Clima, gli attivisti africani denunciano il greenwashing sul continente

A Nairobi, capitale del Kenya, si conclude oggi il primo Africa Climate Summit, il vertice sul clima africano in preparazione alla Conferenza delle Nazioni Unite per il Clima, COP28, in programma a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, tra il 30 novembre e il 12 dicembre prossimi.

In particolare, l’incontro africano si concentra su due aspetti: la transizione energetica e l’African Carbon Markets Initiative (ACMI), il programma africano per entrare nel mercato dei crediti di carbonio. L’Africa e i suoi governi chiedono al resto del mondo di sostenere gli investimenti verdi nel continente, anzi sostanzialmente chiedono di mantenere le promesse, fino ad oggi vane, che il mondo fa all’Africa da almeno un decennio su questa materia. Secondo il rapporto Stato del clima in Africa 2022 dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM), l’Africa è responsabile solo di una minima parte delle emissioni globali di gas serra ma soffre “in modo sproporzionato” l’emergenza climatica. Secondo l’African Climate Policy Center della Commissione Economica per l’Africa delle Nazioni Unite, i costi delle perdite e dei danni dovuti al cambiamento climatico in Africa dovrebbero essere compresi tra 290 e 440 miliardi di dollari, a seconda del grado di riscaldamento globale del pianeta.

Questo, riassunto al massimo, è quello di cui si parla a livello governativo. C’è poi però il capitolo società civile che, nonostante spesso si pensi – sbagliando – che “in Africa non ci sono attivisti per il clima”, ha portato ai leader africani e al mondo intero le sue istanze. Le sue denunce. La sua protesta. Gli attivisti per il clima di Friends For Earth Africa (FEA), un’organizzazione ambientalista panafricana che si concentra sul sostegno alle lotte ambientali basate sui diritti nella regione africana, hanno criticato la nuova Africa Carbon Markets Initiative, affermando che si tratta solo di un altro “incentivo” all’inquinamento che metterà a repentaglio gli sforzi per ridurre le emissioni di carbonio.

“Dobbiamo respingere qualsiasi iniziativa che non si concentri sul raggiungimento del 100% di energia rinnovabile nel continente africano” si legge nel comunicato stampa di FEA, in cui si evidenzia che la crisi climatica non può essere risolta “spostando l’aria da una parte all’altra del mondo” trasformando l’Africa in una discarica virtuale. “I mercati del carbonio si fondano su diversi miti scandalosi: presumono che le emissioni permanenti di combustibili fossili possano essere equiparate ai fragili cicli biologici naturali del carbonio” sostiene in una nota Omar Elmawi, direttore esecutivo di Muslims for Human Rights (Muhuri, altra organizzazione ambientalista africana). “È illogico, questi due processi hanno cicli di vita diversi. Le soluzioni basate sulla natura, come il rimboschimento, non sono permanenti: il carbonio immagazzinato negli alberi viene rilasciato quando gli alberi bruciano o il terreno si degrada, perché dovremmo investire in progetti che lasciano più domande che risposte?”

FEA sostiene che i governi africani e di tutto il mondo sono “decisi” a promuovere unicamente l’agenda dei mercati del carbonio: “Centinaia di milioni di dollari sono stati promessi lunedì, inclusi 450 milioni di dollari dalla Carbon Alliance degli Emirati Arabi Uniti, per aumentare di 19 volte la produzione di crediti di carbonio in Africa entro il 2030” ma per i gruppi ambientalisti africani l’African Carbon Markets Initiative è l’ultimo programma di greenwashing sul quale politici, imprese e alcuni filantropi si stanno impegnando, sostenendo che risolverà il problema climatico dell’Africa. In base all’ACMI le aziende private sarebbero infatti libere di emettere fino a 2,5 miliardi di tonnellate di carbonio aggiuntivo all’anno entro il 2050 in cambio dei crediti di carbonio acquistati sui mercati.

Di altre criticità relative al sistema di commercio dei crediti di carbonio, in chiave africana, ho scritto qui parlando di un’azienda emiratina che acquista foreste in Africa per rivendere poi i crediti di carbonio ai privati. Un’operazione di greenwashing che, guarda caso, è messa in atto da un membro della famiglia reale di Dubai, che ospiterà la COP28.

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