Siamo tutt* Antifa?

Trump ha firmato un ordine esecutivo che designa Antifa come organizzazione terroristica interna negli USA ed è un pericolo enorme.

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Siamo tutt* Antifa?

Trump ha firmato un ordine esecutivo con lo scopo di designare Antifa come organizzazione terroristica interna negli Stati Uniti. Nell’ordine esecutivo, Antifa viene definita “enterprise”, un’organizzazione militante anarchica che, secondo Trump, invoca esplicitamente il rovesciamento del governo degli Stati Uniti, delle forze dell’ordine e del sistema legale. Sempre secondo l’ordine, Antifa usa mezzi illegali per organizzare e attuare una campagna di violenza e terrorismo su scala nazionale: scontri armati con la polizia, rivolte, aggressioni, minacce e la divulgazione di informazioni private contro figure politiche e attivisti. L’ordine sostiene inoltre che Antifa recluta, addestra e radicalizza giovani americani per partecipare a queste azioni.

Alla luce di tutto questo, Trump chiede che tutti i dipartimenti federali usino tutto ciò che è in loro potere per investigare, contrastare e smantellare le operazioni illegali legate ad Antifa, fino al perseguimento penale.

Ovviamente ci sono alcune cose da sapere che complicano la situazione. Negli Stati Uniti, Antifa è un termine ombrello: non ha una struttura centrale, non ha leader riconosciuti, non esiste un quartier generale né un’entità unica con confini chiari. È più un’ideologia, un movimento, una rete di gruppi autorganizzati. Questo è vero anche fuori dagli Stati Uniti. Inoltre, la storia degli Antifa in America è recente: uno dei primi gruppi noti, Rose City Antifa, nasce a Portland nel 2007. Si tratta di un movimento che però affonda le proprie radici in Europa già negli anni Venti, quindi con oltre un secolo di storia.

Negli Stati Uniti, Antifa protesta in modo visibile contro l’elezione di Trump a presidente nel 2016. Come si riconosce, se non è un’organizzazione? Attraverso il simbolo: bandiere e striscioni con una bandiera rossa e una nera dentro un cerchio, disposte diversamente a seconda dell’orientamento prevalente. La rossa rappresenta il socialismo, la nera l’anarchismo. Questo simbolo è l’elemento di riconoscimento, non una struttura centralizzata con gerarchie.

Poi, negli Stati Uniti la legge federale prevede designazioni formali solo per le organizzazioni terroristiche straniere. Trump, invece, definisce Antifa un’organizzazione terroristica domestica. Quale legge verrà usata, quindi, per perseguire un’entità che non esiste come soggetto unitario?

Si apre anche un tema centrale: il Primo Emendamento, che tutela la libertà di espressione, il diritto d’assemblea e di opposizione politica. Se si designa come organizzazione terroristica un’ideologia, si rischia di mettere al bando quell’idea stessa. Molti commentatori sostengono che l’ordine sia più un segnale politico che una novità legale. Ma resta la domanda: se mi dichiaro antifascista, sono automaticamente un terrorista? E come mai quelli che fino a poco tempo fa dicevano che non si può più dire niente oggi, invece, vogliono semplicemente silenziare tutto ciò che non gli piace? 

Non è chiaro, inoltre, come verranno applicati concretamente i poteri delle forze dell’ordine: su quali basi legali, con quali strumenti, quali accuse, quali prove, quale ruolo avranno procuratori e tribunali federali. Quello che appare certo è un ulteriore passo in una polarizzazione politica estrema. Chi si lamentava di non poter più “dire niente”, ora sembra voler impedire che venga detto o fatto ciò che non piace. Assistiamo a richieste di soppressione di trasmissioni televisive sgradite, di revoca di licenze a emittenti non gradite: tentativi di silenziare l’avversario politico trasformandolo in un nemico da eliminare.

Il fatto che Trump abbia firmato questo ordine per definire Antifa come organizzazione terroristica è un enorme problema. È vero che riguarda solo gli Stati Uniti e che il contesto europeo è diverso, ma il dibattito è già arrivato anche al Parlamento europeo: l’Ungheria, ad esempio, ha manifestato interesse a seguire la stessa strada. Per non rimanere intrappolati nell’ennesima “notizia istant”, serve prospettiva storica.

Antifa è un termine generico, abbreviazione di “antifascista”. Non è un’organizzazione centralizzata nemmeno in Europa: è un insieme di gruppi locali, reti informali e singoli attivisti che si richiamano all’antifascismo, spesso con venature anticapitaliste o anarchiche, ma senza un programma unitario. Chi si riconosce sotto il marchio Antifa dichiara di voler contrastare estrema destra, neonazisti e suprematisti bianchi, talvolta con metodi diretti, fino ad azioni violente. Ma non esistono documenti ufficiali che proclamino l’abbattimento degli Stati come obiettivo dichiarato.

Anche le fonti ufficiali americane lo confermano: i rapporti dell’FBI individuano attori violenti, ma non definiscono Antifa come organizzazione strutturata con piani di rovesciamento dello Stato. Lo stesso direttore dell’FBI ha spiegato che Antifa è un’ideologia, non un’organizzazione. L’FBI ha indagato su individui o gruppi che si richiamano ad Antifa per atti violenti, ma questo non equivale a dire che esista un’entità capace di orchestrare rivoluzioni.

Per capire il contesto, bisogna tornare alla storia: l’antifascismo militante nasce in Italia nel 1921, con gli Arditi del Popolo, fondati da un ex tenente anarchico. Operai, reduci, anarchici, comunisti, socialisti e persino ex dannunziani si organizzarono in unità paramilitari per difendere libertà e comunità dalla violenza delle camicie nere. Ebbero anche un simbolo, una scure che abbatte il fascio littorio. Nonostante alcuni successi — come la difesa di Parma nel 1922 — furono osteggiati dai partiti e sciolti nel 1925.

Molti ex Arditi del Popolo combatterono poi in Spagna contro Franco o nella Resistenza. Anche in Germania sorsero movimenti simili, come il Fronte Rosso, braccio armato del partito comunista, con il simbolo del pugno chiuso. Insomma, non erano tempi pacifici: le piazze erano veri e propri campi di battaglia, e il fascismo prendeva piede.

Dopo la Seconda guerra mondiale, i fantasmi del fascismo riaffiorarono e l’antifascismo divenne una pratica quotidiana di scontro, di controinformazione e di mobilitazione contro i gruppi neofascisti. Negli anni Ottanta, in Germania, fu la scena punk e dei movimenti autonomi a rilanciare il simbolo Antifa, oggi diffuso in Europa: reti autonome senza leader, unite dall’opposizione al neonazismo, al razzismo e alla xenofobia.

Interessante notare che esistono movimenti Antifa anche in Israele, contemporaneamente contrari all’antisemitismo e antisionisti, favorevoli alla cooperazione arabo-israeliana. La versione americana, invece, è ancora più decentralizzata e ha un precursore nella rete antirazzista “Antiracist Action”, attiva già negli anni Ottanta.

Alcune tattiche sono comuni: contro-manifestazioni per contrastare raduni dell’estrema destra, doxing e altre pratiche controverse. All’interno del movimento stesso ci sono forti critiche, ad esempio verso il black bloc, che non è un’organizzazione ma una tattica nata negli anni Ottanta e usata in diversi contesti, spesso associata a proteste violente. Non si tratta sempre di infiltrati o facinorosi: in alcuni casi la scelta della violenza viene giustificata come risposta a situazioni percepite come estreme, come un genocidio o un’oppressione sistemica.

Rimettere in prospettiva storica questi temi è fondamentale per andare oltre la narrazione semplicistica delle dichiarazioni trumpiane, che funzionano spesso come armi di distrazione di massa. Serve recuperare la complessità della storia e delle ideologie.

[Questo articolo è una trascrizione del podcast, è fatta con uno strumento di trascrizione automatica. Può contenere errori]

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