È finita la Francafrique?

La nuova politica africana francese pesta i piedi all’Unione Europea.

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“L'epoca della Françafrique è finita da un pezzo ma a volte ho la sensazione che le mentalità non si evolvano al nostro stesso ritmo, quando leggo, sento, vedo che alla Francia si attribuiscono ancora intenzioni che non ci sono più".
Emmanuel Macron, Presidente della Repubblica francese

Il presidente francese Emmanuel Macron, che si trova in viaggio in Africa centrale, ha annunciato ieri da Libreville, capitale del Gabon, che “il periodo della Franceafrique è finito”.

Cosa si intende per Franceafrique? Generalmente, e in senso dispregiativo, così viene chiamata la relazione speciale tra la Francia e le sue ex-colonie africane, in particolare quelle dell’area subsahariana. Il termine è stato usato per denunciare la politica estera della Francia nei confronti non solamente delle vecchie colonie africane, ma anche degli altri paesi francofoni in Africa. È una politica caratterizzata da economia predatoria, post-colonialismo, interventi militari discutibili e il presunto sostegno ai gruppi Hutu responsabili del genocidio in Rwanda nel 1994, oltre che da decine di scandali politici ed economici nei decenni successivi alle indipendenze.

Macron ha detto che Parigi non intende più intervenire né militarmente né politicamente in Africa e che il nuovo slancio francese verso il continente vuole toccare temi, criticità, emergenze e opportunità su clima, biodiversità, economia e industria. Il presidente francese lo aveva anticipato lunedì 27 febbraio, dicendo che “l’Africa non è più il cortile privato” di casa Francia, mostrando una visione nuova dei rapporti con i paesi africani, più “equilibrati” e basati sugli “investimenti più che sugli aiuti”.

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Tessuto celebrativo della visita in Gabon dell'ex-presidente francese Georges Pompidou, anno 1971. Flickr.
La nostra presenza da domani sarà costituita da basi, scuole e accademie che saranno cogestite, con il personale francese operativo che rimarrà ma a livelli inferiori e con il personale africano in prima linea, con la possibilità di accogliere nuovi partner".
Emmanuel Macron

Questa nuova politica che si declina in due aspetti principali: la riduzione del personale militare e un nuovo modello di partenariato che prevede “l’ascesa al potere” degli africani, nell’ottica di rendere la Francia “un interlocutore imparziale che parla a tutti in Africa e non ha il ruolo di interferire negli affari interni dei Paesi continentali“.

Prima di partire per il suo nuovo viaggio africano, Macron ha spiegato che la Francia intende aprire “una nuova pagina nei rapporti con i Paesi africani”, che inizierà con il processo di restituzione del patrimonio culturale: opere d’arte, opere letterarie, antichità, manufatti e altro materiale trafugato durante il lungo periodo coloniale francese e mai restituito. Un processo già avviato, dopo il viaggio di luglio in Camerun, Benin e Guinea Bissau.

Bisognerà vedere all’atto pratico cosa significherà tutto questo: dalla fine degli anni Novanta la politica adottata dalla Francia è consistita anche nell’istituire quelle che sono state chiamate “scuole nazionali a vocazione regionale” e che da oltre 20 anni accolgono le élite militari africane da formare in diverse specialità, le stesse che negli ultimi anni hanno condotto colpi di Stato in Mali, Guinea e Burkina Faso.

L’africanizzazione della sicurezza, tenuta al guinzaglio da Parigi, è stata un fiasco clamoroso ma questo è un approccio mai messo in discussione nonostante la crisi nel Sahel, dove dal 2012 è cresciuto esponenzialmente il potere dei gruppi islamisti e dove oggi i mercenari del gruppo russo Wagner stanno occupando lo spazio lasciato vuoto proprio dalla Francia.

Sull’economia invece Macron non ha dato molti elementi ma se guardiamo alla cronaca qualcosa la possiamo capire da soli: la scorsa settimana il ministro francese del Commercio Olivier Brecht ha firmato diversi accordi commerciali e di cooperazione in Kenya e Tanzania, sfruttando l’occasione di due business forum della Commissione europea per tirare acqua al mulino francese. Niente di illecito, sia chiaro, ma forse utilizzare l’Unione Europea per arrivare in mercati tradizionalmente non-francofoni e provare a salvare capra e cavoli è forse un po’ spregiudicato, se l’obiettivo dovrebbe essere rafforzare la politica economica europea verso l’Africa.

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