Alla sua morte, avvenuta nell’anno 1837, Aleksandr Puskin ha lasciato nel cassetto un grande incompiuto: Il Negro di Pietro Il Grande. Si tratta di un romanzo storico poco conosciuto, l’ultima stesura sembra risalire al 1828, in cui racconta l’incredibile vita del suo bisnonno Abram Petrovic Gannibal, nato nel 1696 al confine tra Eritrea ed Etiopia e portato in Russia dallo zar Pietro Il Grande, che lo crebbe con i suoi figli battezzandolo nel 1705 a Vilnius, nell’attuale Lituania.
Quando nell’ottobre rosso del 1917 i bolscevichi occuparono il Palazzo d’Inverno dei Romanov a Pietrogrado, oggi San Pietroburgo, il colonialismo occidentale in Africa procedeva con grande efficacia. La Grande Guerra, esplosa pochi anni prima con l’assassinio dell’Arciduca Ferdinando a Sarajevo, costringeva le potenze europee ad attingere forze fresche e materie prime dalle colonie africane. Il conflitto aveva anche coinvolto la terra d’Africa, a nord, ma tutto sommato le popolazioni del continente ignoravano la portata che la Rivoluzione d’Ottobre avrebbe avuto per loro nei decenni a venire. Il grande ritorno della Russia in Africa.
Poco più di due anni dopo, nel 1920, al Secondo congresso dell’Internazionale Comunista (Comintern) fu Vladimir Lenin in persona a indicare il primo orizzonte africano del comunismo bolscevico: parlando dei tirailleurs sénégalais il leader russo disse che «la guerra imperialista ha portato i popoli del mondo alle dipendenze della storia». I tirailleurs erano un corpo di fanteria coloniale dell’esercito francese, reclutati in Africa occidentale sin dal 1857, che allo scoppio della Prima Guerra Mondiale furono inviati dal Marocco in Europa assieme ad altri 37 battaglioni franco-africani,. Ufficialmente furono 72.000 i combattenti africani arruolati dai francesi durante la guerra, distintisi sempre per l’alto rigore morale nonostante la morte spesso colpisse due uomini su tre.
Un secondo riferimento all’Africa fu fatto nell’aprile 1924 da Lev Trotsky. Parlando dei siti industriali nelle colonie britanniche del Ghana, del Camerun e del Togo (queste ultime neo-annesse con la vittoria inglese nel primo conflitto mondiale) di fronte agli studenti dell’Università dei Popoli Orientali a Baku, capitale dell’attuale Azerbaigian, commentò: «Ciò prepara la mobilitazione delle masse proletarie, che all’improvviso usciranno tutte assieme da uno stato preistorico, semi-barbarico, gettandosi nel crogiolo dell’industria, la fabbrica». Tuttavia i bolscevichi non guardarono molto all’Africa: l’ossessione dei rivoluzionari d’ottobre fu di portare la rivoluzione proletaria nei paesi industrializzati, nel Regno Unito e in Germania, in Francia, ma è anche vero che applaudirono i moti anti-inglesi in Egitto nel 1919, in Iraq nel 1925 e quelli anti-francesi dei drusi siriani e dei marocchini nel Rif, nello stesso anno.
Il Medio Oriente e l’Africa non divennero una priorità russa prima del 1927. Gli stalinisti intuirono che il benessere e sopratutto la capacità di resistenza delle borghesie europee e occidentali in generale si basava sullo sfruttamento delle colonie. Stalin e Trotsky erano divisi su tutto ma un tema riusciva ad appassionarli e interessarli in egual maniera: il Sudafrica.
Nel 1928 il Partito Comunista sovietico gettò le prime basi programmatiche e strategiche per creare un’alleanza con l’African National Congress (ANC), che divenne decenni dopo il partito di Nelson Mandela, ma questa non fu effettiva prima del 1950. Inizialmente la Sesta Internazionale comunista, guidata da Stalin e Bukharin, si limitò a convalidare la strategia del giovane Partito Comunista sudafricano volta a creare una «repubblica nativa»: il Comitern riteneva il Sudafrica strategico, come strategica era la Cina (Mao era ancora un semplice soldato e la Repubblica Popolare sarebbe stata fondata solo vent’anni dopo).
Ci volle poco a dividere Stalin e Trotsky sul Sudafrica: il primo fu un fervente sostenitore della «soluzione tradizionale», una lotta di classe interna al Paese africano, mentre il secondo (esiliato nel 1929 dall’Unione Sovietica) scrisse da Grenoble una lettera ai suoi sostenitori sudafricani, criticandoli per non aver aderito alla battaglia per la «Repubblica nera» da lui sostenuta. Era il 1935. Vero è che Stalin non si distinse, in quella fase, per un grande slancio africano: l’ascesa di Hitler in Germania, a partire dal 1933, era la massima priorità per il Comintern e assorbiva tutte le forze del leader sovietico, che preferì l’alleanza con i «partiti borghesi» delle potenze coloniali mettendo da parte il progetto bolscevico di liberazione africana.
Alla Conferenza di Yalta nel 1945 Stalin chiese personalmente a Franklin Delano Roosvelt, ancora alleato, un mandato di amministrazione straordinaria per la Libia, che era appena stata strappata all’Italia. L’opposizione del premier inglese Winston Churchill fece naufragare quella richiesta ma è da allora che i russi guardano con interesse al grande paese nordafricano. Non per niente la collaborazione tra Unione Sovietica e il colonnello Muammar Gheddafi è durata quarant’anni, specialmente durante la guerra civile in Ciad.