Il problema non è solo a nord del Mediterraneo ma anche nei consigli di amministrazione delle banche africane, dove siede quasi sempre un francese con diritto di veto. E poi nei mercati e nei negozi, alle frontiere e nei porti di tutta l’Africa occidentale, dove il Franco CFA è sì «moneta unica» ma non è possibile pagare in zona BEAC con quelli emessi in zona BCEAO, e viceversa. E questo esemplifica solo una lunga serie di problemi pratici.
Kako Nubukpo è un cinquantenne economista togolese che ha studiato all’Università di Strasburgo, ex-ministro in Togo ed ex-direttore della Francofonia economica e digitale all’Organizzazione Internazionale della Francofonia (istituzione internazionale i cui membri condividono la comune lingua francese), incarico ritiratogli nel dicembre 2017 dopo che Nubukpo ha espresso le sue posizioni critiche verso il Franco CFA. Secondo l’economista togolese il primo obiettivo per le economie africane è la diversificazione economica, sono troppe le economie dipendenti in larga parte o in toto dal petrolio e dal gas, ma questa è impossibile senza competitività, frenata dal fardello chiamato Franco CFA.
Il modello, nemmeno a farlo apposta, è l’Asia: «I Paesi asiatici, che rappresentano il nostro modello in questo senso, hanno perlopiù monete deboli, cosa che rappresenta un incentivo alla produzione locale, perché le importazioni sarebbero più care, e incentiva le esportazioni. Una moneta forte, se non ti chiami Germania, scoraggia le esportazioni» ha dichiarato tempo fa Nubukpo inimicandosi buona parte del mondo bancario africano e francese.
Il franco-beninese Kemi Seba, nome che in Italia dice poco ma che era in Italia per due incontri sabato e domenica 14 e 15 luglio, attivista politico del radicalismo nero e del neo-panafricanismo, ex-membro della Nation of Islam francese, batte da anni su questo tasto: la sua dialettica, simile e opposta a quella di un Matteo Salvini o di una Marine Le Pen, si riassume nella contrarietà alla «servitù monetaria» e si declina con accuse forti, che gli sono costate il carcere in terra di Francia, ai governi e alle banche centrali africane, che secondo lui rifiutano il dibattito sul futuro del Franco CFA.
«La Francia non è il padrone» ha dichiarato il Presidente francese Emmanuel Macron all’Università di Ouagadougou quando andò in visita in Burkina Faso nel dicembre 2017: «è il garante. Se si vogliono cambiare le regole e ampliarlo io sono favorevole. Se si vuole rimuovere questa garanzia di stabilità regionale penso che siano loro a decidere, quindi sono favorevole anche in questo caso». Le parole di Macron alle orecchie di un italiano suonano come un chiaro avvertimento intimidatorio, il più classico dei «fa come ti pare ma ricordati che qui comando io».
Macron si è sempre detto aperto ad una riforma del Franco CFA e, proprio per questo, ha visitato anche la Nigeria: espandere il perimetro dell’operatività del Franco in tutti i Paesi ECOWAS (compresi quindi Nigeria e Ghana) è un possibile obiettivo dell’Eliseo. Il Presidente nigeriano Buhari si è sempre detto contrario ma Macron, che è uomo intelligente e politicamente sagace, facendosi fotografare nel Fela Kuti’s Shrine New Afrika Shine di Lagos accanto al figlio di Fela Kuti, artista che in Nigeria vale quanto una divinità, gioca bene le sue carte e le elezioni nigeriane sono vicine.