La moda italiana non è inclusiva

La notizia è di quelle che dovrebbe far tremare i polsi dell’intero mondo della moda italiana: la stilista italo-haitiana Stella Jean, unica stilista nera nel Consiglio della Camera della Moda italiana, ha annunciato la decisione di ritirarsi dalla Milano Fashion Week di fine febbraio: Stella Jean accusa la Camera della Moda non essere realmente impegnata per la diversità e l’inclusione. Jean ha anche annunciato uno sciopero della fame, preoccupata dal fatto che altri stilisti e designer appartenenti a una minoranza possano subire un contraccolpo dopo la sua decisione.

La Camera nazionale della moda italiana ha infatti ridotto in modo significativo, negli ultimi anni, il sostegno al collettivo We Are Made in Italy (WAMI), fondato e animato da giovani designer BIPOC (Black Indigenous People of Colour) che lavorano in Italia: a Slow News Michelle Ngonmo, presidente di Afro Fashion Week Milano e co-fondatrice di WAMI, ha detto che “la prima edizione ci è stata sponsorizzata da Camera Moda, la seconda edizione inizialmente sponsorizzata interamente e poi a metà. E poi la terza edizione, senza supporto economico” anche se Camera Moda ha messo a loro disposizione degli spazi.  Anche WAMI, co-fondato da Stella Jean, ha annunciato il ritiro dalla Fashion Week milanese di febbraio.

Carlo Capasa, che è presidente della Camera della Moda italiana, ha detto all’Associated Press che gli spiace della decisione della stilista, anche perché il calendario della Fashion Week milanese “è ricco di diversità”: “Nel calendario che presenteremo vedrete tutto quello che stiamo facendo per le persone di colore che lavorano in Italia”. Le “persone di colore”, le chiama Capasa illustrando la posizione della Camera della Moda, dimostrando quanto la denuncia di Jean abbia colto nel segno: si dice “nero”, proprio come si dice “bianco”. E no, non è un problema.

Secondo una lettera che la stessa Jean ha inviato a Capasa per spiegare le ragioni profonde della sua decisione, e le condizioni del suo sciopero della fame, si sono levate “diverse voci preoccupate per ripercussioni ‘lievi’ o ‘dure’, tra cui la difficoltà a reperire finanziamenti e servizi da parte di sponsor e partner”. Un problema che è alla base della decisione di WAMI di rinunciare alla Fashion Week. WAMI nasce infatti, sulla scia del movimento Black Lives Matter, per attirare l’attenzione sulla mancanza di rappresentanza delle minoranze nel mondo della moda italiana.

Tuttavia, accusa Stella Jean, alla Camera della Moda “hanno usato WAMI come un salvacondotto gratuito per la diversity”.

Se ti interessa il racconto di una moda diversa, più attenta alle persone, ai materiali e all’impatto ambientale, puoi leggere la serie di Slow News Il Diavolo Veste Cheap, di Anna Castiglioni.
Se ti interessa approfondire il tema della cultura della moda in Africa puoi leggere Le Turbaniste, di Andrea Spinelli Barrile

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