
Il 90% tra vestiti usati e rifiuti tessili provenienti da paesi europei sta finendo in Africa e Asia, con conseguenze anche molto gravi sull’ambiente.
Si può addestrare una macchina a creare un video talmente realistico da impersonarci? Sì. Si può.
E così, c’è qualcuno che – sicuramente anche per marketing della propria azienda e per dire di essere stato il primo a farlo – dice di aver chiesto di tutelare il proprio “aspetto”, o meglio, le versioni di sé generate da AI all’U.S. Copyright Office.
In effetti, si tratta di Tom Graham, il CEO di un’azienda in grado di produrre anche deepfake. Cioè video iper-realistici di persone che dicono o fanno cose che non hanno mai detto o fatto. O di persone che non esistono affatto. Qui puoi vedere un esempio.
«Le AI generative possono creare contenuti che sembrano reali,» ha detto Graham in un video, «e gli avatar di persone qualsiasi potrebbero essere inseriti in contenuti di terzi, senza consenso. Non è corretto, e non dovremmo mai perdere il controllo della nostra identità, privacy o dei nostri dati biometrici […] Spero che la registrazione delle versioni fotorealistiche di me stesso generate dalle AI potrà aiutarmi ad agire contro eventuali creazioni di AI non autorizzate in futuro».
È uno dei tanti problemi che dovremmo cominciare a porci.
Il 90% tra vestiti usati e rifiuti tessili provenienti da paesi europei sta finendo in Africa e Asia, con conseguenze anche molto gravi sull’ambiente.
L’aumento delle colture di tabacco da reddito in Africa sta mettendo a rischio la sicurezza alimentare e nutrizionale.
Lo conosciamo dal 1865, spiega perché più strade costruiamo e più diminuisce la loro efficienza e una sitcom australiana ci aiuta a spiegarlo bene.