Stato d’emergenza: migranti

Il Consiglio dei Ministri n.28 del Governo Meloni ha deliberato

la dichiarazione dello stato di emergenza sull’intero territorio nazionale, per sei mesi, in relazione all’eccezionale incremento dei flussi di persone migranti in ingresso sul territorio nazionale attraverso le rotte migratorie del Mediterraneo

ancora una volta, un fenomeno prevedibile, previsto e inevitabile viene trattato come se fosse un meteorite che nessuno aveva visto arrivare.

La decretazione dello stato d’emergenza ha un precedente nel 2011.

Come sappiamo, uno stato d’emergenza prevede che si possano gestire determinate situazioni con poteri speciali.

Stando a quanto spiega il comunicato ufficiale, i 5 milioni di euro attualmente destinati a questa emergenza dovrebbero servire a

  • decongestionare l’hotspot di Lampedusa
  • realizzare nuove strutture di accoglienza
  • realizzare nuove strutture di riconoscimento e rimpatrio dei migranti che (citiamo testualmente) «non hanno i requisiti per la permanenza sul territorio nazionale»

Ragionare con visioni di breve periodo, ci insegna la storia recente, non ha mai aiutato a risolvere situazioni complesse. Eppure, si continua così.

Se possibile, questo stato d’emergenza è ancora meno comprensibile alla luce del recente passato: quello che Eleonora Camilli ha definito su A Brave New Europe “doppio standard di accoglienza”, emerso durante i primi mesi del conflitto russo-ucraino, quando alle porte d’Europa un flusso senza precedenti di migranti -in questo caso ucraini- ha messo alla prova la capacità europea di accoglienza (prova superata brillantemente grazie anche ad un lavoro corale e ad un saggio uso dei Fondi di coesione europei). Ne abbiamo parlato in uno Slow News Talk con Valerio Nicolosi: quando c’è la volontà politica tutto è possibile. Probabilmente, sui migranti non-ucraini, la volontà politica semplicemente non c’è.


Foto di Jametlene Reskp su Unsplash

 

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