
In Italia abbiamo un problema: il paternalismo della classe dirigente che infantilizza cittadine e cittadini e minimizza tutto ciò che mette a disagio o genera conflitto
La parola intersezionale è stata proposta nel 1989 dall’attivista e avvocatessa statunitense Kimberlé Crenshaw per descrivere una situazione individuale, quella di chi vive contemporaneamente sul proprio corpo e nella propria vita più di una discriminazione.
Il termine però ha ancora più senso quando questa sovrapposizione la proiettiamo anche al fi duoi dalla sfera individuale, per prendere anche quella collettiva, facendo confluire ogni singola battaglia in una grande lotta comune per cambiare alle basi la società.
Guerra, povertà, diseguaglianza, razzismo, maschilismo femminicida, ma anche lavoro, salute pubblica, politiche sull’abitare, mobilità, istruzione. Le battaglie per difendere o ampliare i diritti delle persone sono infatti tantissime. In queste settimane in cui il genocidio in Palestina ha portato di nuovo in piazza milioni di persone, forse ci stiamo accorgendo che è ora di accogliere quella intersezionalità e ricomporre la lotta.
Perché finché non ci uniremo tutte e tutti in una sola, grande lotta, le dinamiche malsane del mondo in cui viviamo non verranno intaccate.
La cosa che resta che proponiamo per oggi è un invito lucido e radicale che parte dal femminismo e che va proprio in quella direzione.
Si intitola Il femminismo deve essere una lotta di classe, altrimenti è capitalismo, è un’intervista alla scrittrice femminista Jessa Crispin realizzata da Andrea Coccia nel 2018 che abbiamo poi scelto e messo al centro del primo numero di Piano, quello Rosso uscito l’anno scorso.
La puoi leggere da questo link, ma se vuoi recuperare un numero di Piano di carta lo puoi comprare qui.
In Italia abbiamo un problema: il paternalismo della classe dirigente che infantilizza cittadine e cittadini e minimizza tutto ciò che mette a disagio o genera conflitto
L’umiliazione e la bullizzazione sistematica del nemico sono armi politiche pericolose che appaiono sistematicamente nella storia dei conflitti, come ora a Gaza
Oggi sono morte delle persone, ma la tragedia degli sfratti è quotidiana e invisibile, è fatta di debiti, sgomberi e vite segnate che non fanno notizia
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