La copertura negativa e stereotipata delle questioni che riguardano il continente africano costa all’Africa 4,2 miliardi di dollari l’anno.
Il Global Gateway europeo è alla sua prima sfida africana
In questi giorni si sono svolti in Kenya e Tanzania due forum economici organizzati dall’Unione Europea in collaborazione con questi due governi africani. Si tratta di grandi eventi, molto cerimoniosi e pomposi, al cui interno vengono firmati accordi economici e memorandum d’intesa (che in un linguaggio non tecnico significa “farsi la promessa che si lavorerà insieme in futuro”), ci si scambia tonnellate di biglietti da visita e si ha la possibilità di incontrare professionisti e imprese di più o meno ogni settore merceologico.
In un certo senso questi forum sono una piccola rivoluzione nei rapporti tra Unione Europea, Kenya e Tanzania, due tra le economie più promettenti, interessanti e solide dell’Africa orientale: l’Unione Europea, come “sistema”, manca in quest’area del mondo da sette anni, durante i quali il vuoto è stato ovviamente colmato da altri, in particolare dalla Cina. Che, con la strategia della Nuova via della Seta (se ti interessa saperne di più gli amici di China Files hanno una sezione dedicata al tema, sul loro sito), sta promuovendo investimenti nei paesi a basso e medio reddito e costruendo la propria egemonia economica (e non solo) globale.
Per capirci, parliamo di cose così:
Le Autorità del Porto di Anversa, il secondo porto d'Europa, hanno firmato un accordo con le Autorità portuali della Tanzania per sostenere lo sviluppo portuale del Paese africano.
È una notizia ENORME, secondo me. Vediamo quando arrivano dettagli #EUTZBusinessForum
— Andrea Spinelli (@spinellibarrile) February 23, 2023
Il “ritorno dell’Europa in Africa”, almeno dalle parole che si sentono in questi giorni, sembra non voler essere un ritorno predatorio, anche se allo stesso tempo non è sbagliato parlare di “una nuova corsa all’Africa”, come fece l’Economist, e sembra permeato da una nuova consapevolezza da parte dell’Europa. La differenza sta nei dettagli e le intenzioni espansive degli interessi europei in Africa sembrano più declinarsi con partnership che permettano al continente più giovane del mondo di svilupparsi e a quello più vecchio di sopravvivere. Un vero e proprio accordo win-win. Perché la questione, al netto della lotta all’emergenza climatica e alle disuguaglianze, è proprio questa: senza cambio di paradigma l’Europa non può sopravvivere.
La risposta europea alla Nuova via della seta cinese, il Global Gateway lanciato dalla Commissione Europea nel 2021, ha l’obiettivo di raggiungere “connessioni sostenibili e affidabili” tra le persone e i continenti, che tradotto in un linguaggio meno aulico e meno politico significa affrontare le sfide globali più importanti: la lotta all’emergenza climatica, il miglioramento dei sistemi sanitari e di istruzione, il rafforzamento della competitività delle piccole e medie imprese dei paesi a basso reddito (in Africa, ad esempio, questo genere di imprese è generalmente gestito a livello familiare, un modello molto simile alla tipica piccola-media impresa italiana) e il miglioramento delle catene di approvvigionamento globali, dal punto di vista economico ma anche ambientale.
È certamente presto, molto presto, per mettersi a festeggiare ma non sarà mai troppo tardi il riconoscere all’Africa il posto che ha il diritto di occupare nel mondo.
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