
Alle radici di una parola che sembra antica, ma che è nata nel Novecento per definire un crimine “moderno”.
Il 10 marzo a mezzogiorno il Parlamento georgiano, riunito in una seduta straordinaria convocata la sera prima, ha bocciato il progetto di legge sugli agenti stranieri in seconda lettura, annullandolo e mettendo la parola “fine” a questa vicenda. Il voto del Parlamento è stato espletato senza dibattito: dei 58 parlamentari presenti, 35 hanno votato contro e uno a favore.
Il principale partito di governo, Sogno Georgiano, aveva annunciato ieri mattina la decisione di annullare il provvedimento, la resa di fronte alle proteste popolari che da settimane accusano il governo di Tiblisi di voler imbavagliare l’opinione pubblica e l’opposizione, allontanare le aspirazioni europee della Georgia e avvicinare il Paese alla Russia.
Abbiamo sintetizzato la vicenda qui.
Nonostante la promessa del partito di maggioranza il Parlamento non aveva in programma altre sedute per questa settimana. Ragion per cui i manifestanti sono scesi in piazza anche ieri sera, con un presidio di migliaia di cittadine e cittadini, radunatisi ancora una volta di fronte al Parlamento: la piazza ha messo talmente tanta pressione al palazzo che, la sera del 9 marzo, questo ha deciso di programmare una sessione straordinaria per il giorno dopo.
Cosa è il progetto di legge sugli agenti stranieri?
Si tratta di una proposta che ricalca una legge presente dal 2012 nel codice penale russo e che prevede che organizzazioni ed enti non commerciali (organizzazioni internazionali, associazioni, media, etc) che ricevono più del 20% del proprio finanziamento da fonti straniere siano registrate come “agenti stranieri”. In Russia questa legge è stata utilizzata ed applicata anche per mettere a tacere le voci dissenzienti le politiche governative.
Per “fonti straniere” si intendono agenzie di governi stranieri, individui o persone giuridiche che non sono cittadini georgiani, organizzazioni come fondazioni, associazioni, società, sindacati, o altre associazioni di uno stato estero.
Alle radici di una parola che sembra antica, ma che è nata nel Novecento per definire un crimine “moderno”.
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