Ep. 05

L’anno della Restaurazione

Il lockdown poteva essere l’occasione per ripensare tutto, ma l’abbiamo persa

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Realismo automobilista

Nell’ultimo secolo, le auto hanno occupato il nostro tempo, il nostro spazio e persino il nostro immaginario.

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Un anno orribile

I dati delle vendite di automobili nel corso del 2020 non lasciano spazio a tanti giri di parole: quello che ha vissuto la filiera dell’auto, una tra le più grandi filiere industriali del mondo intero, è stato decisamente un annus horribilis. Solo in Francia, secondo il CCFA, il Comitato dei costruttori francesi di automobili, nel 2020 sono state immatricolate 1.650.118 automobili private. Il che significa, fuori di statistiche, il peggior dato dal 1975. Un calo netto di immatricolazioni rispetto all’anno precedente del 24,4 per cento.

Non è certamente soltanto il mercato francese ad aver vissuto questo incubo. In Germania il calo è stato del 19,1 per cento, con 2.917.678 auto immatricolate. In Italia del 27,9 per cento, con 1.381.496 auto vendute. Negli Stati Uniti del 13,8 per cento, con 14 milioni e 670 mila automobili vendute. E fanno ancora più spavento le cifre mese per mese, tra le quali appaiono cali percentuali di quasi l’80 per cento durante i mesi più duri del lockdown.

Insomma, se nel 2019 i produttori di automobili potevano permettersi di sperare di sfondare quota 100 milioni di veicoli prodotti all’anno entro un paio di anni, nel 2020 la speranza è diventata sopravvivere alla pandemia.

Cosa significa? Sopravvivere contemporaneamente alla crisi del potere di acquisto della popolazione legata alla crisi economica da essa generata, ma anche sopravvivere all’aumento di attenzione verso le strategie di mobilità alternative che questa crisi ha generato nell’opinione pubblica e all’interno di molte comunità, soprattutto cittadine, desiderose di sfruttare l’ictus generato dal coronavirus per proporre nuovi modelli di mobilità a misura d’uomo piuttosto che a misura d’automobile.

Di fronte a questa congiuntura, come ogni vecchia struttura di potere che si appresti ad affrontare una rivoluzione che minaccia di spazzarla via, i produttori di automobili avevano di fronte due possibilità: vivere il 2021 come l’anno dell’ecatombe o trasformarlo nell’anno della Restaurazione. Per farlo non hanno aspettato. La battaglia è cominciata da subito.

La conferenza stampa di Macron a Etaples

La Restaurazione

Il 26 maggio del 2020, a Etaples, nel dipartimento di Pas-de-Calais, da uno stabilimento di Valéo, azienda francese leader nella produzione di componentistica per le automobili, il presidente della Repubblica Emmanuel Macron tiene una conferenza stampa. Sul palchetto da cui parla, poco sopra il tricolore e poco sotto il titolo del suo intervento — Plan pour l’automobile — tre parole scimmiottano il motto della Repubblica: Ecologico, competitivo, francese.

Mentre alle spalle del Presidente, con il volto serio, c’è il ministro dell’economia Bruno Le Maire, di fronte con il fiato sospeso, non milioni di cittadini bensì poche decine di persone, i consigli di amministrazione delle più case produttrici del Paese, il cui futuro dipende dalle decisioni del Presidente.

Il contenuto dell’annuncio? Un fiume di soldi in aiuti diretti e indiretti alla filiera dell’automobile: più di 8 miliardi di euro a pioggia su tutta la filiera. Per i consumatori, in aiuti individuali, ciò si concretizza in un “bonus ecologico” che può arrivare fino a 7000 euro per acquistare una macchina elettrica, fino a 2000 per una ibrida e fino a 5000 come premio di riconversione. In più, per sostenere la riconversione della filiera industriale, Macron annuncia 200 milioni per la trasformazione industriale e 150 per la ricerca.

Quasi un anno dopo, il 31 marzo 2021, a Pittsburgh, in Pennsylvania, Joe Biden tiene un discorso nella sede dei sindacati della città. Non è un caso che abbia scelto quel luogo, né che abbia scelto di tornare proprio a Pittsburgh. Lì aveva cominciato il suo tour elettorale, lì aveva annunciato di accettare la nomination democratica e lì aveva fatto il suo ultimo discorso prima dell’Election Day. Tre discorsi importanti, ma non come quello di quel giorno.

Dal palco, infatti, Biden annuncia l’American Jobs Plan, il gigantesco piano da circa 2000 miliardi di dollari in dieci anni per rinnovare le infrastrutture americane e compiere anche in America la transizione ecologica.

Sui quasi mille miliardi di investimenti netti su cui conta il piano che annuncia il Presidente Biden, 174 miliardi di dollari sono destinati a sovvenzionare il mercato delle auto elettriche, mentre 165 miliardi andranno alle strategie di trasporto alternativo, ai servizi pubblici e alla rete ferroviaria. Tutti questi soldi, come quelli promessi da Macron alle industrie francesi quasi un anno prima,  saranno messi a disposizione sotto forma di finanziamenti a fondo perduto e incentivi per stati, amministrazioni locali e privati.

L’obiettivo sul lungo termine del governo Macron è chiaro: tenere in vita le industrie automobilistiche rilanciando il modello classico, quello delle sovvenzioni statali, continuando a incentivare l’utilizzo dell’automobile e la sua produzione. L’unica grande differenza con i piani di incentivi che da decenni hanno fatto da stampella al mercato, l’etichetta della transizione ecologica, la cui urgenza è ormai innegabile persino dal settore dell’automotive, che ora per sopravvivere ha bisogno che gli automobilisti sostituiscano le auto a benzina con quelle elettriche.

There is no alternative, ancora

Ascoltando il discorso di Macron prima e di Biden dopo, sono in molti a farsi la stessa domanda: com’è possibile che i produttori di automobili abbiano così tanto potere? Una domanda che è più utile mettere giù in un altro modo: come è possibile che sia più facile immaginare la fine del mondo che la fine delle automobili?

I due piani, infatti, seppur incomparabili in quanto a dimensione e vastità, hanno un solido baricentro comune: mettono un sacco di soldi sul tavolo dell’industria delle automobili. Ovvero delle stesse persone che da un secolo hanno guidato le politiche di mobilità in tutto il mondo attraverso investimenti di risorse enormi nella comunicazione, sia per pubblicità sia per la diretta proprietà dei mezzi di comunicazione, ma anche nella politica, sia in attività di lobbying e di influenza, sia in finanziamenti diretti ai partiti politici.

Il risultato è esattamente quello che avevamo di fronte anche prima della pandemia: una dipendenza talmente totale e totalizzante delle nostre società dalle auto da obbligarci a rispondere alla domanda su come potremmo mai sopravvivere senza in un modo solo e netto: è impossibile, non ci sono alternative.

There is no alternative. L’adagio che secondo Mark Fisher rappresentava la vittoria del Realismo capitalista funziona benissimo anche per il Realismo automobilista.

Foto in copertina: Ameer Basheer su Unsplash.
Questo articolo è già apparso in francese e in italiano su Le Grand Continent

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