Olbia, la lentezza non è un’ideologia
Il caso della cittadina sarda, la prima Città 30 in Italia, dimostra che le politiche di mobilità sostenibile non sono crociate della sinistra, ma scelte per il bene dei cittadini.
Un sistema di trasporti sostenibile e giusto è possibile, ed è la base per ricostruire una società libera, accessibile e inclusiva per tuttə, basta volerlo politicamente.
«Oggi è un giorno molto speciale». È l’11 dicembre del 2019, di fronte alle telecamere c’è una sorridente Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea da appena 10 giorni, e quello che sta per annunciare è effettivamente qualcosa di enorme: il Green Deal europeo, che, secondo le parole della Presidente, ha come scopo portare l’Europa ad essere il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050. Ma non solo.
«Il nostro obiettivo è riconciliare l’economia con il nostro pianeta», puntualizza von der Leyen, «riconciliare il nostro modo di produrre e di consumare con il nostro pianeta. Ma anche renderlo possibile per tutti».
Dissociare la crescita economica e il benessere dei cittadini dal consumo di risorse e fare in modo che questo avvenga senza che nessuno rimanga indietro, ovvero, oltre all’impatto zero, anche l’inclusione sociale. Una sfida per cui, come sanno bene in Commissione, serviranno azioni di riconversione e di cambio di modelli, politiche e abitudini che per decenni hanno segnato le nostre vite. Di questi modelli, di queste politiche e di queste abitudini, la mobilità è il cuore.
I trasporti pesano all’incirca per il 22 per cento sulle intere emissioni di gas serra europee. Sono l’unico settore in cui le emissioni hanno superato i livelli del 1990, data simbolo che l’Unione europea si è data come anno zero. Ma ancora di più, questi valori hanno ripreso ad aumentare dal 2013 nonostante tutti i nostri sforzi per contenerli. Non solo le cose non migliorano, ma stanno peggiorando.
Il Green Deal europeo, di fronte a tutto ciò, ha stabilito un obiettivo vitale: ridurre del 90 per cento le emissioni nel settore trasporti entro il 2050. Per guidarne la realizzazione, il nove dicembre 2020, a un anno esatto dal lancio del Green Deal, la Commissione Europea ha adottato una strategia per una mobilità sostenibile e intelligente, la Sustainable and Smart Mobility Strategy.
L’obiettivo principale di questa strategia è «modificare l’attuale mentalità fatta di piccoli cambiamenti in favore di una trasformazione radicale, […] affinché i trasporti europei siano messi risolutamente sulla buona strada, per un futuro sostenibile e intelligente». La streategia si basa su 10 «iniziative faro» con un piano d’azione che guiderà il lavoro nei prossimi anni.
Tra le dieci iniziative faro, due interessano direttamente la mobilità ciclistica. La terza, che punta a «rendere più sostenibile e sana la mobilità interurbana e urbana» e a «garantire che tutte le grandi e medie città che costituiscono nodi urbani della rete Ten-T mettano in atto i propri Piani di Mobilità Urbana Sostenibile entro il 2030», e la nona, che mira a una mobilità equa e giusta per tutti.
«Quando lavoravo ad Amsterdam, il mio capo e i miei colleghi dei vari dipartimenti che si occupavano della pianificazione e della visione di città e delle infrastrutture tutto erano tranne che ingegneri. Erano filosofi, sociologi, geografi sociali, pianificatori. In Italia questo lavoro è ancora dominio dell’ingegnere, e questo credo che sia un problema», dice Paolo Ruffino.
«Non voglio certo dire che l’ingegnere non serve, ovviamente», puntualizza Ruffino, «ma l’ingegnere semplicemente è una figura che, per formazione, si occupa solo mettere a fuoco le esigenze tecniche ad una scala molto limitata di analisi, molto approfondita e molto di dettaglio, ma che spesso non è il modo giusto di affrontare queste cose. È una figura molto operativa, ma non ha competenze, esperienze e formazione per mettere al centro i comportamenti delle persone, ma nemmeno per lavorare alla comunicazione, alla costruzione dell’immaginario».
A lui fa eco anche Mariapaola Ritrovato, pianificatrice anch’essa nella squadra dell’azienda italolandese: «lasciamo tutto all’immaginazione degli ingegneri che, mancando di interdisciplinarità e di tutte le competenze che possono venire da sociologia, filosofia, urbanistica e altre discipline complementari, si perdono qualsiasi tipo di spinta e di idea innovativa e si resta alle rotonde».
«Sono nata nel nord Europa e sono arrivata a Prato da piccola: la bicicletta mi è rimasta nel sangue». Delle sue due radici, quella toscana e quella nordeuropea, dall’accento dell’Assessora alla Mobilità del comune di Prato, Flora Leoni, quella che si percepisce subito è la prima. La seconda, però, emerge in fretta dai suoi discorsi e dal suo approccio alla mobilità.
«Ho respirato bicicletta dal ventre materno», dice sorridendo, «mi sposto esclusivamente in bicicletta e quando ho delle esigenze diverse prendo i mezzi pubblici o mi organizzo il car sharing. L’uso del mezzo privato per me è più un’eccezione che una rarità».
L’assessora Flora Leoni è nata in Belgio, a Verviers, è assessora per la Mobilità del Comune di Prato e, tra i suoi incarichi, oltre alle deleghe alla polizia e alla sicurezza, ha anche quello di portare avanti i lavori previsti dal Pums, il Piano Urbano per la Mobilità Sostenibile che Prato ha approvato nel giugno del 2017.
Il comune toscano è stato tra i primi in Italia ad adottare questo strumento strategico indicato dalla Direzione Generale per la Mobilità e i Trasporti della Commissione Europea fin dal 2014.
L’obiettivo delle indicazioni della Commissione Europea sulla carta era semplice: affrontare le urgenze e i bisogni di mobilità delle persone e delle imprese nelle aree urbane e peri-urbane per migliorare la qualità della vita nelle città. È guardando gli obiettivi specifici che si inizia a capire la portata di questo strumento, soprattutto se applicato in Italia:
Il caso di Prato, entro il cui territorio si svilupperanno due dei dodici chilometri della prima superciclabile d’Italia, la Firenze-Prato, è interessante, perché, come racconta Leoni, «la città è naturalmente portata alla ciclabilità e ha una rete di piste ciclabili attive di decine di chilometri che però sono state pensate e realizzate in momenti diversi e con scopi diversi da quelli che dobbiamo perseguire oggi».
«La scelta di fondo di investire sulle ciclabili è molto profonda nella storia della nostra città», continua Leoni, «ma ha sempre sofferto il fatto di essere stata pensata con finalità ludico-sportive, per il tempo libero e per il turismo. Per questo tante delle nostre prime ciclabili corrono lungo il Bisenzio e tendono a collegare la parte nord della città alla parte est».
«Questo è stato secondo me il vero cambio di passo, al di là del singolo progetto della Superciclabile Firenze-Prato in sè, che per Prato interessa per due chilometri, la rivoluzione è stata passare da una concezione delle aree ciclabili come legate esclusivamente allo sport, alla salute, al fitness e al tempo libero, a una concezione utilitaristica delle piste ciclabili, ovvero utilizzate per degli spostamenti funzionali casa-scuola, casa-lavoro. Per questo è sorta la necessità di connettere e cucire la rete di vecchi percorsi ciclabili».
«Rispetto a una realizzazione massiva di piste ciclabili a caso per rispondere a determinate situazioni, ora c’è l’esigenza di razionalizzare questa rete per consentirne l’utilizzo in maniera sistematica per gli spostamenti quotidiani. Per questo stiamo varando il Biciplan, in base a questo studio della situazione attuale identificheremo le connessioni necessarie per trasformarlo in una rete unica e sicura e i modi di finanziare questi lavori: dal Pnrr, ai fondi strutturali europei — il Fesr — fino a un mutuo speciale di circa sei milioni di euro che il comune ha stipulato a tasso zero per far fronte ai lavori».
Il cambio di passo imposto dal Pums è notevole, soprattutto perchè va a cambiare il meccanismo dei piccoli interventi disarticolati per scopi non utilitaristici, come quelli che hanno segnato la lunga storia di mobilità leggera di Prato di cui raccontava l’assessora Leoni, e lo trasforma in un meccanismo virtuoso, forzato positivamente dal Biciplan, di pianificazione, studio della situazione e coinvolgimento di tutti gli attori sul territorio per progettare per tutti e sul lungo periodo.
Anche Ruffino racconta la stessa cosa: «Se una città parte dal costruire una “semplice” pista ciclabile, il tipico intervento spot, lì cominciano i problemi. Perché questi — le ciclabili, i parchi, le panchine etc… — sono strumenti. Quello su cui bisogna lavorare, prima di usarli, è una visione condivisa di che cos’è la città dove vogliamo vivere. Quali sono le sfide in cui andremo incontro? Ormai viviamo un contesto in cui è necessario costruire una visione città di lungo termine, o quanto meno a medio-lungo termine».
Il Pums ha una prospettiva di anni. L’incarico dell’assessora Leoni scadrà naturalmente prima. Ma lei si dice assolutamente ottimista sul fatto che la parte di competenza del suo comune della Superciclabile Firenze-Prato la sua interconnessione con la Ciclovia del Sole e con l’intera rete preesistente su cui essa si innesta verrà realizzata nei tempi previsti. «E poi noi avremo una spinta ulteriore rispetto a questa propensione al cambiamento che in ogni caso dovrà essere in qualche modo forzata. E vedrà che tutta una serie di misure verranno adottate per forzare questo cambiamento, che chiaramente la transizione ecologica passa obbligatoriamente attraverso la mobilità sostenibile», conclude Leoni.
Si riferisce al fatto che Prato, insieme a Firenze, sono due delle nove città italiane che, insieme ad altre 91, faranno parte del gruppo delle 100 città simbolo in Europa che avranno come obiettivo la carbon neutrality entro il 2030. Tra il 2022 e il 2023, attraverso il programma Horizon Europe, a queste città sono stati messi a disposizione 360 milioni di euro destinati a percorsi di innovazione e di ricerca anche e soprattutto sulla mobilità, l’efficienza energetica e l’urbanistica verde. Una parte di questi fondi servirà a scoprire modelli che funzionano altrove, soprattutto nel Nord Europa, dove la pianificazione urbana per la mobilità sostenibile è avanti, e dove ci sono un sacco di progetti e buone pratiche da importare.
Tra questi progetti che vengono dal Nord, ci sono anche le superciclabili.
Superciclabile, in italiano, è una parola nuova. È una traduzione libera di alcune espressioni in inglese che indicavano una infrastruttura che in Italia sembra fantascienza, ma che nel Nord Europa, Paesi Bassi e Danimarca per primi, è prassi. Ed è da lì che viene l’idea.
spiega Paolo Ruffino, che nei Paesi Bassi si è formato e alle superciclabili ha lavorato proprio ad Amsterdam e si ricorda molto bene da dove viene questo termine, e perché.
«È nato cercando un modo accattivante di raccontare le reti ciclabili a scala metropolitana come reti del trasporto pubblico alternativo al trasporto privato e a quello su ferro o su gomma», racconta. E spiega che il motivo che li mosse a cercare un modo più “pop” di raccontarla era semplice: «guardando a come sono allocate le risorse, insieme a miei colleghi ci rendemmo conto che erano spesso dedicate alle grandi infrastrutture e che quello che restava per le “semplici” piste ciclabili erano le briciole».
Dal Nord Europa, questa idea delle superciclabili sta piano piano arrivando anche in Italia, e Paolo Ruffino, ovviamente, in questa importazione ha un ruolo. O meglio, ce l’ha Decisio, che è stata incaricata dalla Città Metropolitana di Milano di curare il biciplan, il piano di mobilità urbana sostenibile, a cui è stato dato un nome per niente casuale: Cambio.
«Si chiama Cambio per richiamare le marce della bici, certo, ma soprattutto per indicare la necessità di un cambio di mentalità. Perché per invogliare le persone che utilizzano l’automobile a passare all’uso della bicicletta occorre investire tanto in sensibilizzazione e provocare un vero cambio di mentalità». A parlare è Beatrice Uguccione, Vicepresidente del Consiglio Comunale di Milano e Delegata alla mobilità di Città Metropolitana di Milano.
«Nella fase della stesura del Pums, durante gli incontri con i 133 comuni e tutti gli stakeholder sono emerse in maniera molto chiara la necessità e la volontà di elaborare un piano di sistema sulla mobilità leggera e sostenibile», continua, «ed è proprio a questa necessità che è emersa la volontà di affidarci a Decisio, dei professionisti esterni alla amministrazione, per elaborare un piano che fosse strategico e coinvolgesse tutti, che avesse dietro la consapevolezza che la mobilità debba essere gestita su larga scala, e che non si può lasciare ai comuni».
Basta osservare la mappa di Cambio, che per qualche giorno, quando il progetto fu lanciato, fece il giro del mondo, per capire che l’intenzione c’è e la visione anche: 16 linee radiali, 4 circolari e quattro tangenziali per un totale di circa 750 chilometri di piste larghe 4 metri. Ma come e quando verrà realizzata? E con che soldi?
«Cambio ha una impostazione di tipo strategico e delinea ciò che la città metropolitana intende fare da qui al 2035 in fatto di mobilità», Maria Cristina Pinoschi, dirigente Città Metropolitana di Milano, è tra gli artefici del progetto Cambio ed è molto fiera del lavoro che la Città Metropolitana sta portando avanti.
«Una volta approvato da Consiglio Metropolitano si sono attivate tutta una serie di richieste di finanziamenti che hanno prodotto l’inizio della costruzione di alcune tratte. La prima, fatta con i soldi ministeriali è la Corelli-Idroscalo, alla quale seguiranno altre cinque tratte importanti che sono state finanziate dal Pnrr».
Se a Prato, come ha raccontato l’assessora Leoni, il Pums ha dato almeno l’occasione di cambiare l’approccio alla progettazione delle infrastrutture e cominciare a pensare più in grande, inserendo il progetto della superciclabile di dodici chilometri in una rete preesistente di ciclabilità turistica, a Milano il vantaggio di aver cominciato direttamente dal lavoro strategico ha facilitato le cose proprio per superare il problema della complessità politica, che a volte pare insuperabile.
«Le difficoltà che riscontriamo sono anche legate al fatto che c’è una parte politica sul territorio che per mobilità sostenibile intende altro rispetto alla mobilità ciclistica, e capita ancora di sentire proposte di enormi parcheggi», racconta l’assessora Leoni di Prato, «e determinate scelte di realizzazione di piste ciclabili incontrano delle forti difficoltà perché non sono condivise da tutte le parti politiche».
Anche nell’area della Città Metropolitana di Milano, naturalmente, ci sono differenze politiche tra le amministrazioni che fanno parte dei 133 comuni interessati dal progetto, ma anche grazie alla potenza della visione proposta da Cambio, «quasi tutti i comuni, a prescindere dal colore politico, stanno sottoscrivendo i protocolli per partire. Questo è un dato molto significativo. Anche perché con loro, in sinergia, realizzeremo quei tratti che congiungono la pista ciclabile del singolo comune con le linee della superciclabile», racconta la consigliera Uguccione.
La differenza di portata strategica che è stata imposta al progetto e che è passata anche dalla cura degli aspetti comunicativi degli studi di impatto e del rapporto costi/benefici, nel caso di Milano non sta solo aiutando a formare consenso tra i comuni interessati, ma anche a suscitare interesse in stakeholder che di solito non vengono attratti dalle ciclabili, dalle aziende del territorio alle grandi aziende di telecomunicazioni, che a Milano si stanno interessando e potrebbero investire per cofinanziare la realizzazione di alcune tratte.
Per ora, dell’immenso progetto Cambio esiste solo una parte della linea rosa, la sei, quella che unirà, attraverso la ciclabile di via Corelli, i quartieri Est di Milano con Segrate e Pioltello, e che poi proseguirà fino a Caravaggio, unendo 5 stazioni ferroviarie, 8 licei, 5 università e servendo un potenziale di circa 60mila pendolari. I lavori della prima parte, fino a Pioltello, sono in dirittura d’arrivo e la tratta verrà inaugurata il 2 luglio 2022.
È solo un piccolo tassello dell’immenso progetto Cambio. Il completamento dell’intera rete prenderà più di un decennio, ma sia l’amministrazione che la dirigenza della Città Metropolitana di Milano condividono ottimismo.
«A fine aprile con la Regione Puglia abbiamo portato i rappresentanti di dieci comuni pugliesi a vedere la velostazione di Utrecht, nei Paesi Bassi», racconta Roberta Calcina parlando di immaginario e rispondendo alla domanda su cosa significa anche solo poter portare le amministrazioni italiane a vedere cosa succede nel Nord Europa, dove quello che qui è fantascienza, è già realtà consolidata.
«Quando ci troviamo lì, rimangono talmente scioccati da una esperienza del genere che magari otto dicono “ok, non si può fare, è fantascienza, ciao”, ma spesso ce ne sono due a cui quell’esperienza rimane in testa e che alla fine vogliono portare qualcosa indietro, sperimentarlo qui da noi».
Quello che racconta Roberta Calcina è “solo” un viaggio studio per portare amministratori italiani a fare un giro di qualche giorno nel Nord Europa. Ma è uno di quei viaggi che possono cambiare tante cose, a cominciare dalla testa dei nostri amministratori. E dietro questi tour guidati ci sono i finanziamenti europei. In particolare, i viaggi di cui parla Roberta Calcina sono finanziati da Interreg Europe 2014-2020, un programma anch’esso finanziato dal Fesr. «È un programma molto poco costoso», racconta Calcina, «si parla in tutto di qualche centinaio di migliaia di euro e si riassume in tanti viaggi, ma sta dando ottimi risultati».
Interreg Europe include programmi di cooperazione transfrontaliera su tutti i confini interni ed esterni, una quindicina di transnazionali e due programmi interregionali, ovvero di cooperazione tra gli stati europei per scambiare conoscenza ed esperienze e livellare la qualità delle politiche locali. Ognuno di questi programmi ha una sua strategia, suoi obiettivi e dotazioni finanziarie, sue strutture di gestione.
«I progetti sono molto semplici», racconta sempre Roberta Calcina. «Si tratta di confrontarsi tra enti in paesi diversi per vedere come fa uno e come fa l’altro, definire una lista di buone pratiche tra i partner coinvolti e adottarle nelle politiche locali. Il confronto tematico che questi progetti permettono ha funzionato molto bene per il Comune di Olbia in Cyclewalk: dal primo viaggio studio ad Amsterdam, l’approccio di tecnici e politici è cambiato», aggiunge.
A differenza dei fondi Fesr investiti direttamente in infrastrutture, magari i malevoli diranno che programmi come questo sono solo un modo per pagarsi le vacanze, ma Calcina non ha dubbi: «questi progetti funzionano, perché portano queste persone a confrontarsi con delle cose che qui non abbiamo mai visto e che sembrano impossibili, ed è una cosa che ti cambia la testa. Tra quelli che ho seguito su progetti di questo tipo c’è stato il Comune di Olbia, dove ha sede la mia associazione, e ho visto quello che ha causato nella testa del sindaco. Abbiamo fatto insieme un viaggio e posso testimoniare che gli ha cambiato la vita. E infatti Olbia è diventato il primo comune 30 chilometri d’Italia».
«Confesso che non credevo che potesse avere un impatto così forte sul sindaco. Il giorno in cui siamo arrivati ad Amsterdam, per andare all’aeroporto il sindaco era seduto davanti e mi ha rivolto la parola solo per dirmi, sull’aereo, che lui l’inglese non lo parlava. Alla prima riunione di progetto non si è mosso per tutto il tempo. Le prime quattro ore ha ascoltato tutto. Le seconde quattro addirittura ha cominciato a parlare inglese. Poi abbiamo fatto tre giorni in bici, tutto il giorno, l’ho visto cambiare davanti ai miei occhi».
Per cambiare, insomma, serve generare la visione, ispirarla con le buone pratiche che già esistono, sostenerla con analisi costi-benefici che ne mettano in risalto la necessità, l’urgenza e la fattibilità, e infine comunicarle e coinvolgere territori, amministrazioni e cittadinanza. Non servono necessariamente tanti soldi, come diceva Paolo Ruffino. Servono il tempo e il lavoro necessario per generare una visione solida e credibile. E per diffonderla.
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