
Prima o poi doveva arrivare un Barbero su Cose che restano, no? Quel giorno è oggi, il tema è la guerra lungo la storia dell’Umanità e come al solito è illuminante
Si può addestrare una macchina a creare un video talmente realistico da impersonarci? Sì. Si può.
E così, c’è qualcuno che – sicuramente anche per marketing della propria azienda e per dire di essere stato il primo a farlo – dice di aver chiesto di tutelare il proprio “aspetto”, o meglio, le versioni di sé generate da AI all’U.S. Copyright Office.
In effetti, si tratta di Tom Graham, il CEO di un’azienda in grado di produrre anche deepfake. Cioè video iper-realistici di persone che dicono o fanno cose che non hanno mai detto o fatto. O di persone che non esistono affatto. Qui puoi vedere un esempio.
«Le AI generative possono creare contenuti che sembrano reali,» ha detto Graham in un video, «e gli avatar di persone qualsiasi potrebbero essere inseriti in contenuti di terzi, senza consenso. Non è corretto, e non dovremmo mai perdere il controllo della nostra identità, privacy o dei nostri dati biometrici […] Spero che la registrazione delle versioni fotorealistiche di me stesso generate dalle AI potrà aiutarmi ad agire contro eventuali creazioni di AI non autorizzate in futuro».
È uno dei tanti problemi che dovremmo cominciare a porci.


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La cosa che resta di oggi è un articolo uscito ieri su Jacobin, firmato da Silvia Gola e Mattia Cavani, redattori e attivisti di Acta, intitolato Sfruttamento editoriale, il personale e il politico. Parla della precarietà del lavoro culturale prendendo spunto da uno sfogo dello scrittore Jonathan Bazzi di qualche tempo fa, ma mette al […]

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