Ad ogni modo, in Italia, il problema della natalità non è nuovo. Da anni gli esperti parlano di insufficienti politiche mirate ad accompagnare i genitori e a sostenere bambini e famiglie nella prima infanzia.
«Da un lato, le politiche non hanno seguito i cambiamenti nelle aspettative e comportamenti femminili e dall’altro il mercato del lavoro è diventato più complicato e insicuro», dice la sociologa Chiara Saraceno, honorary fellow presso il Collegio Carlo Alberto di Torino e portavoce del think tank Alleanza per l’Infanzia.
«Come dice il mio collega Alessandro Rosina, professore di demografia, in Italia si fanno tutte le politiche, o meglio le non politiche, che sarebbero adatte se si volesse promuovere una bassa fecondità: non si sostiene l’occupazione femminile, non si organizzano servizi in misura adeguata, non si fa nulla per cambiare i modelli di genere», aggiunge.
Un cambio significativo negli ultimi anni viene dagli investimenti negli asili nido, che sono un primo passo importante — investimenti possibili nella gran maggioranza dei casi grazie alle politiche di coesione europee.
È un passo in avanti, ma non basta. Si dovrebbe pensare a una visione strategica di insieme con un potenziamento di tutti gli elementi che servono alle famiglie, a iniziare dai primissimi giorni — come spieghiamo oltre, alcuni segnali iniziali in quella direzione ci sono, ma sono ancora minimi.
«L’Italia non è un paese per bambini», dice Alessandra Minello, ricercatrice in demografia al Dipartimento di Scienze Statistiche all’Università di Padova. «Va da sé che se i genitori non sono nelle condizioni di essere genitori, le prime persone che ne risentono sono i figli perché ci sono poche condizioni per una genitorialità serena», conclude.