Ep. 00

Prefazione, di Marco Missiroli

Cosa c’è di più letterario di un libro che annulla il tempo? O meglio: cosa c’è di più letterario di un libro che svela il tempo? Andrea Coccia ha scritto un’opera con un’idea semplicissima e stupefacente: prendiamo un giorno in cui un evento sta succedendo, ma non fermiamoci lì.

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Cosa c’è di più letterario di un libro che annulla il tempo?

O meglio: cosa c’è di più letterario di un libro che svela il tempo?

 

Andrea Coccia ha scritto un’opera con un’idea semplicissima e stupefacente: prendiamo un giorno in cui un evento sta succedendo, ma non fermiamoci lì. Spostiamo la nostra coscienza e confrontiamolo con altri fatti intimi e storici che si stanno consumando in quell’attimo esatto. Diventiamo partecipanti di una simultaneità che produce una rivoluzione: io spettatore riesco a essere ovunque e assistere al flusso che sta cambiando più Storie. Io, spettatore, divento la Storia.

 

Così comprendo che c’è il Tempo di adesso, e c’è il Tempo di un altro adesso. È più di una macchina del tempo: è la possibilità di estinguere il passato per renderlo eterno. Ogni memoria diventa presente: dall’assassinio di Franz Ferdinand del giugno 1914 al crollo di Wall Street di quindici anni più tardi, dall’attentato al presidente Kennedy del novembre del 1963 alla caduta del muro di Berlino, nello stesso mese del 1989, fino alla conquista della luna e via via per altre tappe che hanno cambiato la nostra epoca.

È un gioco di prestigio che Coccia ha affrontato con una lingua veloce, densa, che rilancia nei dettagli ciò che crediamo di sapere e invece ci è sfuggito. I giorni più lunghi del secolo breve è il telescopio che non ci è dato avere, perché imita il divino nel maneggiare gli uomini e le loro esistenze. È un’arma pericolosa e irresistibile che ci fa dimenticare i limiti dell’umano e ci eleva a sguardi onnipotenti.

 

Questa è la capacità della letteratura. Quella che, per esempio, ci catapulta nella notte del 28 ottobre 1929 dove la linea narrativa di Coccia lega la Parigi notturna di Orwell che si sveglia e di Céline che si addormenta con l’India di Mohandas Karamchand Gandhi, fino al centro nevralgico di Manhattan: qui “è appena passata la mezzanotte e Michael J. Meehan non riesce ancora ad addormentarsi. Di lavoro fa il trader a Wall Street e ha la fama di essere uno dei più scaltri. Per questo è nervoso: sono passati soltanto tre giorni dal crollo di giovedì e nonostante quasi tutti, persino gli analisti del New York Times, siano ottimisti per la riapertura della borsa, Meehan ha una pessima sensazione”. Quella brutta sensazione è la chiave del lettore per il passaggio nel tempo: gli permette di sentirsi partecipe della straordinarietà umana mentre la straordinarietà umana muta.

La letteratura parigina, un istante cruciale dell’India politica, il baratro finanziario che seppellisce l’Occidente: è come se per una volta, se davvero per una volta, avessimo la possibilità di intercettare le traiettorie del destino.

E potessimo toccarle, viverle, capirne le emozioni.

 

Siamo sempre stati abituati a intendere la Storia come una linea da studiare, da sfogliare, da seppellire nel miglior modo possibile. I giorni più lunghi del secolo breve rimescola le carte e ci restituisce una materia vitale, nuova, come non sapevamo di conoscere.

Succede in ogni pagina di questo libro rivelatorio, che è capace di mostrarci come il nostro presente sia la sommatoria non di tanti passati, ma di innumerevoli altri presenti. Come accade il 25 aprile del 1945, il giorno in cui “in Europa si combatte ancora su tutti i fronti, ma il Terzo Reich è ormai alle corde. Berlino è quasi accerchiata, stretta dall’avanzamento degli ame- ricani, da ovest, e dei sovietici, da est. Hitler è nel suo bunker.

Parigi è libera da quasi un anno. A Londra, mentre gli ultimi attacchi di missili V2 colpiscono la città, si inizia a pensare alla ricostruzione. Negli Stati Uniti, Harry Truman diventa il 33esimo presidente degli Stati Uniti d’America, mentre nel Pacifico la guerra infuria violentissima, soprattutto a Iwo Jima. In Italia, le truppe alleate avanzano verso nord, lentamente, in parte ancora bloccate sulla Linea Gotica”. In questo pulviscolo di smottamenti Coccia sposta lo sguardo sull’Italia e sulla nostra Liberazione. I giorni partigiani arrivano allo zenith e non rimangono solo un’impresa nostrana, ma la parte osmotica di un flusso di liberazioni (o prigionie) mondiali.

 

In questo modo e in tanti altri modi Andrea Coccia cancella i confini del qui e ora per estenderli al qui e altrove.

È un movimento di penna sottile che mette il lettore davanti all’unica consapevolezza possibile: è questo, proprio questo, il potere della letteratura.

E ognuno di noi ne è parte.

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