Ep. 02

La Terra mi tiene

Rocco Scotellaro e Laura Battista, patrioti il cui nome valgon bene una censura.

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.

Il 26 luglio 2018 il Consiglio comunale di Tricarico, in provincia di Matera, con la delibera numero 44 ha approvato la soppressione del Centro di Documentazione “Rocco Scotellaro e la Basilicata del Secondo Dopoguerra” istituendo al suo posto il Centro Studi “Rocco Scotellaro e la Basilicata nella storia del Mezzogiorno”.

Può sembrare una notizia da terza pagina di un quotidiano locale ma l’intera vicenda racconta, in realtà, aspetti importanti per tutto lo scenario nazionale. Il Centro di Documentazione dedicato a Scotellaro, personaggio nato proprio a Tricarico nel 1923 quando la Basilicata era una dimenticata e lontanissima terra di confino, è un vero e proprio percorso letterario intitolato alla memoria del più importante intellettuale lucano del dopoguerra, tra le menti più brillanti del Meridione del Novecento, e ha avuto negli anni una notevole risonanza nazionale per le attività e le iniziative culturali svolte. La sede è nell’ex-complesso conventuale San Francesco, nel cuore del centro storico del paese, e fu istituito nel 2003 in occasione del cinquantenario della morte del poeta con lo scopo di raccogliere e custodire ogni forma di documentazione connessa a Rocco Scotellaro e al contesto locale, regionale e meridionale. Il Centro è anche un luogo del FAI, il Fondo Ambiente Italiano, un riconoscimento volto a certificarne l’importanza per la memoria collettiva: qui si trova una biblioteca, anche questa intitolata a Rocco Scotellaro e specializzata sulle sue opere e sul meridionalismo, dove diverse fotografie di Henri Cartier-Bresson, Mario Carbone, Antonio Pagnotta, valorizzano il patrimonio del Comune di Tricarico e della Basilicata.

Lunga strada seppur deserta
dove puoi menarmi non vedo
punto d’arrivo.
Scordarmi i vivi per ritrovarli
con tutto il peso che mi porto
della vita che m’è nata
i fiori son cresciuti
la luce li accende.
Sradicarmi? la terra mi tiene
e la tempesta se viene
mi trova pronto.
Indietro
ch’è tardi
ritorno
a quelle strade rotte in trivi oscuri.

Tivoli, 1942
Rocco Scotellaro

Rocco Scotellaro non era un privilegiato. Figlio del ciabattino di paese, Vincenzo, studiò e lesse per passione talmente tanto da arrivare al collegio prima, a Sicignano degli Alburni (Sa), e all’Università La Sapienza di Roma poi, dove tuttavia non conseguì mai la laurea in giurisprudenza. Tornato al paese durante la Guerra per via della morte del padre fu fatto sindaco nel 1946, lui socialista di soli 23 anni, e santo laico poi, venerato dai paesani e stimato dal mondo intellettuale. Quell’anno incontrò personaggi del calibro di Manlio Rossi Doria e Carlo Levi, nel 1950 trascorse 45 giorni nel carcere di Matera – ancora oggi la cella che lo ospitò porta il suo nome – accusato di concussione e truffa ma oggetto di una cospirazione politica di alcuni monarchici, studiò successivamente all’Osservatorio Agrario di Portici (Na) e redasse per Einaudi un’inchiesta sulle condizioni di vita dei contadini meridionali del tempo, prima di morire di infarto a soli 30 anni il 15 dicembre 1953.

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In carcere, esperienza da cui non si riprese mai del tutto, Rocco Scotellaro ricevette l’affetto di Carlo Levi e la stima di chi, in Basilicata e altrove, non può vivere nel conformismo del pensiero dominante. L’avanguardismo politico di chi compie la «ribellione fredda, senza fumi, alimentata da un lavoro cocciuto e paziente che alla fine ce la deve fare a riuscire», come Rossi Doria scriveva a Scotellaro durante la prigionia materana, è da sempre avverso al conservatore che si fa reazionario. Ieri come oggi personaggi come Rocco Scotellaro o Domenico Lucano, un po’ inconsapevoli della propria potenza di fuoco ma determinati nel portare avanti la propria visione, fanno azione politica rendendo realtà le utopie del nostro tempo: cambiare il punto di osservazione delle cose esprimendo infine con l’azione di sindaco una politica fuori dagli schemi prestabiliti dalla “volontà popolare” corrente. La scelta dell’impopolarità per non essere anti-popolari, un’azione che implica l’inimicarsi molte persone: al giorno d’oggi Mimmo Lucano, sindaco del comune calabrese di Riace (Rc), nel realizzare “la città dell’accoglienza” non compie alcuna disobbedienza civile ma adotta una forma di resistenza altrettanto nobile adoperando gli strumenti di cui è dotato il suo potere di amministratore.

Nonostante il moderno confino cui è sottoposto, sospeso dall’incarico di sindaco e a cui è fatto divieto di dimora nella città che amministra e dove è residente, Mimmo Lucano continua a pubblicizzare il “modello Riace” di accoglienza, l’apertura delle porte del paesino calabrese per lanciare un messaggio universale di umanità e speranza, in una forma di resistenza attiva che combatte il mostro più potente del nostro tempo: la vulgata corrente su cui soffia il vento del populismo. Una resistenza che ha radici profonde nel tempo: Riace ha aderito sin da subito al sistema SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) sin dal 2002, due anni prima che Lucano fosse eletto sindaco. Nel 1998 da libero cittadino Lucano accolse decine di curdi sbarcati a Riace, nel 2010 si è posizionato terzo nella classifica World Mayor sui migliori sindaci del mondo e quello stesso anno il suo nome era al 40esimo posto della lista dei leader più influenti stilata da Forbes. Oltre all’adesione al sistema SPRAR Riace partecipa ai bandi regionali per ottenere fondi e mutui ristrutturazione per le case dismesse (nel 1921 Riace contava 2469 abitanti e nel 2011, 90 anni dopo, 1793) e tramite una rete di associazioni, cooperative e artigiani offre ospitalità ai richiedenti asilo integrandoli in un progetto di formazione-lavoro presso laboratori tessili, vetrerie e altri laboratori. Alla fine del 2017 erano 6000 i migranti che avevano usufruito del Modello Riace, che ha persino previsto la creazione di una moneta locale, l’Euro Riace, che serve da buono sconto utilizzabile anche dai turisti, una specie di Bitcoin non digitalizzato dell’accoglienza.

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Rocco Scotellaro

Il prefetto di Locri in una relazione del dicembre 2016 solleva dubbi e anomalie nel funzionamento del sistema di accoglienza riacese ma in un’altra relazione, questa pubblicata nel gennaio 2017, con toni diversi loda il modello di integrazione generato dalle politiche messe in campo da Mimmo Lucano. In base alla prima relazione però il Ministero degli Interni ha deciso per la sospensione e il blocco dei fondi destinati all’accoglienza, non riconoscendo più al Comune bonus e borse lavoro già stanziate negli ultimi tre anni. Nell’ottobre 2017 Lucano viene indagato dalla procura di Locri e messo agli arresti domiciliari: favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e illeciti amministrativi nell’assegnazione dei servizi di raccolta rifiuti, una gestione dei fondi superficiale evidenziata dal prefetto di Locri ma non dalla procura, che ha agito d’ufficio proprio su impulso prefettizio.

Il prefetto, figura istituita durante il dominio napoleonico nel 1802 e utilizzata nel periodo fascista per capillarizzare e rafforzare il potere di Mussolini, oggi dipende dal Ministero degli Interni e rappresenta il governo sul territorio. Tuttavia questa figura non è prevista dalla Costituzione repubblicana, che invece prevedeva il commissario di governo, soppresso con la riforma costituzionale del 2001. Verrebbe da chiedersi, e lo faceva anche Luigi Einaudi nel 1944, a che cosa serva il prefetto se non ad accentrare ulteriormente il potere dello Stato: un tempo anche la Lega Nord era favorevole all’abolizione dei prefetti e nel 2013 lo stesso Matteo Salvini lanciò una campagna di raccolta firme per un referendum abrogativo durante un comizio a Lazzate (Mb). Poi è diventato Ministro e oggi utilizza i prefetti, come quello di Locri, come clava contro i sindaci non allineati, tutto a norma di legge.

Tornando a Tricarico, a giugno 2018 nel piccolo paese della Basilicata si sono tenute le elezioni amministrative. Da questa tornata elettorale è uscito vincitore Antonio Melfi nato ad Amendolara (Pz), residente a Roma e già sindaco del paese tra il 1995 e il 2000. Melfi, 1.454 voti e il 43,2% delle preferenze, ex-consigliere regionale con l’UDC, era a capo della Lista Civica Cristianamente Riprendiamo a Dialogare. La riunione del Consiglio del luglio successivo che ha deciso per il cambio di nome e statuto del Centro di Documentazione Rocco Scotellaro, trasformandolo in Centro Studi, era tra le prime della nuova Era di Antonio Melfi, che ha sponsorizzato non poco la scelta di cambiare l’immagine e la sostanza del Centro. Il primo provvedimento ha riguardato la biblioteca, qualche settimana più tardi: tolta la targa con dedica a Rocco Scotellaro la struttura è stata intestata a Laura Battista, poetessa nata a Potenza nel 1845 e morta a Tricarico nel 1884.

Laura Battista, diversamente da Scotellaro, nacque in una famiglia liberale e agiata: padre insegnante di lettere, consigliere provinciale a Matera e segretario perpetuo della Società Economica di Basilicata, madre colta e morta prematuramente, due fratelli latinisti e letterati. Laura Battista, in una sorta di isolazionismo culturale indotto dall’autorità paterna, ha tradotto da autodidatta Moore e Goethe, Byron e Milton riuscendo attraverso questi grandi autori a uscire dalle sue stanze, come una Giacomo Leopardi di Basilicata. È convolata a nozze con un donnaiolo in un matrimonio combinato e ha partorito cinque figli di cui uno solo le è sopravvissuto quando morì a soli 38 anni. Negli anni Ottanta del Novecento alcuni vandali distrussero completamente la sua tomba, mai ricostruita.

L’opera di Laura Battista è figlia di quel liberalismo orgogliosamente nazionale dell’Italia del tempo: le sue odi e la lirica patriottica, nonostante tutto, raccontano sentimenti antichi e nobili ma avversi al successivo modernismo e alla visione federalista e socialista di Rocco Scotellaro. L’opera di Battista racconta l’epica militare degli eroi del Risorgimento anti-borbonico, quella che portò il comune di Salvia di Lucania a cambiare il proprio nome in Savoia di Lucania quando l’anarchico Giovanni Passannante, originario di quel paese, attentò inutilmente alla vita di re Umberto I a Napoli. Un’epica genuflessa in una mentalità che è corrente ancora oggi in alcune zone della regione. Al contrario, il patrimonio che celebra Scotellaro con la sua poesia, la sua prosa, la sua immagine di intellettuale contadino, riguarda la voce di menti tanto povere quanto semplici, la forza della resilienza contadina che come un tuono ha raccontato e racconta ancora oggi i drammi del Meridione d’Italia. Drammi oggi rimasti immutati: nel suo isolamento la Basilicata li sconta ancora tutti quanti, vivi nella memoria grazie alle opere di Rocco Scotellaro.

In paese, a Tricarico, la decisione di intitolare la biblioteca a Laura Battista fa discutere tutti. Il neo-sindaco è accusato dall’opposizione di voler cancellare la memoria del suo predecessore Scotellaro, lui si difende dicendo che nessun atto intitolava quella biblioteca al poeta, che Laura Battista è donna e figura altrettanto degna. Beghe di paese da cui se nessuno cede sembra impossibile uscire e la tempistica non aiuta.

Io sono un filo d’erba
un filo d’erba che trema.
E la mia Patria è dove l’erba trema.
Un alito può trapiantare
il mio seme lontano.

Tricarico, 1949
Rocco Scotellaro

Rocco Scotellaro è stato il paladino degli ultimi-ultimi, quelle persone che per tutti non esistono anche se poi tutti mangiano pane e pomodoro, bevono vino, indossano cotone. Laura Battista è stata figlia, moglie, madre sempre infelice e mai donna ma ha avuto il pregio di essere tra quei lucani illuminati che, con la caduta del regno borbonico, plaudivano all’Unità d’Italia, alla Patria risorgimentale, al sacrificio contadino.

Una patriota il cui nome val bene una censura.

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