Il modo in cui i media parlano di incidenti stradali è un problema

All’inizio di ottobre, una adolescente di Trento è stata uccisa da un motociclista che l’ha investita con la sua moto mentre spingeva sulle strisce pedonali il suo monopattino. In seguito all’impatto, anche il motociclista è morto.

La notizia, però, almeno in prima battuta, è uscita con parole diverse: «Tragedia a Trento, moto travolge monopattino»,  o anche «Incidente stradale a Trento: una 16enne in monopattino uccisa da una moto».

Al di là del fatto che la ragazza il monopattino lo stava spingendo, quindi formalmente era a piedi, questo titolo incarna la prima assurda tendenza nell’uso del linguaggio da parte dei giornalisti italiani quando scrivono di incidenti stradali che coinvolgono automobili a turno contro biciclette, pedoni o monopattini: il transfer della colpa dall’utente allo strumento.

Non sembrano mai i conducenti o le conducenti i responsabili degli incidenti, ma le auto, come se si guidassero da sole.

Ma questa tendenza linguistica è solo una delle storture che fanno della cronaca stradale (ahinoi genere che non manca mai sulle pagine dei quotidiani) un genere giornalistico pericoloso, che contribuisce ad alimentare un immaginario sbagliato e che ha come risultato la colpevolizzazione delle vittime e non dei carnefici.

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Andrea Coccia
Andrea Coccia
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