In Italia molto spesso si scambia il giornalismo giudiziario con il giornalismo d’inchiesta, come se il giornalismo d’inchiesta fosse il giornalismo che segue le inchieste fatte della magistratura e non quelle fatte dai giornalisti. In più è sempre più raro trovare inchieste, non solo in video, condotte per lunghi periodi di tempo e da più di un giornalista.
Questo tipo di approccio ha disabituato anche i fruitori dei contenuti ad avere a che fare con il giornalismo investigativo e i prodotti di Backstair finiscono per apparire come delle anomalie nel panorama mediatico italiano, tanto più perché realizzati da un giornale online.
Questo essere un po’ anomali, unito al fatto che molti dei nostri lavori hanno fatto esplodere dei polveroni, ha portato qualcuno a poter insinuare che, come per tanti misteri italiani, anche dietro le nostre inchieste ci potesse essere la “manina dei servizi”. Tra l’altro questa non è neanche l’accusa più grave che ci è stata rivolta in questi anni, anche da esimi colleghi che magari lavorano per delle testate che realmente hanno avuto giornalisti al soldo dei servizi segreti.
Basterebbe guardare al lavoro che si fa all’estero, come per esempio quello di Al Jazeera Investigation, per capire, invece, che il giornalismo investigativo sotto copertura è possibile, che ha un grande potenziale, ma che richiede un notevole investimento di tempo e di risorse, che però molti editori non vogliono o non riescono a mettere sul piatto».