
Prima o poi doveva arrivare un Barbero su Cose che restano, no? Quel giorno è oggi, il tema è la guerra lungo la storia dell’Umanità e come al solito è illuminante
Le macchine che scrivono testi, producono immagini, generano musica, creano voci per leggere libri sono già qui.
Cosa possiamo farci? Ci devono preoccupare? Ha senso chiedere una regolamentazione di questa tecnologia?
Io penso di no, anche se siamo di fronte a un cambiamento radicale che fa paura, perché in qualche modo la creazione è qualcosa che abbiamo ritenuto fosse unica, peculiare degli umani. Anche se queste macchine non capiscono cosa fanno, la sensazione di essere di fronte a qualcosa di inedito è forte: al lavoro intellettuale può accadere quel che le macchine hanno già fatto al lavoro nei campi o alla manifattura.
È solo questione di tempo. E allora? E allora tocca attrezzarsi per il reddito di base universale, per esempio. Perché non ci sarà mai davvero lavoro per tutti. E perché verrà fuori che la prossima peculiarità dell’essere umani è la cura e la relazionalità.


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La cosa che resta di oggi è un articolo uscito ieri su Jacobin, firmato da Silvia Gola e Mattia Cavani, redattori e attivisti di Acta, intitolato Sfruttamento editoriale, il personale e il politico. Parla della precarietà del lavoro culturale prendendo spunto da uno sfogo dello scrittore Jonathan Bazzi di qualche tempo fa, ma mette al […]

La cosa che resta che scegliamo oggi viene da lontano, ha più di un secolo, è un testo scritto da Rosa Luxemburg nel 1906, si intitola Sciopero generale, partito e sindacato e parla di qualcosa di molto, molto, molto vicino a noi e che qui a Slow News abbiamo molto a cuore, ovvero la necessità […]

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