In un contesto del genere il messaggio radicale, di qualsiasi matrice sia, ha solo che da guadagnarci no?
Sì, esatto, è qui che entra in gioco l’Isis. E vince facile, perché non deve nemmeno andarli a prendere, sono i ragazzi che li vanno a cercare. Succede perché sono atomizzati. E infatti non è un caso che la maggior parte dei terroristi islamici si sono radicalizzati proprio in carcere, il luogo dell’isolamento e dell’emarginazione per eccellenza, non nelle moschee, luoghi al contrario di comunità. E nel carcere questi individui si riaggregano, riformano una comunità, si proteggono dagli altri e dallo Stato. Pensa poi anche all’altro grande luogo della radicalizzazione: internet. Anche li, giovani emarginati e solitari si ritrovano e riformano una specie di comunità, formano i gruppi per compiere azioni. Come il ragazzo che sgozzò il prete in Francia insieme a un altro. Si erano conosciuti su internet e si erano visti di persona soltanto la sera prima.
C’è una cifra molto post moderna nell’Isis?
Sì, assolutamente. Perché accettano e cavalcano la modernità e sanno benissimo in che mondo vivono, lo sfruttano. Si trovano nel bel mezzo di un cambiamento epocale, sia sociale che tecnologico, e lo sanno cavalcare alla grande. Hanno capito prima di tutti che più che i testi e i discorsi funzionano i video, per esempio. Accettano, a differenza nostra, la globalizzazione. E tutti coloro che gli si avvicinano sono sì degli emarginati, ma sono anche dei globalizzati.
Questa sfida della globalizzazione invece noi la stiamo perdendo?
Certamente, sia la destra che la sinistra occidentali si pongono contro la globalizzazione, come se fosse una cosa evitabile, mentre i ragazzi che aderiscono all’Isis sono globalizzati, nelle loro camerette solitarie, nei quartieri emarginati delle città europee, lo accettano.
La sinistra però di base sarebbe internazionalista, mondialista…
Sì, è vero. L’estrema sinistra è mondialista, ma il pattern con cui si muove è il tentativo di federare lotte iperlocali — la Tav, per esempio — o le piazze e i movimenti. E poi è composta da militanti che sono bianchi, europei e provenienti dalla classe media. Sono gli immigrati che sono veramente globalizzati. Quindi non ci sono alternative, la sola rivolta globale e radicale in questo momento è rappresentata dall’Isis. Per ora c’è questo.
Dopo l’islamizzazione della radicalismo potremmo assistere a quella del precariato, o dell’anarchismo, o del nichilismo assoluto?
Certo. In questo momento funziona l’islam perché prima di tutto è la cosa che più terrorizza i borghesi. Un terrore che vediamo benissimo in alcuni atteggiamenti grotteschi. Per esempio, appena veniamo a sapere che qualcuno ha ucciso qualcun altro con un coltello la prima cosa che chiediamo è se ha detto Allah Akbar. Non ci interessa l’atto efferato e violento. Ci interessa in nome di cosa l’hanno fatto. E se non hanno detto Allah Akbar chi se ne frega. Pensa al pilota della Germanwings, ha ucciso più di cento persone e, fintanto che poteva essere un terrorista islamico eravamo tutti terrorizzati, appena si è saputo che era solo una persona instabile di mente ce ne siamo dimenticati.
Quanto conta la narrazione che noi giornalisti facciamo di questi fatti?
Tantissimo. Ed è pazzesco come sia impossibile ragionare con i giornalisti, che tra l’altro non sono normalmente islamofobi, sono quasi tutti liberali o di sinistra. Guarda, il caso perfetto per capire questa dinamica sono gli attentati accaduti a Londra e a Parigi i giorni precedenti il referendum e le elezioni. La teoria francese è stata “vogliono fare eleggere Le Pen”, la teoria inglese è stata “vogliono far vincere Farage”. Non è successo in nessuno dei due casi, perché in UK ha vinto Corbyn, un socialista, mondialista. Mentre in Francia ha vinto Macron, solo perché era più cool.
Eppure la narrazione giornalistica negli ultimi mesi ha toppato molte interpretazione, da Trump alla Brexit, per fare due esempi…
Sì, la gente ha votato esattamente il contrario di quel che avevano predetto i giornalisti. La gente è molto meno isterica dei giornalisti. Questi ultimi scrivono che l’Isis vuole portare l’opinione pubblica occidentale in una guerra civile contro i musulmani. E che cosa è successo in realtà? Giusto un paio di molotov su due moschee ed è tutto.
Ordinario razzismo, quindi…
Ma sì, cose tutto sommato normale e isolate. Non abbiamo certo assistito ad attacchi e linciaggi contro i quartieri musulmani. A Barcellona addirittura c’è stato un riavvicinamento delle comunità, con tanto di abbraccio tra un imam e il padre di una vittima.
In effetti quell’episodio, a parte la foto e un paio di titoli pietisti ad effetto poi non è stata contestualizzata per niente, come mai?
Ma no, ed è folle, non riesco a capire perché. Ho un sacco di amici giornalisti, eppure non capisco cosa gli passi per la testa. Nel paese dove abito in Francia hanno fatto un’inchiesta sull’Islam. Sono andati a cercare un po’ di persone da intervistare, una specie di casting. Avevano a disposizione un po’ di gente del quartiere difficile a maggioranza islamica, ma anche un po’ di esponenti della borghesia islamica. Sono andati a parlare con entrambe, ma nell’articolo c’era solo il primo mondo.
Forse perché è difficile affrontare la complessità…
Sì, può essere. Anche in televisione, non so se hai notato, ma quando invitano i radicali questi parlano sempre un perfetto francese. Quando invece invitano l’imam gentile e moderato, questo non riesce a dire due frasi in croce. E scommetto che se un giorno gli portassimo un imam moderato e gentile che parla perfettamente francese lo rifiuterebbero, direbbero che non è abbastanza “tipico”.
Farebbe ridere se non fosse allucinante…
Allucinante, hai detto bene. Il rapporto tra le generazioni è molto teso in questo periodo. Lo vedo nei miei figli. La vostra generazione è risentita verso la mia, ci accusate di avervi rubato il futuro. La prima conseguenza è che vi siete allontanati dalla politica, non militate più, non parlate nemmeno più di politica ormai. Al limite c’è chi gioca al fascismo e chi all’antifascismo, ma della politica di adesso, nessuno ne parla.
E un rapporto contraddittorio però, vi accusiamo di averci rubato il futuro, ma alla fine la casa ce l’avete comprata voi…
Sì, è molto complesso. Un’altra cosa molto interessante è la fine del femminismo: la generazione militante, quelle della mia generazione, non capiscono le nuove generazioni per niente. Non riescono a capire come le giovani possano essere, per esempio, molto più tolleranti verso il velo, che invece per loro è il simbolo stesso dell’alienazione della donna. Non capiscono come possano delle ragazze nate e cresciute qui andare in Siria a fare le mogli e le madri dei jihadisti. Potrebbero capire se andassero a combattere, ma assolutamente no che vadano a stare in casa, a badare alla famiglia e, sostanzialmente, a produrre la prossima generazione di combattenti. E così non poche delle mie compagne dell’epoca ora vogliono che il femminismo diventi una norma da imporre, che però è la negazione stessa della libertà sulla cui base è nato il femminismo.
È un po’ come lo stato laico che, radicalizzandosi, diventa sostanzialmente una dittatura delle idee…
Ti racconto una storia. Quando andavo al liceo le scuole in Francia erano ancora divise, quindi le mie cugine andavano nella scuola di fronte. Quando entravano, la direttrice le aspettava con un metro in mano per misurare la lunghezza delle gonne e, se erano troppo corte, non le facevano entrare. Ora, giusto qualche mese fa, in un liceo francese hanno tirato fuori di nuovo il metro e si sono messi di nuovo a misurare le gonne. Solo che questa volta la gonna doveva essere corta, se era troppo lunga le ragazze venivano mandate via. La consideravano una tunica.
È incredibile. Abbiamo fatto il giro…
È sempre la stessa cosa. Il corpo della donna è portatore della norma. A un certo momento, quando hanno vietato il velo, hanno pensato di vietare la barba. Per fortuna era la moda degli hipster.
È grottesco, come possiamo uscirne?
Il problema è che i valori di liberazione vengono promossi come norma obbligatoria. Per esempio, in Belgio, Olanda, Germania e altri paesi dell’Unione Europea fanno un test per l’integrazione. Bisogna rispondere a un questionario in cui si deve rispondere se si è d’accordo o meno con delle frasi. In Olanda obbligano il candidato a guardare la foto di una donna in topless, foto il cui sottotesto é: se volete abitare qui dovete accettare che le donne possano andare in giro anche così. Bene. Ma qui c’è un problema. Qualcuno l’ha fatta al Papa questa domanda? E al capo della Chiesa dei mormoni l’hanno chiesto? C’è evidentemente tanto che non va. In un’altra domanda, questa volta a risposta multipla, chiedono se la nudità è un valore tedesco. Ehm, sì, ok, a Monaco in effetti c’è un posto apposta nel parco dove possono andare i nudisti, ma non mi azzarderei a dire una cosa come “la nudità è un valore del popolo tedesco”, non ha molto senso. E poi non credo che Ratzinger sia d’accordo, per esempio. Che facciamo? Lo deportiamo?
Sulla questione dei diritti omossessuali?
È la stessa cosa, io personalmente sono d’accordo, ma se diciamo che i diritti degli omosessuali sono un valore condiviso dell’Europa, be’, purtroppo la risposta è no. E non soltanto per l’opposizione della Chiesa, ci sono anche tutti i partiti conservatori. La Chiesa accetta ovviamente la dignità dei singoli ed è arrivata ad ammorbidirsi un po’, ma non accetta minimamente alcun diritto di matrimonio o di riconoscimento.