Ep. 02

«Lo sapete gli ansiolitici di quanto sono aumentati?. Più 72%»

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.

I numeri che mancano

Seduto nel suo ufficio, Valeriani inizia a raccontarci la difficoltà di lavorare in un territorio in cui nessuno sembra voler raccogliere dati in maniera scientifica. «Io più volte ho chiesto alla Regione Marche dei numeri sistematici su cui lavorare, e quando non mi rispondevano ho anche sollecitato. Ma poi non è successo niente, e allora i dati ho iniziato a raccoglierli io insieme al mio team» spiega.

I numeri che lo psicoterapeuta stava cercando sono relativi ad un ampio spettro di fenomeni capaci, nel loro insieme, di fornire una fotografia adeguata di ciò che sta succedendo alla salute mentale di una comunità nel suo insieme. Perché – racconta – è certo utilissimo avere diagnosi su misura del singolo individuo «ma studiare l’individuo all’interno di un contesto sociale e comunitario più ampio è ancora più importante».

In qualità di psicoterapeuta, Valeriani aveva la necessità di capire come diverse fasce di popolazione, a partire da quelle più esposte a cambiamenti drastici e repentini quali gli anziani, stessero reagendo a quasi tre anni dal sisma. I dati raccolti da Valeriani – per quanto parziali a causa del mancato sostegno istituzionale – sono allarmanti.

«Iniziamo dalla mortalità degli anziani», ci dice. «A gennaio 2017 era aumentata anche del 50% rispetto all’anno precedente non solo nelle aree colpite dal sisma, ma anche quelle come Fermo, in cui i terremotati erano stati spostati. Queste persone si lasciano morire. E’ un incremento senza precedenti, ma purtroppo non è l’unico». A causa dei rapidi scombussolamenti causati dall’evacuazione di decine di Comuni, infatti, il consumo di farmaci prima relativamente rari si è impennato. «Tre mesi dopo il sisma, nel Distretto di Camerino abbiamo registrato un incremento del 4% nell’acquisto di antidepressivi e del 7% in quello di antipsicotici. Lo sapete gli ansiolitici di quanto sono aumentati?» ci chiede retoricamente.

«Più 72%», dice come fosse una sentenza.

Tutti gli incrementi sono riferiti rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

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Fasi differenti

Comprendere e descrivere la comunità marchigiana colpita dal terremoto, ci spiega lo psicoterapeuta, è un processo lungo e complicato, che richiede tempo, oltre a energie e pazienza. Una delle conclusioni principali a cui Valeriani è giunto è che nella società che ha studiato esistono varie fasi psicologiche nella gestione del post-shock, ciascuna dominata da sentimenti collettivi abbastanza netti e definiti.

«Anzitutto c’è la fase dell’esodo» dice con voce ferma. «E’ quel momento che si vive a partire dai giorni immediatamente successivi al trasferimento in massa verso, ad esempio, gli alberghi della costa adriatica. Succede che le abitudini quotidiane e tutto ciò che si tende a dare per scontato improvvisamente viene meno, e ci si ritrova in un posto nuovo, con abitudini e condizioni forzatamente nuove e peggiori, dove spesso si convive con gente mai vista e non si ha la più pallida idea di dove siano gli ex vicini di casa, o i conoscenti del quartiere o del paese».

In questa fase, spiega Valeriani, le persone hanno molta ansia perché si è una situazione di emergenza in cui tutto quanto è sospeso, e avere una visione di lungo periodo, sia individuale o familiare sia in termini di comunità, è impossibile. «Questa è la fase dello stress post traumatico, e in cui il consumo di medicinali, soprattutto ansiolitici, si è impennato. E’ anche il periodo in cui gli anziani hanno iniziato a morire a ritmi drammaticamente maggiori.

È ovvio che quando un evento del genere si verifica ad un’età giovane o mediamente adulta, si verifica uno shock, ma si ha anche la consapevolezza di avere dei mezzi anagrafici, lavorativi, spesso finanziari che rappresentano un paracadute. Gli anziani invece sono molto più esposti ad eventi così bruschi, perché più dipendenti da una vita ordinaria e perché spesso maggiormente legati ai territori che hanno dovuto abbandonare da un giorno all’altro».

Ma lo shock iniziale, racconta lo psicoterapeuta, dura di norma solo qualche mese: «Il tempo di realizzare che bisogna ricostruirsi una quotidianità, per quanto temporanea» dice. «La seconda fase io la definirei come depressiva, perché è caratterizzata da una visione profondamente negativa del presente e ancor più del futuro. Ciò genera sentimenti di angoscia prima e di rassegnazione poi».

Non è ancora chiaro quanto possa durare una fase simile, ma ciò che secondo Valeriani non è discutibile sono le origini di tale status a livello comunitario. «La stragrande maggioranza delle persone con cui parlo soffre per la mancanza di un’idea condivisa sul futuro, e quindi si sente impantanata in una situazione in cui mancano progetti seri di ricostruzione fatti a lungo termine e manca soprattutto un piano strategico per tornare alla normalità in tempi ragionevoli».

Domandiamo cosa servirebbe e la risposta è secca: «Tre cose semplici: case sicure, servizi e lavoro».

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Il lavoro che non c’è

La mancanza di lavoro è in effetti una dei problemi principali nelle comunità colpite dal sisma. Nella prima puntata de Il terremoto dentro, due donne raccontano le storie dei propri mariti, che si sono tolti la vita a meno di un anno dal sisma. Pur essendo molto diverse tra loro, le due storie hanno in comune non solo l’assenza delle istituzioni, ma anche problemi lavorativi di base. Del resto, il Centro Studi CNA Marche stima che solo nel cratere marchigiano si siano persi almeno 1500 posti di lavoro a fronte di circa 500 aziende chiuse.

Diego Camillozzi, attualmente presidente di La terra trema, noi no, tra i più importanti comitati per la ricostruzione del Centro Italia, sottolinea come ad oggi ancora in pochissimi sono riusciti a reinserirsi nel mercato del lavoro. La sua stessa esperienza personale di rappresentante commerciale racconta della difficoltà di dover viaggiare ogni giorno per chilometri prima di trovare qualche potenziale cliente. «A breve i mutui, i prestiti e le bollette non saranno più congelati, come lo sono ora» racconta Camillozzi. «Ma per quel giorno» aggiunge «in pochissimi avranno i mezzi per pagare gli arretrati. E a quel punto mi sa che i suicidi non riusciremo più a contarli da queste parti».

L’esperienza di Camillozzi, oggi divorziato, racconta bene anche la questione dei crescenti conflitti familiari. «I casi di separazione o divorzio sono in forte crescita» spiega Valeriani «e la causa principale è il forte stress ambientale che la mancata gestione post-sisma ha generato sulle vite di famiglie che non hanno più soldi, una casa, e spesso si trovano a dover convivere in luoghi depersonalizzati e molto più stretti, con un’intimità ridotta all’osso o addirittura inesistente».

Il comune di Ussita, provincia di Macerata, detiene il record nazionale per maggior numero di matrimoni terminati con un divorzio. Nel 2017 sono stati il 12%.

Un fenomeno simile lo racconta anche Stefania Servili, che abbiamo già incontrato nella prima puntata di Il terremoto dentro e che racconta come, insieme ad episodi di mutuo sostegno, a causa del terremoto le persone siano diventate più ciniche ed egoiste. «C’è una specie di dinamica tipo mors tua vita mea, per cui a volte sembra che aver subito meno danni di altri sia una colpa».

«Qui le persone» dice in conclusione «sono diventate meno umane».

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La filiera decisionale

Secondo Valeriani esiste un responsabile ben preciso di ciò che sta avvenendo alle popolazioni terremotate. «Nella seconda fase, quella depressiva, uno degli elementi più gravi è la mancanza di una filiera decisionale che sia non solo efficiente, ma anche trasparente». Lo psicoterapeuta spiega che le persone non vengono interpellate, e ciò che percepiscono è la presenza di un meccanismo oscuro fatto di istituzioni governative, regionali, europee, locali o internazionali che sanno interfacciarsi solo attraverso uffici e sportelli che producono quintali di documenti burocratici incomprensibili e spesso anche contraddittori. «Non si capisce cosa fare, dove andare e quindi neanche come poter programmare il proprio futuro».

Quello che lo psicoterapeuta descrive è un fallimento dello Stato, che non solo non riesce a gestire e avviare la ricostruzione, ma non riesce neanche a ripristinare delle comunità che sono disintegrate insieme al sisma. «Non è possibile pensare una ricostruzione senza coinvolgere le comunità che in questi posti ci vivono. Occorre mettere a sistema le varie voci sociali e immaginare una nuova offerta di servizi che siano scuole, luoghi di ritrovo o sindacati, mentre qui ancora nessuno sta provando a costruire un patto condiviso con le persone del posto».

Ne “Il mito di Sisifo”, lo scrittore e filosofo francese Albert Camus presenta la vicenda del personaggio mitologico greco come una metafora della natura irrazionale e illogica della vita dell’uomo, e racconta come il suicidio sia la conseguenza del momento in cui l’uomo prende consapevolezza della propria condizione di individuo condannato per l’eternità a vivere dentro un loop infinito e privo di senso. Quando chiediamo a Valeriani se sia scientificamente vero che nell’area colpita dal terremoto si sia verificato un aumento dei casi di persone che si sono tolte la vita, la risposta che ci fornisce però rimanda a una seria analisi dei dati. «Non possiamo dirlo con esattezza» dice «perché nessuno riesce a raccogliere dei dati utilizzabili».

Le ragioni sono due. Anzitutto ci sono casi di suicidio che vengono catalogati come morte naturale per questioni etiche. «E’ il caso soprattutto degli anziani allettati che si lasciano morire rifiutando gli alimenti, ad esempio. Ed è una casistica non trascurabile». E poi c’è il problema della relazione causa-effetto col terremoto. «In altre parole, è quasi impossibile dimostrare scientificamente che alcune persone si sono tolte la vita per via del terremoto e che in assenza di sisma non lo avrebbero fatto. Al massimo si può dimostrare una correlazione, ma certo non un rapporto causa-effetto. Ma anche su questo le istituzioni non ci stanno aiutando affatto coi dati».

Ciò su cui però lo psicoterapeuta non ha dubbi è la serietà del problema. «Il suicidio è l’ultimo step di un quadro davvero preoccupante e molto più esteso. Per fortuna solo in pochi ci arrivano, ma un aumento di questi casi è innegabile, ed è sintomo di un malessere diffuso a livello di comunità, non solo individuale».

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Verso una nuova fase

La società che Valeriani e il suo team osservano ogni giorno è in trasformazione. «Non direi che siamo usciti dalla fase depressiva, però qualcosa sta cambiando. E se possibile, sta cambiando in peggio» ci racconta.

Oltre all’angoscia e al senso di rassegnazione causato dalla convinzione che nulla possa tornare come prima, la comunità terremotata inizia adesso a sentire sulla propria pelle la difficoltà di adattarsi a delle condizioni che non sono più nuove, ma sono adesso percepite come immutabili e definitive. «Se dovessi fare una diagnosi di comunità, direi che queste persone sono affette da disturbo grave d’adattamento, cioè presentano difficoltà sociali nell’affrontare la situazione corrente. E le hanno» aggiunge «perché gli era stato detto che gli alberghi, le casette e le macerie sarebbero state temporanee e velocemente sostituite. Invece dopo tre anni l’emergenza è diventata normalità, e probabilmente lo sarà ancora a lungo. Qui ci si sente dentro ad un tempo congelato dentro un eterno presente».

Valeriani ritiene che la visione del futuro è passata dall’essere un’utopia, secondo cui tutto sarebbe tornato rapidamente come prima, a una distopia, dove tutto sarà distrutto per sempre.

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Una nuova società

A tre anni dal sisma, il medico ha ora la possibilità di descrivere non solo la condizione psicologica della sua comunità, ma anche la sua trasformazione sociale. «Per riassumere, potremmo dire che il sisma ha accentuato le ineguaglianze economiche che c’erano prima del sisma stesso. Infatti qui ci sono rimasti gli anziani, mentre i più giovani si sono trasferiti in aree in cui è meno fantascientifico immaginarsi un futuro, così come le persone con più risorse se ne sono andate perché avevano la possibilità di comprarsi casa altrove, mentre i più disagiati ancora aspettano lo Stato. Cioè, è una dinamica di selezione darwiniana: chi ha i mezzi sopravvive, chi non ce li ha ed è più fragile si affida a qualche oscuro aiuto istituzionale che forse un giorno arriverà. Però non siamo nella giungla, ma nell’Italia del 2019».

Nel frattempo, Valeriani e il suo team sono soggetti a condizioni lavorative sempre più estreme. «Non solo non ci sono mai stati forniti i dati e i fondi di cui abbiamo bisogno per lavorare, ma addirittura ci hanno tagliato i finanziamenti». Nell’ultimo anno al suo ufficio sono arrivati 240mila euro in meno per l’assistenza sanitaria a domicilio per gli anziani.

La mole di lavoro crescente a fronte di finanziamenti sempre più scarsi ha obbligato l’ufficio a uno stress progressivamente maggiore. «Siamo sotto organico, ho vari dipendenti in burn-out, alcuni si sono ammalati, altri si sono licenziati, uno addirittura lavora in un pub a Birmingham» spiega lo psicologo.

“E lei ha mai pensato di staccare tutto e andarsene?” chiediamo.
«Beh, qui la situazione è complicata e ogni giorno è una sfida. Quello che posso dire è che sento un forte senso di responsabilità verso questa comunità che mi porta a non abbandonarla proprio ora che è così ferita. Però è tanto difficile, e capisco chi se ne va. Non è facile. Per niente».

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