La difesa dell’informazione non si fa senza soldi
C’è uno specifico frammento del lavoro giornalistico che è particolarmente costoso: la responsabilità di ciò di cui si scrive.
Non si avverte socialmente. Finché non arriva un caso-Giambruno.
Chiunque abbia modo di lavorare in uno studio televisivo può imparare abbastanza velocemente che cosa sia e quanto sia enorme il potere della bassa frequenza.
Bassa frequenza è un termine che, nonostante le apparenze, non è per niente tecnico, ma è gergale, tipico della televisione italiana. Esso indica tutto ciò che viene ripreso dalle telecamere e dai microfoni accesi nello studio televisivo e che non è visibile al pubblico, al di fuori di una cerchia ristretta. Spieghiamo: quando ci si prepara alla diretta o a registrare una trasmissione televisiva o anche in altri momenti, le telecamere e i microfoni sono già accesi (o potrebbero esserlo) e ricevono e ritrasmettono un segnale.
A chi lo trasmettono? A chi è visibile quel segnale? Di solito, ai reparti di regia. Oppure negli uffici del complesso che ospita lo studio televisivo, se i televisori a disposizione lo prevedono. E a volte lo prevedono, per un sacco di motivi: perché il trucco deve sapere quando può intervenire, perché la produzione vuole vedere le prove e via dicendo.
Di solito la bassa frequenza non viene trasmessa in tv. Quindi non c’è modo, per il pubblico fuori dalla cerchia che può assistere a questo specialissimo grande fratello, di sapere cos’è successo prima o nelle pause o dopo un programma televisivo o addirittura nei segmenti rimossi da una differita.
Però c’è, esiste un pubblico della bassa frequenza. Sono, potenzialmente, tutte le persone che lavorano negli studios. E queste persone, grazie alla bassa frequenza, potranno sapere delle cose. Non solo: a seconda del gradino che occupano nella gerarchia delle produzioni televisive, dell’apparato, del sistema, potranno fare delle cose con quello che hanno visto o sentito in bassa frequenza. Queste dinamiche non sono avvertibili da chi sta fuori da questo sistema. E, come tutte le dinamiche umane, hanno a che fare anche con la gestione del potere: il potere all’interno di uno studio o di una produzione così come il potere in senso più ampio.
Un conto è vedere e sentire qualcosa. Un conto è avere le prove di quel che si è visto e sentito. A volte, negli studi televisivi, il segnale che viene trasmesso nella “bassa frequenza” si registra. Questo significa che in regia qualcuno che vede e sente cosa accade preme “rec” per registrare volontariamente quel che accade. Avere accesso a una bassa frequenza e alle sue registrazioni è, tanto per cominciare, come avere accesso a un archivio sul comportamento di una persona o di più persone. È una forma di dossier che qualcuno può costruire su qualcun altro.
In alcune leggende metropolitane non confermate si dice che in certi posti di lavoro la registrazione della bassa frequenza sia la norma. Perché? Per molti motivi. Facciamo un esempio più o meno innocuo: se in una trasmissione come Scherzi a Parte è previsto uno scherzo al conduttore durante le prove della trasmissione, allora si registrerà all’insaputa del conduttore stesso quel che accade durante le prove. O ancora, se voglio fare un montaggio con tutte le gaffe di un conduttore in prova, registrerò anche la bassa frequenza. Quel materiale, poi, verrà messo in onda e si faranno tutti una risata più o meno grassa a seconda delle sensibilità.
La messa in onda, in effetti, trasforma una dinamica di potere all’interno di un sistema chiuso, esponendola, rendendola socialmente avvertibile. Chiunque abbia un po’ di dimestichezza con il mondo della tv italiana sa bene che il fuorionda è diventato una prassi, un genere. Il fuorionda non è soltanto la registrazione della bassa frequenza, naturalmente. Può essere la registrazione da un mixer di un convegno di un microfono aperto per errore, può essere un backstage, una registrazione che viene fatta per caso con uno strumento non professionale, uno smartphone, per esempio. Tecnicamente, tutti noi, oggi, se abbiamo un device in mano, siamo potenziali produttori di fuorionda.
A volte è un genere comedy, come negli esempi abbiamo visto. A volte, la trasmissione di qualcosa che non era pensato per essere trasmesso ha portato a svariati scandaletti o scandali. A volte a veri e propri fenomeni virali come Germano Mosconi (cliccare solo sapendo che sarai di fronte a blasfemie e improperi di vario genere).
Striscia la notizia, il programma televisivo ideato da Antonio Ricci nel 1988, ha fatto dei fuorionda un vero e proprio marchio di fabbrica. Un metodo. Basta cercare nel sito ufficiale per rendersene conto: Google stima che ci siano più di dodicimila risultati per la parola “fuorionda”.
Ce ne sono di Matteo Renzi – anche fake – e di Giuseppe Conte, di Emilio Fede e di Luca Telese e di Guido Crostto, di Flavio Insinna, di Maria De Filippi e di Barbara D’Urso: insomma, ce ne sono per tutti i gusti.
A seconda di come viene presentato e raccontato in televisione un fuorionda e anche delle scelte dei fuorionda rappresentati, un personaggio popolare può diventare ancora più simpatico o risultare del tutto insopportabile. La scelta è nelle mani di chi trasmette, perché i fuorionda sono del tutto privi di contesto.
Se qualcuno monta e poi manda in onda una serie di gaffe e papere, questa scelta può contribuire, per esempio, a umanizzare l’immagine di una conduttrice. Se qualcuno monta e poi manda in onda improperi, insulti, bestemmie, l’effetto è molto diverso. Si può, in altre parole, costruire (una parte di) un’immagine di una persona pubblica. Questa immagine può confermare quello che sappiamo già o può essere in radicale contrasto con l’immagine ufficiale di quella persona.
In un certo senso, fare queste scelte può contribuire a indirizzare – qualcuno direbbe manipolare – la percezione di qualcuno.
È importante ricordare che la costruzione di questa percezione è – ancora oggi, anche nell’era dei social – appannaggio di chi ha grande visibilità e grande potere di distribuzione di questo genere di contenuti. Striscia la Notizia, insieme ad Antonio Ricci, rientra in questa categoria.
È ottobre 2023. Andrea Giambruno lavora da 15 anni a Mediaset. Nelle varie biografie che gli sono state dedicate online si ricorda che ha firmato come autore una serie di programmi di informazione Mediaset: Quinta Colonna, Matrix, Mattino 5 e Stasera Italia. Poi che ha lavorato nelle redazioni di Tgcom24 e Studio Aperto. Compagno della Presidente del Consiglio in carica Giorgia Meloni – i due hanno anche una figlia – aveva lasciato la conduzione proprio di Studio Aperto per trasferirsi a Roma da dove conduce(va) il programma Diario del giorno su Rete4. Il 23 luglio raccontava proprio questo in un’intervista condotta da Candida Morvillo per il Corriere della Sera: in quell’occasione, Giambruno poteva anche dire frasi tipo: «Tutte le illazioni gratuite non mi danno fastidio per me, ma per Giorgia. È pensando a lei che mi attaccano».
Nel corso degli ultimi mesi, Giambruno si è fatto notare (come ha titolato Il Post) più volte in trasmissione. Ha fatto commenti che negano il cambiamento climatico, una battuta contro il Ministro della Sanità tedesco, un’orrenda sortita, dopo lo stupro di gruppo a Palermo: «Se vai a ballare, tu hai tutto il diritto di ubriacarti – non ci deve essere nessun tipo di fraintendimento e nessun tipo di inciampo – ma se eviti di ubriacarti e di perdere i sensi, magari eviti anche di incorrere in determinate problematiche perché poi il lupo lo trovi».
Striscia la Notizia, da qualche settimana (per la precisione, a partire dal 25 settembre 2023), ha avviato un proprio cartoon che si intitola “Fascia e Orso“. Protagonisti: Meloni in versione Masha e il Ministro Crosetto in versione orso.
Sul sito di Striscia la Notizia il filmato è accompagnato da questa didascalia: «Lei è Giorgia, ed è Fascia, e con lei c’è Crosettorso. Non perdetevi le disavventure del nuovo duo della politica italiana. Ciao Giambruno!»
A parte questo riferimento, il programma di Antonio Ricci non si è mai occupato di Giambruno fino al 18 ottobre 2023, quando manda in onda un primo fuorionda del giornalista. A giudicare dalle immagini e dal fatto che Giambruno citi Casalpalocco, stiamo parlando di una trasmissione che dovrebbe risalire a giugno. L’incidente di Casalpalocco è del 14 giugno 2023. L’archivio di Diario del Giorno online arriva fino a settembre rendendo impossibile la verifica.
Il 21 ottobre 2023, però, Tv Talk – programma televisivo di analisi della televisione, una rarità in Italia – ha potuto individuare con precisione la data della puntata di Diario del Giorno: 21 giugno 2023.
Nel fuorionda, oltre a una serie di atteggiamenti gigioneschi e volgari, Giambruno sfodera battute, attenzioni e atteggiamenti che possiamo tranquillamente definire da maschio tossico verso la collega Viviana Guglielmi, che – anche se non sappiamo nulla del rapporto fra i due – sembrerebbe non gradire (qui il video).
Giambruno è in studio: le varie situazioni sono montate da sue esternazioni prima dell’inizio del programma o durante una pausa. Sullo sfondo si vede anche un’inviata in attesa di collegamento proprio da Casalpalocco.
Poi però arriva il secondo fuorionda del 19 ottobre 2023, molto diverso dal primo. Striscia manda in onda delle immagini di uno studio in preparazione: a giudicare dalla scenografia è sempre quello di Diario del giorno. Ma la registrazione che ascoltiamo è audio registrato altrove. Dietro le telecamere o al trucco? Al catering o in sala autori? Viene sempre dal microfono di Giambruno o forse da un microfono diverso, magari quello di un telefono che qualcuno sta tenendo in mano? Difficile a dirsi: abbiamo sentito anche alcune persone che lavorano come fonici e i pareri sono discordanti. È difficile persino autenticare la registrazione: ricordiamoci che viviamo nell’era dei cosiddetti deepfake, e che la stessa Striscia la Notizia ne ha prodotti alcuni, rivelandolo. Attenzione: questo non significa che l’audio sia finto. Ma dobbiamo notare per forza che il fatto stesso che sia stato mandato in onda ne abbia certificato, in qualche modo, la veridicità. L’ha certificata insieme a quel che è successo dopo, naturalmente.
Nell’audio che ascoltiamo, Giambruno è molto più su di giri e ancora più volgare. Se nel primo caso sa comunque che ci sono le telecamere del fuorionda – cosa che non gli impedisce di comportarsi in una maniera che Giulia Blasi su Valigia Blu ha definito «untuosa» –, nel secondo potrebbe anche non saperlo affatto. Dice cose decisamente sopra le righe. È impossibile stabilire se stia solo gigioneggiando o se stia davvero facendo avance a colleghe o altre persone di sesso femminile quando le invita a rapporti a tre, a quattro. A «sc*pare», parola che ripete più volte.
Ad un certo punto, un’altra voce maschile che si sente molto nitidamente dice: «Se ti registra Striscia poi vedi te». Un grande classico di questi fuorionda di Striscia, l’autoreferenzialità.
Quali sono le conseguenze di questa storia? Vediamole brevemente. La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni annuncia sui social: «La mia relazione con Andrea Giambruno, durata quasi dieci anni, finisce qui». Afferma che le loro strade si fossero divise da tempo. In un post scriptum lascia intendere che qualcuno abbia cercato o stia cercando di colpirla attraverso questa storia: «Tutti quelli che hanno sperato di indebolirmi colpendomi in casa sappiano che per quanto la goccia possa sperare di scavare la pietra, la pietra rimane pietra e la goccia è solo acqua.»
Antonio Ricci ha commentato all’Ansa: «Meloni un giorno scoprirà che le ho fatto un piacere»
Dagospia, un altro di quei centri di potere inavvertibili – da fuori sembra solo un sito di gossip e immagini di nudità variamente esposte. Ma chi si interessa a queste dinamiche sa che Dagospia va consultato in questi casi – ha scritto che Giambruno è fuori da Mediaset. E lo fa aggiungendo una didascalia che, se si somma al post scriptum di Meloni, aggiunge un altro pezzetto di storia. È scritto tutto in maiuscolo, come fa di solito Dagospia con le sue “notizie flash”: «IL REGOLAMENTO DEI CONTI DEI FRATELLI BERLUSCONI CON LA FU DUCETTA DEL “DIO, PATRIA E FAMIGLIA” NON FINISCE QUI… (CHISSÀ SE RIPETEREBBE OGGI A SILVIO BERLUSCONI “IO NON SONO RICATTABILE”…).
Sempre secondo Dagospia, Striscia avrebbe altri video di Giambruno, ma Ricci avrebbe deciso di non mandarli in onda.
In realtà Giambruno non sarebbe stato licenziato né sospeso da Mediaset, ma si sarebbe autosospeso in attesa di decisioni. Anche se qui non amiamo i condizionali, non si può fare diversamente per parlarne, e tutto sommato va bene così, perché questo è solo un esempio di quel potere della bassa frequenza di cui stiamo parlando.
Se questa storia ti sembra solo gossip politico, allora è il caso di riprendere il discorso sul potere della bassa frequenza. Possiamo credere davvero che siamo solamente di fronte a un regolamento di conti interno? Un servizio fatto verso una persona che aveva atteggiamenti sgradevoli nei confronti di un gruppo di lavoro e verso le donne di questo gruppo?
Sì, è un’ipotesi e non possiamo scartarla a priori.
Però possiamo anche prendere atto dei segnali che abbiamo evidenziato: il ps di Meloni che si sente attaccata, la dida decisamente esplicita di Dagospia, puntano verso la medesima direzione.
Non possiamo dimenticare quel che è successo in passato: la famigerata lista di Silvio Berlusconi contro Meloni fotografata in Senato («supponente, prepotente, arrogante, offensiva»), l’insofferenza di Pier Silvio e Marina Berlusconi – quest’ultima direttamente dalla sede di Confindustria – per la tassa sugli extraprofitti delle banche.
Sappiamo anche che almeno il primo fuorionda di Giambruno è stato registrato mesi fa. È vero che la nuova edizione di Striscia la Notizia è iniziata il 25 settembre, ma i fatti di cui abbiamo parlato risalgono, appunto, al 18 ottobre.
Una domanda – in realtà una serie di domande – a cui possono rispondere solo poche persone e che vediamo girare poco, e quindi facciamo qui è: «Chi sapeva di questi video e da quanto tempo?». Erano stati visionati dall’editore? Dai figli di Silvio Berlusconi? Meloni ne era già a conoscenza? Saperlo significherebbe capire quali logiche sono davvero in campo da un punto di vista politico. In assenza di fonti che possano rispondere a queste domande – abbiamo provato, beninteso, ma abbiamo trovato solo bocche cucite e classici atteggiamenti di chi lascia intendere che sa magari senza sapere: «Qualcuno saprà», «Nessuno te lo verrebbe a dire», «Anche se sapessi, di sicuro non lo direi a te». Anche questo è molto tipico del mondo della televisione italiana –, non possiamo che ricondurre tutta questa storia a una dinamica di potere che ha letteralmente invaso il giornalismo italiano derubricando persino i fatti di Gaza a seconda notizia.
Nelle società contemporanee i legami fra la politica e i media sono indissolubili e questa storia lo dimostra, così come dimostra che le dinamiche di potere sono sempre interessanti da analizzare. Per le conseguenze a lungo termine non possiamo che aspettare.
In fondo non stiamo parlando di dinamiche fra persone qualsiasi o in uno studio televisivo qualsiasi, ma della famiglia del Presidente del Consiglio, di un giornalista che lavora nella televisione che fu del fondatore di un partito (Forza Italia) che oggi sostiene il Governo di quel Presidente del Consiglio, di persone che attraversano da decenni la storia italiana: quella politica, quella dei media.
Non possiamo non notare, infine, che non c’entrano i deepfake, non c’entrano i social network manipolatori, non c’entrano le fake news, internet, la tecnologia – eppure quest’ultima c’entra tantissimo, perché senza non ci sarebbero le registrazioni.
È la dimostrazione di un altro fatto: che il potere riguarda le persone. Non le macchine e nemmeno la bassa frequenza.
Questo pezzo è stato pubblicato il 20 ottobre 2023 alle 23. Poi è stato aggiornato il 21 ottobre 2023 alle 17.20, dopo la messa in onda della trasmissione Tv Talk.
C’è uno specifico frammento del lavoro giornalistico che è particolarmente costoso: la responsabilità di ciò di cui si scrive.
Quelli di chi non ha voce, di chi ha meno, della cittadinanza tutta, delle persone.