abbiamo superato la fase in cui “ti paghiamo in visibilità”).
Che succede quando il trend che hai imbroccato scivola via per lasciar spazio a qualcosa d’altro?
Puoi fare delle scelte, naturalmente.
Puoi parlare solo delle cose che conosci, che studi, che pratichi, con le quali ti sporchi le mani. Ma, orrore, questo potrebbe non farti crescere in visibilità. Potrebbe non farti parlare di cose nuove.
Se non parli di cose “nuove”, potresti essere consideratə obsoletə.
«Crea post su eventi attuali», ti dice la macchina.
«Jenkins non ha più scritto nulla di rilevante dal 2013», mi è stato detto in una conversazione (Henry Jenkins ha scritto due pietre miliari dell’analisi dei media: Cultura convergente e Spreadable Media, purtroppo difficilmente reperibili se non nel circuito bibliotecario). Un po’ come se ad un certo punto qualcuno ti dicesse Gottfried Wilhelm von Leibniz non ha più scritto nulla di rilevante dal 1716.
Eppure lo vedrai da te: la fame di nuovi contenuti, di novità, di opinioni sul fatto del momento è ovunque.
In buona sostanza, se passi molto tempo su Facebook pubblicando contenuti che “girano” e se rispondi ai commenti su questi contenuti, la tua visibilità da creator aumenta. Questo aumento della visibilità viene accertato (algoritmicamente), allora quello che pubblichi su Facebook verrà diffuso un po’ di più (o, se vuoi vederla diversamente, bloccato un po’ meno).
Il meccanismo è ben noto, da tempo, a chiunque abbia provato a far crescere presenze digitali con metodi più o meno organici e consoni. È così che, fatte salve le differenze, funzionano le piattaforme social. D’altra parte, è così che funziona qualsiasi progetto che coinvolga persone che creano contenuti (foto, video, testo, ma anche questa newsletter, per esempio) e altre persone a cui interessano quei contenuti.
La nota informativa di Facebook prosegue così. «Non perdere tempo. Prova alcuni di questi suggerimenti»:
La combinazione tra i suggerimenti della macchina e le persone che vogliono “qualcosa di nuovo” diventa, paradossalmente, contro i creator e contro il contenuto.
Potremmo dire che la visibilità è una macchina sociale che favorisce chi sa cavalcare una tendenza (c’è anche un termine tecnico per definire queste persone: trend exploiter), anche a scapito delle reali competenze relativamente a quella tendenza.
È una macchina favore dell’apparenza, del contenitore.
Difficilmente lo è del contenuto o di chi lo crea.
Abbiamo generato l’immagine che illustra questo articolo con un’AI generativa.
Se ti piacciono i nostri contenuti, puoi aiutarci a farli girare. Ma non basta: la visibilità è un meccanismo perverso e funziona soprattutto se cedi alla vendita di spazi pubblicitari. Su Slow News non lo facciamo: qui non troverai mai un banner. Per questo abbiamo bisogno di te.
C’è uno specifico frammento del lavoro giornalistico che è particolarmente costoso: la responsabilità di ciò di cui si scrive.
Quelli di chi non ha voce, di chi ha meno, della cittadinanza tutta, delle persone.