
L’umiliazione e la bullizzazione sistematica del nemico sono armi politiche pericolose che appaiono sistematicamente nella storia dei conflitti, come ora a Gaza
Ma dove va la Tunisia?
È una domanda fondamentale, in tempi di fragili equilibri geostrategici e di “emergenza immigrazione”.
Mentre il presidente tunisino Kais Saied nega (per due volte) l’accesso al Paese di una delegazione ufficiale della Commissione Europea, chiedendo a Bruxelles di rispettare il Memoradum (mai firmato ufficialmente) che prevede lo stanziamento di 121 milioni di euro per Tunisi, fino ad ora (27 settembre 2023) ne sono arrivati circa 40, e continuando a violare i diritti umani delle persone migranti che entrano in Tunisia, il ministro degli Esteri tunisino Nabil Ammar, ha tenuto ieri a Mosca una sessione di lavoro con il suo omologo russo, Sergei Lavrov.
I hanno discusso le modalità per rilanciare le relazioni bilaterali ed espresso la volontà di rafforzare la cooperazione commerciale ed economica nei settori dei cereali, dei fertilizzanti, dell’energia e del turismo, nel rispetto reciproco ed evitando qualsiasi ingerenza negli affari interni dei rispettivi Paesi, della riforma del sistema di governance internazionale e lotta all’immigrazione irregolare e alle reti criminali ad essa collegate. Una cooperazione in tradizionale stile russo.
Il Piano Marshall (o Mattei) per l’Africa è, in realtà ma probabilmente non nelle intenzioni, la porta laterale per la Russia all’Europa: qui abbiamo spiegato perché. Le Afriche del piano Mattei vanno ponderate e con la Tunisia il capolavoro di cecità e superficialità politica è completo: l’Italia è riuscita a coinvolgere le istituzioni europee e riportare in Europa la Russia.
L’umiliazione e la bullizzazione sistematica del nemico sono armi politiche pericolose che appaiono sistematicamente nella storia dei conflitti, come ora a Gaza
Oggi sono morte delle persone, ma la tragedia degli sfratti è quotidiana e invisibile, è fatta di debiti, sgomberi e vite segnate che non fanno notizia
I confini — il Novecento, le generazioni, le nazioni — servono per muoverci nel mondo, ma non sono il mondo. Non sono da difendere, sono da superare
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