Ep. 04

Il mercato globale del petrolio vale, ogni anno, 1,7 trilioni di dollari e quello dei prodotti petroliferi è il più grande mercato nero esistente al mondo.

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133 miliardi di dollari l’anno. Secondo la società di consulenza Ernst&Young questo è il valore globale del mercato nero di prodotti petroliferi, una cifra che può addirittura essere sottostimata a causa della corruzione e dell’omertà delle fonti. I cinque principali paesi protagonisti del traffico illecito di carburanti sono anche tra i principali produttori al mondo: Nigeria, Messico, Iraq, Russia e Indonesia. In aggiunta a tutto questo il mercato nero dei prodotti petroliferi è anche quello più pericoloso di tutti, molto più del mercato nero della droga o delle armi.

Il 24 ottobre 2018 7 persone sono state arrestate dalla Guardia di Finanza di Taranto nell’ambito di un’inchiesta della procura locale contro il traffico illecito di prodotti petroliferi: 89 indagati in tutto, 59 milioni di euro di beni e prodotti sequestrati, 81,5 milioni di litri di gasolio agricolo contestati dalla procura, provenienti da depositi in Campania e nel Lazio. Il 27 ottobre 2018 un manager triestino di 51 anni residente a Londra e amministratore di una società con sede a Milano, Xcel Petroleum, è stato arrestato dalla Guardia di Finanza di Varese con l’accusa di frode: importava dalla Libia carburante su navi da cisterna maltesi e tramite un giro di false fatturazioni sarebbe riuscito a evadere Iva su 350 milioni di litri di benzina. L’armatore maltese è stato arrestato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catania e al triestino sono stati sequestrati 55 milioni di euro in beni e gasolio. A Vittoria, in provincia di Ragusa, il 2 novembre 2018 la Finanza, dopo aver accertato una frode Iva e accise per 91.000 euro, ha sequestrato 3 autobotti con 40.000 litri di carburante agricolo di contrabbando e notificato 10 avvisi di conclusione indagini ad altrettanti soggetti.

Il mercato globale del petrolio vale, ogni anno, 1,7 trilioni di dollari e quello dei prodotti petroliferi è il più grande mercato nero esistente, a volume variabile e legato prezzi fluttuanti esattamente come per tutte le materie prime: più aumenta la richiesta più aumentano i commerci. Per capire cosa si intende con “richiesta” bisogna guardare il valore del carburante alla pompa: le disparità di prezzo all’interno dei paesi dell’area UE (in Italia a ottobre 2018 la media è stata di 1,653 euro al litro, in Austria 1,333, in Lussemburgo 1,217, in Ucraina 1,040 e in calo verso est fino alla Russia, dove a ottobre la benzina costava 0,595 Euro al litro) fanno da incentivo al mercato illegale. Diverse rotte di contrabbando marittimo sono state aperte dal Mar Nero fino all’Europa meridionale passando per la Grecia, dove il 20% del carburante venduto ai distributori è illegale (il costo è 1,617 euro al litro), e dal Mar Baltico fino a Inghilterra e Irlanda (Dublino stima di perdere 200 milioni di euro l’anno di accise). Le differenze del prezzo del carburante alla pompa tra la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord hanno creato le condizioni ottimali per il contrabbando: la tecnica più usata da quelle parti è il cocktailing, aumentando con additivi e acqua il volume del carburante, ma anche il contrabbando tradizionale funziona molto bene. La benzina illegale in Irlanda arriva via mare (Mar Baltico – Mare del Nord) principalmente dalla Polonia: a Varsavia un litro di verde costa mediamente 0,40 Euro in meno che a Dublino. Altre rotte redditizie sono quelle che dal nord-Africa, specialmente dalla Libia, portano all’Italia. Altro che migranti: secondo quanto emerso da una singola indagine della Procura di Catania, Petrolio Connection, culminata con 9 arresti nell’ottobre 2017, in 30 viaggi via mare tra la raffineria di Zawiya in Libia e porti italiani come Marghera, Augusta e Civitavecchia sono stati contrabbandati 80 milioni di chili di gasolio di pessima qualità (indagine partita da denuncia di Eni, parte lesa). Un affare da oltre 30 milioni di euro, finiti nelle tasche delle milizie armate che controllano la raffineria libica.

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Attenzione però, non si parla qui di furto di petrolio greggio ma di furto di carburante, di prodotti petroliferi raffinati: un campo sostanzialmente inesplorato anche per gli analisti di mercato più attenti. Il problema è la penuria di informazioni attendibili: mentre il mercato nero del greggio nel corso degli anni diventava sempre meno redditizio, per via dei prezzi relativamente bassi del petrolio sui mercati, il furto e il commercio di prodotti petroliferi raffinati sta dilagando, costando alle nazioni del mondo miliardi di mancati introiti e altrettanti miliardi in corruzione.

Ma non sono solo “i cattivi”, gli islamisti e le mafie, a commerciare carburante sul mercato nero. Anche “i buoni” attingono risorse dai commerci neri. Il governo regionale del Kurdistan iracheno, che prima della guerra e dell’arrivo di Daesh versava il 17% degli introiti petroliferi a Baghdad, cerca la propria indipendenza anche attraverso il completo controllo dell’economia petrolifera regionale e sostiene che è un diritto costituzionalmente garantito alla regione del Kurdistan quella di commerciare liberamente il petrolio estratto all’interno della stessa regione. Secondo uno studio dell’Università di Yale la rotta prediletta dai curdi è quella della condotta che arriva al porto turco di Ceyhan, dove il carburante viene caricato da petroliere greche e stoccato a Malta o in Israele, rotte tracciate da portali come tankertrackers.com. I proventi vengono reinvestiti per armare i peshmerga e per gestire gli 1,9 milioni di sfollati e rifugiati interni, ma per che altro ancora? Secondo Ian Ralby dell’Atlantic Council, think-tank americano che sul mercato petrolifero ha molto da insegnare, la dinamica binaria “criminali” contro “non-criminali” sta cambiando e oggi i primi non sono più in opposizione ai secondi bensì comprimari o attori a ruoli invertiti, in cui sono sempre di più sia i criminali che forniscono servizi pubblici essenziali sia i non-criminali corrotti che fanno di tutto per agevolare il mercato nero.

Il 64% delle acque marittime internazionali è privo di qualsiasi giuridsizione. Non vale nessuna legge. Il petrolio libico o siriano viene trasferito in acque neutre su navi riconosciute come importatrici legittime nel porto di destinazione finale, in Europa ad esempio. Lo stesso avviene a largo della Corea del Nord, del Bangladesh, dell’Africa occidentale. Il mercato nero del petrolio offre benefici a tutte le parti: sia per i produttori, che così non solo possono estrarre con meno scrupoli e meno regole ma non devono nemmeno versare tasse, royalties e commissioni varie, che per le autorità locali, che incassano mazzette per chiudere entrambi gli occhi. Questo equilibrio è talmente perfetto che le indagini giudiziarie e i tentativi di fare emergere i traffici illeciti vengono scoraggiati e visti più come scocciature burocratiche che come regole del vivere civile e dello stato di diritto. I danni sono enormi: la Nigeria perde 1,5 miliardi di dollari l’anno di mancati introiti a causa della produzione illegale (eccedenze fuori parametro), del furto di carburante e di altri sistemi sofisticati e geniali messi in atto per frodare lo Stato. Nel sud-est asiatico il 3% del carburante consumato proviene dal mercato nero (10 miliardi di dollari l’anno), in Messico i narcos riciclano nel mercato petrolifero i proventi illeciti del mercato della droga, la Turchia, paese che non produce idrocarburi ma che si trova nel cuore di un crocevia di condotte, nel 2017 ha perso 5 miliardi di dollari di entrate fiscali a causa del commercio illegale di petrolio. Che, da quelle parti, è in aumento dal 2014, da quando Daesh ha preso il controllo – ora perduto – dei principali giacimenti siriani e iracheni. Secondo il Tesoro degli Stati Uniti Daesh è arrivata a guadagnare 40 milioni di dollari al mese solo grazie ai commerci illeciti di carburante con il regime siriano di Bashar al-Assad.

Rubare prodotti petroliferi raffinati non è poi troppo complicato: il sistema dei narcos messicani è rodato e efficace, basta deviare le condotte, o installarci nuovi rubinetti a metà percorso, e rifornirsi a piacere. Basso rischio – nel caso in cui si venga “beccati” la pena è di pochi anni per i pregiudicati e di una multa per gli incensurati – basso sforzo e alta remunerabilità: tutti hanno bisogno di carburante e tutti vogliono pagarlo il meno possibile. Di fatto il consumatore finale vede il contrabbandiere come una sorta di Robin Hood del carburante. Secondo una denuncia presentata da Pemex [Petroleos Mexicanos, società petrolifera pubblica, 1,3 miliardi di perdite l’anno, nda] alla procura di Città del Messico la tecnica dei ladri di carburante è la classica “mungitura”, intercettare cioè le condotte da cui drenare carburante, e grazie alle tecnologie utilizzate è possibile succhiare fino a 90.000 dollari di benzina in meno di sette minuti: un’attività più redditizia del mercato delle anfetamine. In Messico la mungitura, denuncia Pemex, non è appannaggio solo dei professionisti del furto di carburanti (gente ben formata ad altissimo livello tecnico pagata, ad esempio, dai Los Zetas che controllano il 40% del mercato illegale messicano dei carburanti) ma di chiunque riesca a avvicinarsi e forare una condotta petrolifera.

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In Uganda ci sono gruppi criminali chiamati “OPEC Boys”: si tratta sostanzialmente di contrabbandieri transfrontalieri di carburante talmente ben inseriti che oggi sono considerati dalle corrotte istituzioni ugandesi dei “fornitori affidabili”. Secondo un rapporto di Trasparency International nella maggior parte dei casi non si diventa contrabbandieri di petrolio per vocazione alla vita criminale ma per la necessità di avere accesso a carburanti con prezzi più convenienti, un fatto che complica l’approccio al problema: se è vero che in Messico e in Sicilia le organizzazioni criminali controllano capillarmente questo mercato illecito è vero anche che in zone remote dell’Asia o dell’Africa sono le stesse comunità rurali a contrabbandare prodotti petroliferi. E quindi la risposta non può essere militare, come con i narcos o i mafiosi (risposta che comunque funziona poco, guardando ai risultati), ma deve essere culturale e legislativa. Altro approccio invece va sviluppato per realtà come il Mozambico: nel paese lusofono dell’Africa australe il 54% dei movimenti cargo che avvengono nel porto di Maputo coinvolgono, ai più alti livelli del governo, corrotti e corruttori. Lo stesso accade in Venezuela, il più importante estrattore di greggio d’America, dove è l’establishment ad avere istituzionalizzato la corruzione e il mercato nero di prodotti petroliferi, o in Azerbaijan.

I sistemi per rubare carburante sono tantissimi, più o meno efficaci a seconda della situazione: si deviano le condotte e si tappano i gasdotti come in Messico, si pompa il carburante su piccole chiatte spedite in mare – bunkeraggio – per rifornire le petroliere come nel delta del Niger in Nigeria, si trasferisce il bene da una nave all’altra in acqua internazionali come avviene nel Mediterraneo o al largo delle coste atlantiche dell’Africa occidentale, si fanno azioni di pirateria come nel Golfo di Guinea o a largo della Somalia, si pagano bene i funzionari di governo e le autorità portuali (il 57,1% delle frodi di carburante riguarda reati di corruzione). Oppure si adultera la benzina o si contrabbandano fusti e taniche alla vecchia maniera. Come si risolve questo problema?

In Europa si utilizzano i marcatori molecolari sui carburanti, ragion per cui abbiamo ad esempio la “benzina verde” e la “benzina rossa” (carburante agricolo, molto meno caro della normale benzina per auto e soggetto a un regime fiscale agevolato): sono tinte specifiche che consentono una facile identificazione dei carburanti proprio nell’ottica di prevenire le frodi ma si sono rivelate inefficaci nei traffici tra Irlanda e Irlanda del Nord. I trafficanti hanno capito come replicare i marcatori, come renderli inefficaci e, di conseguenza, come venderti benzina rossa al prezzo della verde. Restano tuttavia uno strumento fondamentale: in Tanzania i marcatori molecolari, che all’occhio del consumatore certificano anche la qualità dei carburanti, sono stati introdotti nel 2007 e tra il 2010 e il 2014 le entrate fiscali per il governo locale sono aumentate di 300 milioni di dollari.

Il problema del mercato nero di prodotti petroliferi non è solo economico, per le aziende e per i governi, non è solo giuridico e tecnico, per le autorità locali e per i consumatori finali, e non è solo diplomatico-geopolitico. Il problema è anche ambientale: i furti di carburante e di gasolio sono delitti non compiuti in ottemperanza delle norme di tutela ambientale, come spesso nemmeno le estrazioni legali e autorizzate. L’economia petrolifera è una realtà con cui il mondo dovrà fare i conti ancora per diversi anni: verificare di essere all’anno zero per quanto riguarda la lotta ai traffici illeciti di prodotti petroliferi non è troppo rincuorante.

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