Ep. 05

Storia di un adesivo

J’existe. Io esisto. Sono le parole riportate su un adesivo che in Europa, almeno dal 2015, sta letteralmente spopolando.

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.

J’existe. Io esisto.

Sono le parole riportate su un adesivo che in Europa, almeno dal 2015, sta letteralmente spopolando. Ho visto per la prima volta questo sticker a Bruxelles, le parole scritte in nero su fondo bianco appiccicate a un lampione a pochi metri dall’ingresso del palazzo della Commissione Europea. Pensai subito a Cartesio, filosofo e matematico francese della prima metà del Seicento, e al suo famoso «cogito ergo sum sive existo»: penso, quindi sono, ossia esisto. In realtà, cosa meno nota, il primo ad utilizzare questa formula è stato il filosofo spagnolo Gomez Pereira circa ottant’anni prima di Cartesio. Quest’ultimo ne scrisse per la prima volta in francese nel Discours de la méthode (anno 1637): riconsiderando tutto ciò che si conosce, pensieri oggetti e cose, nelle sue meditazioni metafisiche il filosofo francese si rese conto e teorizzò l’illusoria realtà di tutta questa conoscenza. Arrivò a chiedersi come, essendo noi stessi niente, possiamo vivere: per Cartesio il semplice fatto di porsi questa domanda rende l’uomo [nel senso di essere umano, nda] vivo, esistente, reale, non illusorio. Una visione che fa da principio cardine dell’intera filosofia cartesiana e che fu ripresa dallo scrittore e filosofo francese novecentesco Albert Camus.

Camus, nel saggio del 1942 Il mito di Sisifo. Saggio sull’assurdo riconosce come assurda l’intera esistenza, nega qualsiasi valore o significato trascendente la vita e il mondo e pone la “sopportazione” come unica soluzione e la “protesta/ribellione” come rimedio all’assurdità dell’esistenza, come unico valore effettivo della vita stessa. «Je me révolte donc je suis» scriveva Camus, “mi rivolto quindi sono”: in qualsiasi altra declinazione la vita non avrebbe senso e il suicidio, sia fisico che intellettuale (per Camus quest’ultimo avviene nella religione), diventa l’unico problema filosofico serio. Davanti al non-senso la domanda sorge spontanea: ha senso vivere?

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Bruxelles. Foto di Andrea Spinelli Barrile

Giocando con Cartesio e Camus si può arrivare, infine, alla più moderna locuzione «Je resiste donc j’existe», resisto quindi sono. Più moderna perché è solo da qualche decennio che gruppi, attivisti e associazioni europee che promuovono l’autodeterminazione della Palestina utilizzano questa formula in operazioni di comunicazione politica: poster, magliette, striscioni, slogan che declinano tutti la locuzione figlia di Camus e nipote di Cartesio. L’ambiente politico di riferimento è quello antagonista ma ci sono anche scrittori (Pietro Tabucchi in Resisto dunque sono, Corbaccio), accademici (Fabrizio Sabelli, Je résiste, donc j’existe, Presse universitaires de France) e artisti a dare manforte alla nuova locuzione.

Da qui l’adesivo e la scritta, nera su fondo bianco, definitiva e disarmante: «J’existe». Io esisto. Esisto io che leggo e io che scrivo ma anche io che appiccico l’adesivo. Ed esiste l’adesivo e questo mica è un dettaglio che puoi trascurare. E via discorrendo. L’idea dello sticker, e molto altro ma ci arriveremo, è venuta all’artista e illustratore belga Thierry Jaspart: chi gira per l’Europa per studio, per lavoro o per diletto avrà probabilmente incontrato uno degli adesivi «J’existe» su qualche metropolitana, attaccato a qualche palo della luce o a un cestino dei rifiuti, su una panchina, sulla canna di una bicicletta, sul fianco di un parchimetro, sulla cassetta di ceramica di qualche bagno pubblico. Aiutandoci con Google abbiamo scoperto che si sono registrati avvistamenti dell’adesivo «J’existe» a Bruxelles, ad Amsterdam, a Praga, a Berlino, a Parigi, a Monaco di Baviera, a Budapest, a Roma. E chissà dove altro ancora (Napoli, Losanna, Stoccolma, eccetera).

Raramente la street-art è pura estetica.

Quasi sempre questa si lega a un progetto che può essere sociale, artistico o politico, magari vagamente definito ma che tracima i confini della singola opera immergendo lo spettatore nel significato della stessa. Lontano dall’oggetto e dal qui e ora. Potremmo definirla estetica politica. La forza dell’arte, quando si lega alla denuncia, è proprio nelle percosse emotive che l’autore riesce a infliggere all’osservatore: l’arte così fa scandalo e fa cultura e oggi, ma già da diversi decenni, è la street-art la forma d’arte critica per antonomasia, distruttiva e costruttiva allo stesso tempo. Il lavoro dell’artista è, in questo senso, estremamente complesso: non basta l’impatto e non basta la dichiarazione d’intenti, occorre che queste due cose si fondino, lavorino assieme agli occhi e alla testa di chi osserva. Per fare questo non serve entrare né dentro il Louvre né agli Uffizi, che diventano semplici scatole per curiosi e collezionisti mostrando un’arte turistica e (qualcuno direbbe) capitalistica. Occorre radicarsi al mondo. Raccontarlo, denunciarlo auto-proclamando la propria presenza artistica e la propria arte, affermando l’esistenza di questa non solo nei luoghi deputati per contenerla. La street-art, come una vera e propria opera rinascimentale, nonostante la caducità che la caratterizza si colloca oltre lo spazio e il tempo. Esiste. E quell’adesivo afferma proprio questo: «J’existe».

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Ouzoud, Marocco. Foto di Andrea Spinelli Barrile

Quando abbiamo deciso di scrivere questa storia è stato perché questo adesivo ha valicato i confini meridionali dell’Europa attaccandosi su panchine, muri, stipiti, pensiline degli autobus e bagni pubblici in Marocco e, abbiamo scoperto, anche in Tunisia e Algeria. E chissà dove altro ancora. Chi scrive può testimoniare direttamente di aver trovato sticker «J’existe» a Marrakech, Beni Mellal e nella piccolissima e rurale cittadina di Ouzoud, arrampicata tra le omonime e spettacolari cascate (le seconde più alte d’Africa) in una gola nel cuore dei monti del medio-Atlante. L’anima del Marocco berbero. Google inizialmente non ci ha molto aiutato nella nostra indagine: cercando come keyword “j’existe” abbiamo trovato una piccola azienda di Pisa (pagina 2), un movimento politico di Dinant, Belgio vallone, che promuove la trasparenza nella pubblica amministrazione, un’associazione di Aixe-sur-Vienne, Francia, dedicata ai bambini con disabilità multiple e autismo. Poco altro, fino a un Tumblr e a uno shop online: quest’ultimo racconta «J’existe» in modo diverso, attraverso un’operazione commerciale. E poi c’è il blog di WordPress dell’artista Thierry Jaspart, un “giornale esoterico” sulla musica, la fotografia, internet e il disegno nella sua accezione più ampia.

Il lavoro di Jaspart su J’existe è diventato un lavoro sapiente di marketing che incuriosisce, che poi è esattamente ciò che il marketing dovrebbe fare. Si colloca dentro una cornice artistica e politica, saccheggia dalla filosofia francese per piegare tutto al valore assoluto del nostro tempo: l’Ego. Jaspart usa l’arte come un megafono dell’amplificazione di sé ma nel frattempo riesce a mantenere un sostanziale anonimato. Continentale. E sempre più globale.

«La felicità e l’assurdo sono due figli della stessa terra. Sono inseparabili»
Albert Camus
Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
Ouzoud, Marocco. Foto di Andrea Spinelli Barrile

Indagando la scritta su un adesivo che compare un po’ dappertutto abbiamo potuto riflettere sull’arte e sull’arte di strada. Abbiamo scoperto Thierry Jaspart e il suo Ego, che è un po’ l’Ego di noi tutti, abbiamo rispolverato Cartesio e Camus dalla libreria e toccato un nuovo modello di business artistico che cavalca quell’elemento che ci rende decisamente mammiferi: la curiosità. Per farlo abbiamo viaggiato qualche migliaio di chilometri e perso diverse ore su internet, scritto una decina di email e parlato con un po’ di persone. Non solo: abbiamo scoperto che decine di migliaia di persone in Europa hanno notato l’adesivo «J’existe», altrettante lo hanno postato sui social [usa sui tuoi social l’hashtag #jexiste, nda] e la maggior parte di loro si sono chiesti: che cosa significa questo adesivo? Rispondendoci telegraficamente a una mail è proprio Jaspart a farci sapere che siamo sulla cattiva strada: nessun Cartesio, nessun Camus ma France Gall, la Blondie francese. France Gall, pseudonimo di Isabelle Genevieve Marie Ann Gall, artista morta nel gennaio 2018, nel 1981 pubblicò il singolo Rèsiste.

Et voilà.

Che cosa è allora J’Existe? È la formula dell’oggi, della modernità: dell’affermarsi, o meglio dell’autoaffermarsi producendo immagini senza immagine. È la rivendicazione testuale di un’esistenza che oggi è declinata nell’apparenza. Non è una novità e, al contempo, non è una banalità. È solo il tentativo di fare chiarezza tra l’immagine e il testo. E non è mica poco.

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