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Il Made in Italy è conservazione del potere
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Si può parlare di Made in Italy quando il latte per fare famosi formaggi arriva dalla Polonia, il grano degli spaghetti arriva dal Canada o dalla Russia, la carne di maiale usata per prosciutti rinomati arriva dall’est Europa? Basterebbe guardare i dati delle importazioni di prodotti come il grano e delle esportazioni del famoso Made in Italy per rendersi conto che qualcosa non torna.
Chi difende a spada tratta il Made in Italy, in realtà difende alcuni gruppi di potere. Lo racconta bene questa inchiesta di Altreconomia, Inchiesta BF, il vero sovrano dell’agricoltura in Italia. In poche parole, la filiera agroindustriale italiana si è trasformata attorno a BF, una holding quotata alla Borsa di Milano, che ha inglobato tutti i settori chiave: i semi con la società SIS, la proprietà dei terreni con Bonifiche Ferraresi, primo proprietario terriero in Italia, la commercializzazione di input e servizi agricoli con Consorzi agrari d’Italia Spa, fino ad arrivare alla commercializzazione nei canali della Grande distribuzione organizzata del marchio Stagioni d’Italia (pasta, legumi e altro).
In altre parole, qui si è costruita una filiera per mantenere uno status quo di potere e di tipologia di agricoltura basata su petrolio/fitosanitari/pesticidi etc. E, guarda caso, la premier Meloni, appena eletta, dove è andata? Alla festa di Coldiretti a Milano.
Loro la chiamano sovranità alimentare – appropriandosi il nome di lotte decennali fatte dai contadini – ma qui sembra solo una conservazione del potere in mano ai soliti noti. I soliti sovrani.
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