Ep. 02

La profilazione su base etnica

Si tratta di pratiche di polizia che consentono controlli preventivi mirati a persone di etnie considerate “a rischio”.

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.

Sono più o meno le undici di una sera estiva quando J., 31 anni, scala dalla terza alla seconda e imbocca la via in cui abita alla periferia di Eindhoven. Gli mancano trecento, forse quattrocento metri, quando nello specchietto retrovisore vede un lampeggiante blu e viene fermato dalla polizia per un controllo di routine.

Quando ci ripensa si agita. «Anche se non avevo fatto niente mi hanno fatto scendere dalla macchina, chiesto i documenti e poi me l’hanno perquisita, ero scosso, perché non capivo che cosa mi stesse succedendo, allora gli ho chiesto “ma perché mi avete fermato?” e gli agenti mi fanno “perché avevamo dei sospetti” e allora gliel’ho detto, gli ho chiesto “è per il colore della mia pelle vero?” E uno di loro ha annuito». J. è un cittadino olandese di pelle nera, i suoi genitori erano del Suriname, ex colonia africana di Amsterdam. E se lui fosse stato bianco, quel controllo di polizia non ci sarebbe stato.

La discrezionalità e il silenzio della politica

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Gli esperti lo chiamano ethnic profiling, letteralmente profilazione etnica. Si tratta di pratiche di polizia attuabili nel corso di operazioni Stop-and-Search e che consentono controlli preventivi mirati a persone di etnie considerate “a rischio”, pur in assenza di un palese comportamento criminale. In altre parole: se non stai facendo niente ma appartieni a una comunità iper-rappresentata nelle statistiche criminali, la polizia ti ferma. L’Olanda, paese a forte presenza di stranieri e spesso considerata patria di inclusione e diritti umani e civili, ha introdotto la profilazione etnica a partire dal 2002, nell’ambito delle norme antiterrorismo e di prevenzione del crimine. Ma anche altri paesi europei tra cui Regno Unito, Finlandia e Germania hanno legislazioni simili.

Secondo i criminologi Van der Leun e Van der Woude, gli sviluppi legislativi verso l’ethnic profiling hanno portato ad un aumento dei poteri discrezionali degli agenti di polizia. Per questo «esiste il rischio che queste attività siano poste in essere sulla base di generalizzazioni legate a razza, etnia, religione o nazionalità piuttosto che sulla base di azioni personali e/o oggettive». Ad Amsterdam e dintorni l’ethnic profiling è da anni al centro di dispute molto accese. Se da una parte la componente più conservatrice della società preferisce anteporre la sicurezza nazionale alle questioni etiche, uno spettro ampio di progressisti, liberali e democristiani è preoccupato dalla deriva razzista che tali operazioni di polizia possono rappresentare.

Tra gli elementi che contribuiscono a definire un soggetto come “a rischio” c’è addirittura il vestiario: «Se sembri troppo povero per possedere il Rolex che hai al polso o il cappotto da 1800 euro che indossi, allora vieni fermato», ha spiegato nel gennaio 2018 il capo della polizia di Rotterdam, Frank Paauw. Nonostante le posizioni politiche differenti, non esiste un vero e proprio dibattito parlamentare o istituzionale riguardante la questione. Nel 2016 un sondaggio ha dimostrato che due elettori olandesi su tre sono favorevoli alla profilazione e non ritengono che si tratti di una pratica razzista. I partiti hanno paura di perdere voti, e preferiscono cavalcare o non contrastare l’ondata di paura che ha colpito anche l’Olanda.

Slow News ha provato a contattare tre partiti, dal VNL dell’ultradestra xenofoba e populista, unici veri sostenitori della profilazione, fino al partito socialista, passando per le forze di centro.

Nessuno ha risposto.

Controllo e pregiudizio

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Una delle principali voci contro queste pratiche è quella della ONG Controle Alt Delete (vale a dire Control+Alt+Canc), nata a fine 2013 con l’obiettivo specifico di porre un freno a una deriva considerata eccessivamente razzista e pericolosa. L’organizzazione lavora a stretto contatto con Amnesty International e altre ONG e periodicamente pubblica report riguardanti la situazione circa la profilazione etnica nel Paese. Secondo i loro dati, le persone con origini non occidentali vengono controllate tra le 3 e le 7 volte in più degli altri e hanno il 12% in meno di fiducia nelle Forze dell’Ordine.

L’ONG ritiene che l’ethnic profiling sia causato da una incomprensione di base delle statistiche criminali, che sono spesso basate sull’idea di perpetrator profile (letteralmente ‘profilo del colpevole’, ossia una descrizione generalizzata di un colpevole medio) anziché sul perpetrator (‘colpevole’) vero e proprio, cioè la descrizione esatta di un sospetto di uno specifico crimine a danno di una specifica vittima. Questo crea degli archivi di polizia basati sullo stereotipo e il pregiudizio, che si riflettono poi nelle operazioni di polizia. Una delle principali controversie era legata alla definizione del fenomeno. Controle Alt Delete utilizza da sempre la definizione di profilazione etnica fornita dall’ECRI, la Commissione Europea contro razzismo e intolleranza, secondo cui si tratterebbe di «utilizzo, da parte di forze di polizia, di criteri o considerazioni quali la “razza”, il colore della pelle, l’etnia, la nazionalità, la lingua e la religione di un soggetto nel corso di operazioni di prevenzione pur in assenza di oggettive giustificazioni perché questo avvenga». Tale definizione è utilizzata non solo dalle principali organizzazioni umanitarie del Paese tra cui Amnesty e il Comitato nazionale degli avvocati per i diritti umani ma addirittura anche dal Ministero della Giustizia. Tuttavia fino al dicembre del 2017 la polizia olandese ha adottato una propria definizione, decisamente più stringente, secondo cui l’ethnic profiling era rappresentato solo dai casi in cui un soggetto veniva fermato «solo ed esclusivamente per via del proprio colore di pelle».

Grazie ai prolungati e costanti sforzi di Controle Alt Delete, le istituzioni olandesi hanno preso alcuni provvedimenti importanti. Non solo la polizia si è uniformata alla definizione più ampia fornita dall’ECRI, ma ha anche stabilito che la iper-rappresentazione di taluni gruppi etnici nelle statistiche criminali non possa essere di per sé una buona ragione per fermare qualcuno. Nonostante ciò l’associazione continua a lavorare perché la profilazione venga messa definitivamente al bando. Secondo il portavoce dell’ONG, l’ethnic profiling «non è una questione di polizia, ma politica, perché sottintende che alcuni cittadini siano meno parte integrante della società rispetto ad altri. E questo non è accettabile». Nel corso del 2018, nonostante le nuove politiche intraprese dalla polizia, si sono registrati 43 casi di lamentele e ricorsi da parte di cittadini che si sono sentiti vittime di profilazione. Nel 2017 i casi erano stati 46.

Sylvana Simons e gli olandesi brava gente

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Ad ogni modo l’ethnic profiling è solo una delle varie rappresentazioni di un trend razzista che in Olanda si sta affermando in maniera silenziosa ma costante. «Il problema è che a questo Paese non si può dire di esser razzista» dice a Slow News Sylvana Simons, oggi componente dell’Assemblea comunale del Comune di Amsterdam dedita alla lotta contro il razzismo.
Nata in Suriname poco prima dell’indipendenza, si è trasferita ad Amsterdam quando aveva due anni, dedicandosi al teatro e alla danza. Diventata celebre in tutta l’Olanda come presentatrice tv di un programma per ragazzi, nel 2016 ha fondato un partito politico ispirato al primo articolo della Costituzione, secondo cui tutte le persone in Olanda sono uguali, senza nessun tipo di distinzione. Oggi è la paladina del femminismo e dell’antirazzismo, e con i suoi attacchi alla società olandese ha attirato su di sé l’ira di giornali, televisioni e comuni cittadini, che spesso la definiscono «un personaggio che semina odio perché in cerca di fama».

Tra il 2016 e il 2017, Sylvana Simons ha vissuto sotto scorta a causa delle minacce di morte ricevute online dopo alcune sue dichiarazioni pubbliche: «L’Olanda ha delle responsabilità storiche enormi a causa del nostro comportamento in epoca coloniale prima e durante l’Olocausto poi. Ma come spesso succede a chi ha vissuto un trauma, il nostro Paese ha preferito nascondere la polvere sotto al tappeto anziché affrontare la realtà di petto». Secondo Simons, la società olandese «rivendica il suo primato di multietnicità e libertà individuale ma è tutta facciata. In realtà abbiamo gli stessi trend inquietanti che ci sono in tutta Europa».

Il riferimento è certo alla profilazione etnica, ma non solo. Ampi gap salariali e lavorativi, insieme a un diffuso pregiudizio nei confronti di persone non occidentali e addirittura a una popolare celebrazione natalizia, sarebbero alla base di un’ondata xenofoba che colpisce anche i cittadini olandesi originari delle ex colonie, come appunto la Simons: «In questo Paese il sentimento di paura dell’altro è così ben radicato e normalizzato che non costituisce più una notizia, ed è accettato anche dalle minoranze etniche come una realtà di fatto. E se uno lo denuncia pubblicamente come ho fatto io, subisce un attacco inaudito dalla stampa e da certa politica».

«La normalizzazione del razzismo – conclude – è la cosa di cui più ho paura. Tuttavia oggi c’è un fenomeno di cui sono molto entusiasta che si chiama emancipazione. Rispetto a pochi anni fa la comunità nera europea sta prendendo sempre più coscienza delle proprie capacità e dei propri diritti e si sta battendo affinché essi vengano riconosciuti e rispettati. Credo di esser parte di questo meccanismo» dice orgogliosamente la Simons, che però rimane preoccupata. «Ciò che mi inquieta è la reazione che l’establishment sta avendo all’interno del nostro continente. Da noi c’è la profilazione etnica ed un certo, diffuso, sospetto. Ma in Europa non va meglio: Salvini, Orbàn e altri leader simili rappresentano un trend conservatore e potenzialmente violento che si oppone a un fenomeno d’inclusione che può essere forse rallentato ma sicuramente non fermato».

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