Ep. 06

L’inquietudine secondo Thomas Ligotti

«La mia emozione più forte? È sempre stata la paura, in quella sua forma particolare che è l’ansia»

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.

Esiste un tipo di letteratura che procede per accumulo, che raccoglie e accatasta materiale magmatico, pescato dal pozzo sotterraneo delle più oscure ossessioni che ci infettano. Infettano ogni uomo, ma solo in qualcuno brulicano con tanta urgenza e clamore da guadagnarsi la superficie del mondo, diventare storie, infettare altri uomini e altre donne, e così durare.

Sono pochi gli scrittori che ci riescono. E questi pochi non hanno “deciso” di farlo, ci sono stati in qualche modo costretti. Leggendoli si percepisce la necessità di quel che hanno da raccontare, ed è per quello che le loro storie si inoculano nel nostro immaginario con tanta forza, insinuandosi come fanno i dubbi nella nostra coscienza: mettendosi in un angolo e cominciando ad agire.

Nella storia della letteratura moderna, questa attitudine atavica ha avuto molti volti e molti nomi. Alcuni li ha tutt’ora. Nell’Europa del primo Ottocento si chiamò Ernst Hoffmann e Giacomo Leopardi. Poco dopo, mentre a Parigi si chiamava Charles Baudelaire, nella West Coast americana si chiamò prima Edgar Poe, poi H. P. Lovecraft. Nell’Argentina del secondo Novecento si è chiamata Macedonio Fernandez, Jorge Luis Borges, Julio Cortazar. Nell’America di oggi si chiama Stephen King. E Thomas Ligotti.

È assurdo, ma per portare Ligotti all’attenzione di tutti noi ci è voluto un sospetto di plagio ai suoi danni da parte di Nic Pizzolatto, che, nella prima stagione di True Detective, si è fatto contagiare da alcune delle ossessioni più misantrope di Ligotti, contenute nel saggio nichilista The Conspiracy Against the Human Race, costruendoci poi il personaggio di Rust Cohle.

Non sapevamo cosa ci stavamo perdendo. Il suo ultimo libro è una straordinaria raccolta di racconti che si intitola Teatro grottesco, pubblicata in Italia dal Saggiatore. In occasione della sua uscita ho fatto due chiacchiere a distanza proprio con lui, con Thomas Ligotti, quel personaggio strano che raccontano essere talmente schivo da portare qualcuno a sostenere che non esista, che sia soltanto l’invenzione di qualche altro autore. Ma a chi importa in fondo? Anche se fosse uno spettro non sarebbe da leggere? D’altronde, che cosa sono per noi lettori tutti i più grandi scrittori della storia della letteratura, se non spettri che ci parlano dal fondo degli specchi?

Quali sono le ossessioni che guidano la tua scrittura?
Tutte le ossessioni hanno la loro base nell’emozione, e l’oggetto dell’emozione poco importa. L’importante è l’emozione in sé. La mia emozione più forte è sempre stata la paura, in quella sua forma particolare che è l’ansia. Il senso di ansia può essere causato da qualcosa a cui riesci a dare un nome, come per esempio il parlare in pubblico, ma la vera ansia, quella vera, non si può spiegare, è una esperienza interiore e la sua causa rimane un mistero. Non sai bene da cosa ti arriva, ma appena c’è ti possiede completamente, tanto che a quel punto non esiste nulla che non sia ansia e tu sei soltanto il suo recipiente. Può sembrare infinita, come se potesse montare per sempre, o almeno fino a quando tu non ne vieni sopraffatto, distrutto.

Qual è l’origine di questa ansia?
È difficile rispondere con qualcosa che abbia senso. Come puoi spiegare un mistero così angosciante? L’unico modo per esprimerla è cercare di instillarla negli altri e, per farlo al meglio, puoi solo scrivere storie che provocano quell’esperienza nel lettore. I tuoi sforzi non saranno completamente coronati, anche perché nessuno può essere in grado di convogliare le sensazioni orrende che si provano negli incubi. Ma forse, almeno per un istante, sarai stato in grado di fare assaggiare un po’ della tua ansia a chi ti legge.

Qual è l’origine dell’inquietudine che emerge dalle tue storie
Può essere qualsiasi cosa che possiamo percepire con la testa o con i nostri sensi. Ogni tanto anche le idee o gli oggetti più ordinari e quotidiani possono inaspettatamente diventare bizzarri e minacciosi. Immagina di percorrere una strada e vedere, in fondo, una radura con qualche albero. L’hai già vista tante volte e non hai mai notato niente di insolito, ma questa volta ha messo in moto la tua immaginazione. Hai la sensazione che ci sia qualcosa tra quello spazio vuoto e quegli alberi che ti bloccano la vista di cosa c’è dietro. Quello che vedi diventa la facciata di qualcosa che invece non vedi. E l’intero mondo è così. È pieno di visioni, suoni, odori che la maggior parte delle volte dai per scontati. Ma a un certo punto questi stimolano i tuoi pensieri e le tue sensazioni in uno strano modo e non ti sembrano più così scontati. Ti fanno porre domande che non ti eri mai posto. Qualche volta ti fanno addirittura chiedere: «Ma che cos’è realmente questo mondo?» E a questa domanda, l’unica risposta è il silenzio.

Quando una storia diventa perturbante?
Direi quando ci fa pensare o sentire qualcosa che non avevamo mai sperimentato, che spesso è qualcosa di terrificante. Un bravo scrittore sa produrre storie che ci fanno questo effetto. Cuore di tenebra, di Joseph Conrad, è un esempio perfetto. Poche persone hanno visto il mondo attraverso gli occhi del narratore di questa storia, occhi che sono anche quelli di Conrad. Ma quando leggono quel libro i lettori vedono esattamente con quegli occhi. Sorprendentemente, quello che vedono è qualcosa che loro già conoscevano, ovvero ciò di quanto più terrificante c’è nell’esperienza di vivere. Praticamente tutta la letteratura che sopravvive al tempo si basa su quel che più disturbante c’è nella vita. Poche persone possono permettersi di scavare a lungo in una materia come questa. Perché se lo facessero, non sarebbero più in grado di vivere. La loro vita sarebbe minata dallo stesso orrore che distrugge il personaggio di Kurtz in Cuore di tenebra. Mentre leggono il libro di Conrad sono perturbati, disturbati, inquietati da questa visione. Poi, naturalmente, una volta chiuso il libro, dimenticano tutto e possono tornare alla vita di tutti i giorni.

Leggendo le tue storie, si prova qualcosa di sotterraneo, strisciante, laterale, qualcosa che non si vede, ma si percepisce. Che cos’è?
La mia opinione, basata su nient’altro che la mia esperienza, è che la vita sia fondamentalmente un incubo che finisce soltanto quando moriamo. In pochi sarebbero d’accordo, e in fondo anche io stesso non sono sempre sopraffatto da questa visione della vita. Ma questo è esattamente quello che penso mentre scrivo una storia. È sempre in sottotraccia. È quello lo strato sotterraneo di cui mi chiedevi, se guardi bene; ed è esattamente questo ciò verso cui gli avvenimenti che accadono sulla superficie delle mie storie cercano di spingere chi legge. Chissà, forse prima o poi un personaggio di una delle mie storie se ne uscirà fuori dicendo che la vita è un incubo, un incubo meticoloso senza alcuna possibilità di salvezza. Sia Poe che Lovecraft hanno fatto lo stesso nelle loro storie. Il racconto Berenice, di Poe, inizia con le parole: «La miseria è molteplice. La disgrazia del mondo è multiforme» e così via. O ancora, il famoso incipit di Arthur Jermyn, di Lovecraft, è proprio «La vita è una cosa orribile», un concetto che lo stesso Lovecraft ha elaborato nel paragrafo iniziale di un’opera ancora più famosa, Il richiamo di Cthulhu. Eppure io credo che una storia debba comunicare questo senso incubotico attraverso la narrazione, non attraverso delle asserzioni dirette. Soltanto in alcuni casi può essere utile per semplicità dire che la vita è un incubo. È una frase banale, sebbene qualche volta diventi necessario dirlo apertamente. Ma il problema è che in questo modo il racconto per la sua qualità sotterranea, quella sua insidiosa oscurità.

In italiano abbiamo un aggettivo particolare che è “perturbante”. Non richiama esattamente il terrore o la paura. È qualcosa di più strisciante, disturbante, ed è una sensazione che emerge continuamente dalle tue storie. Come fai a costruirla? Che effetto fa a te?
Credo che la parola inglese sia proprio “perturbing” e ha tanti significati. Può riferirsi a qualcuno che è malato di mente. Anche se la salute mentale, ovviamente, è relativa. Tra gli artisti, un certo grado di squilibri mentale può essere utile. Molto di più che per la maggior parte dell’umanità. Può alimentare la loro immaginazione e farle prendere direzioni che quella della gente comune non potrebbero mai prendere. Gli stati di depressione o di ansia potente che durano a lungo, per esempio, non sono affatto delle false percezioni del mondo, anche se la maggior parte degli psichiatri direbbero il contrario. Sono soltanto strumenti più intensi per penetrare più profondamente in quello che è la vita per tutti noi, prima o poi. È reale, e quella realtà non si può negare. Anche le persone che sono sempre contente potrebbero essere viste come persone squilibrate. Nessun artista è capace di esprimere uno stato d’animo che non sia basato profondamente nella sua esperienza personale. Per questo motivo gli scrittori tendono ad essere specialisti in un particolare stato mentale o emotivo. Solo molto pochi sono capaci di rappresentare con successo uno spettro ampio di questi stati d’animo. Molti fanno finta, e qualcuno è anche abbastanza bravo. Per definizione, gli scrittori che si dedicano alla letteratura fantastica dell’orrore sono degli specialisti. Non scrivono per un pubblico generico, ma per un tipo di pubblico composto da gente che ha il loro stesso temperamento. Infatti, gli autori e il pubblico sono destinati a trovarsi. Entrambi sono già “perturbati”, nel senso originale della parola. Se non lo sono non ci può essere comunicazione tra loro.

Questo effetto del “perturbante” sembra emergere nell’immaginario occidentale nel tardo Settecento, durante l’Illuminismo e all’inizio della prima rivoluzione industriale, proprio all’inizio della modernità. È possibile che questa sensazione sia peculiare di questa nostra epoca? C’era prima? Quali sono le sue origini? Sopravviverà al mondo digitale in cui viviamo?
La tua osservazione è arguta e precisa. Io condivido il punto di vista di chi pensa che, a partire dall’epoca dei Lumi, ci siamo sempre di più alienati dal mondo della natura. È stato un processo spaventoso, e non è ancora affatto concluso. Purtroppo non abbiamo abbastanza tempo, qui, per analizzare quel che gli illuministi chiamavano “progresso”. Sarà sufficiente dire che quel che chiamiamo “progresso” ci portato, oltre che alla alienazione dalla natura, a distruggere la natura stessa. Il cambiamento climatico è solo una di queste manifestazioni. Per come la vedo io, però, c’è sempre stata una segreta ostilità tra gli esseri umani e la natura. A partire dal diciannovesimo secolo, quando qualcuno ha cominciato a preferire l’artificiale al naturale. Il poeta francese Charles Baudelaire è uno dei più eminenti tra loro. Nella narrativa della nostra epoca, il nostro futuro è dipinto come completamente privo di elementi naturali. Personalmente, devo dire che mi piace questa idea dell’uomo che si libera dalla natura. Preferirei di gran lunga vivere in una stazione spaziale piuttosto che nel mucchio di letame di questa terra. D’altronde, cosa ce ne faremo della nostra tecnologia se non per costruire un altro ambiente in cui una nuova evoluzione potrà prendere piede in un modo spettrale, in un’atmosfera di fantasmi?

Come nutri la tua immaginazione?
Non sento il bisogno di nutrire la mia immaginazione. Ho solo bisogno di distrarla. E credo che questo è quel che tutti dovrebbero fare. Essere soli davanti ai nostri pensieri è terrificante da prospettare. Ho finito di leggere i libri che mi interessava leggere tanto tempo fa. Ascolto ancora la versione registrata della lettura di questi libri, sempre gli stessi. In questo momento sto ascoltando letture dei racconti di Jorge Luis Borges. Se il mondo finisse domani e io fossi l’ultima persona sulla faccia della Terra, credo che continuerei ad appassionarmi al lavoro di Borges. Mi sembrerebbero ancora importanti, anche se al mondo non ci fosse nessun altro. Come Borges, anch’io sono un appassionato di cinema. Posso vedere gli stessi film continuamente, senza annoiarmi mai. La maggior parte dei miei preferiti sono i grandi film degli anni Sessanta e Settanta: Lawrence of Arabia, The Godfather, Apocalypse Now, The Man Who Would Be King. Tendo a vedere film che sono basati su opere letterarie. Come ad esempio il cosiddetto genere “noir”, che si basa quasi interamente su racconti hard-boiled. Di questi tempi mi sembra che le serie televisive siano meglio dei film. Le migliori sono quelle letterarie, mentre i film moderni sono basati quasi sempre su sceneggiature originali e dipendono troppo dagli effetti speciali. Io odio gli effetti speciali. Una volta che hai visto gli alieni distruggere il mondo, come nel film Independence Day, non puoi più rivederlo senza annoiarti. Preferisco di gran lunga assistere a due ore di chiacchiere tra due persone. Ascolto ancora musica quando mi viene voglia, e quella che preferisco è quella che io chiamo “classica”, ma che è quella composta durante l’epoca psichedelica, oppure quella strumentale. Sai, ho 62 anni, tutto ciò che è stato composto negli ultimi venticinque anni mi è alieno. Naturalmente mi sembra tutto molto inferiore a quello che ascoltavo quando avevo la tua età. Potrebbe essere la prima volta nella storia della musica in cui la produzione contemporanea è molto inferiore a tutto quel che l’ha preceduta. Ma non credo che sia una cosa importante. Tutti i libri, i film, gli show televisivi e la musica che si producono oggi sono stantii e saranno eclissati da ciò che di nuovo uscirà in questi ambiti, nonostante il fatto che anche quei prodotti saranno di gran lunga inferiori a ciò che si produceva una volta. Nulla dura troppo a lungo nel regno dell’intrattenimento. Sul serio, qualsiasi cosa l’immaginazione umana abbia mai immaginato è soltanto mero intrattenimento per distrarci dalla fatica di vivere le nostre vite, per quanto lunghe o corte esse siano. Tanto, una volta morti, non importerà nulla cosa di verrà dopo.

Articolo pubblicato originariamente su Pixarthinking.it, portale chiuso nel marzo del 2017. 

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