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Il tempo passa piano nel Sulcis. Che si tratti di bonifiche, bandi per i fondi europei o riavvio di impianti industriali, ogni azione per il territorio si dilata tra infinite attese e rinvii delle promesse di rilancio.
Esattamente un anno fa, la protesta su una ciminiera di quattro lavoratori della Portovesme Srl portò per pochi giorni l’attenzione dei media nazionali sulla crisi del Sulcis. Come abbiamo raccontato qui, però, non evitò agli impianti del piombo zinco della Portovesme di chiudere pochi mesi dopo. Risultato: cassa integrazione a rotazione per i circa 1200 lavoratori diretti e indiretti.
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E oggi? “Il lavoro è ancora dimezzato nello stabilimento”, ci racconta Francesco [il nome è di fantasia], che era sulla ciminiera a 100 metri di altezza quel 28 febbraio. Gli operai in cassa integrazione si alternano ancora nei pochi impianti in marcia, mentre sull’annunciata riconversione alla produzione di litio non si hanno certezze: il progetto generale sarà valutato da uno studio di fattibilità entro fine 2024; quello pilota, invece, si farà sicuramente, ma fuori dal Sulcis, in uno stato estero ancora ignoto. Il motivo? I tempi lunghi della valutazione di impatto ambientale della Regione Sardegna hanno dissuaso il gruppo Glencore, proprietario della Portovesme Srl, dal farlo a Portoscuso.
È l’ennesimo caso di scontro tra ambiente e lavoro, già complesso di suo e reso ancor più complesso dalla burocrazia. Lo stiamo raccontando proprio in una serie dedicata alle sfide sociali della transizione energetica, Il cammino del Sulcis.
Foto: Matteo Barsantini


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