Il rapporto Chilcot ai margini dei quotidiani italiani

Il 6 luglio del 2016, poco prima della pubblicazione del Rapporto Chilcot, un terzo di Slow News sulla sua pagina Facebook lanciava un sasso nello stagno.

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.

Il 6 luglio del 2016, poco prima della pubblicazione del Rapporto Chilcot – che riscrive la storia degli ultimi 16 anni sulle decisioni che portarono alla guerra in Iraq nel 2003 e sulle conseguenze nefaste di tali decisioni – un terzo di Slow News sulla sua pagina Facebook lanciava un sasso nello stagno.

Un vero macigno, detto col senno del poi:

Povero illuso.

Dopo un’iniziale fiammata da classico flusso di informazioni, che ha visto il suo apice durante la conferenza stampa di Tony Blair, la notizia ha cominciato velocemente a scemare. Al telegiornale notturno della rete ammiraglia Rai era già sparita.

Nonostante le scelte editoriali, che sono sempre legittime, è stato strano osservare come si sono comportati i media italiani su una notizia che, di fatto, cambia radicalmente la nostra percezione della realtà (almeno della realtà in Medio Oriente negli ultimi 13 anni). Sì, lo sapevamo tutti che Bush e Blair avevano falsificato le prove: lo avevano denunciato i Radicali e Marco Pannella due mesi prima della guerra, lo hanno gridato ai quattro venti milioni di persone che in tutto il mondo hanno manifestato, nel 2003, contro la guerra in Iraq e, in forma non ufficiale, era noto a molti come erano andate le cose: il valore del rapporto è, principalmente, quello dell’ufficialità. La storia non è andata come ci è stata propagandata e buona parte dei guai che il Medio Oriente, il Vicino Oriente, il nord-Africa, il Mediterraneo e l’Europa hanno oggi dipende, in larghissima parte, dalla decisione di sganciare tonnellate di bombe sulla testa di Saddam Hussein. Uno che sarà stato un criminale corrotto, non c’è dubbio, ma di armi di distruzione di massa proprio non ne aveva.

Questa notizia, dall’assoluto valore giornalistico e storico, in Italia non ha ottenuto il risalto che invece ha avuto altrove (non a nostro avviso, ma a parere di tutti i principali quotidiani internazionali e non solo online).
Basta fare una semplice rassegna stampa delle prime pagine dei giornali in edicola il 7 luglio 2016 per capire il valore che in Italia la stampa ha dato alla pubblicazione del rapporto:

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Sul Corriere della Sera la notizia non compare
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Su Libero la notizia non compare
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Sul Fatto Quotidiano la notizia non compare
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Lo puoi vedere tu stesso: laRepubblica colloca la notizia in taglio alto, di spalla, ma va riconosciuto al quotidiano del Gruppo Espresso di aver dato abbondante spazio, in prima pagina e nelle pagine interne, alla notizia circa il rapporto Chilcot. Un’inchiesta che, sì “inchioda Blair”, ma che è stata portata avanti sopratutto per analizzare e correggere i processi che portarono a quelle decisioni: un fattore di non poco conto, non trattandosi si un’inchiesta accusatoria, ma propositiva.

Quello che è veramente inspiegabile riguarda la scelta editoriale del Corriere della Sera, che in prima pagina dimentica completamente di dare spazio alla notizia. Semplicemente non c’è nemmeno una riga, niente di niente. Senza andare a sindacare le scelte di via Solferino, viene davvero difficile comprendere il metro di giudizio adottato nella scelta di mettere la notizia circa la condanna, in Spagna, per evasione fiscale di un noto calciatore argentino o le parole del solito cardinale sulle “coppie irregolari”. La stessa cosa – notizia inesistente – vale per Il Giornale, che pure vanta una redazione di esteri ben fornita e un’ottima partnership con Occhi della Guerra di Gian Micalessin, giornalista che la guerra in Iraq l’ha raccontata anche per la Rai. Libero se la cava così: “Lo statista è Trump, non Blair” è il titolo, inserito nel piccolo box a fondopagina Iraq e dintorni che rimanda a pagina 12.

Il quotidiano torinese La Stampa decide di dare la notizia in un box di spalla, a destra e centropagina: “Il dossier che condanna Blair: ha sbagliato in Iraq”. Ciò che fa in più è di mettere il famoso contraddittorio, che in Italia non manca mai, appena più in basso e scegliendo un titolo che suona un po’ come la famosa lavata di mani di Ponzio Pilato: “L’alibi infondato dell’Occidente: l’Isis non nasce da quella guerra”. Massimo Gramellini, per non sbagliare, si butta sulla cronaca e buona la prima.

Il Messaggero e il manifesto danno entrambi uno spazio decisamente più “onorevole” alla notizia del decennio, in particolare il quotidiano comunista osa – non a torto – un’editoriale dal titolo “Un criminale di guerra”. L’Unità fa molto di più: ieri il quotidiano ha ospitato un lungo e articolato articolo di Matteo Angioli che introduceva alla pubblicazione del rapporto e oggi alla notizia da ampio risalto mettendola al centro della prima pagina e approfondendo il tutto nelle pagine interne. Davvero una copertura eccellente.

Chiudiamo la nostra disamina con un quotidiano cattolico, Avvenire, e uno economico, Il Sole 24 Ore, entrambi solitamente molto attenti alla politica estera. Il primo dimentica completamente la notizia nella propria prima pagina mentre il secondo titola “L’accusa a Blair: ingiustificata la guerra in Iraq del 2003” relegando il rapporto Chilcot in un francobollo in fondo a sinistra.

Il rapporto che i media italiani hanno avuto con questa notizia non è stato, purtroppo, un rapporto stretto: da molti dimenticata, da altri non compresa, sono purtroppo rarissimi i casi, l’Unità su tutti, in cui al rapporto Chilcot è stato dato lo spazio che meritava. L’alternativa, seppur tragica, fa comprendere bene l’atteggiamento generale che i media italiani hanno nei confronti dei loro lettori, volto a costringere chi legge a guardarsi oltremodo l’ombelico: sulle prime pagine del 7 luglio 2016 la notizia principale, data in tal modo da tutti i quotidiani nazionali nessuno escluso, riguarda la morte violenta di Emmanuel, un cittadino nigeriano in attesa di essere riconosciuto come rifugiato morto in seguito a un pestaggio. Una notizia importante (in Italia si muore ancora per il colore della propria pelle), certamente di interesse nazionale, ma la scelta di usarla per farci titoloni, editoriali e analisi sociologiche, relegando a fondopagina o escludendo in toto una notizia di tale portata internazionale è francamente una scelta incomprensibile.

Anche questa volta s’è persa una buona occasione per offrire un servizio ai propri lettori. Dispiace.

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