La sera di mercoledì 16 maggio 2018 è iniziato il mese di Ramadan dell’anno dell’Islam 1439, un periodo di festa e di sacrificio per i fedeli musulmani che quest’anno in Marocco è reso ancor più difficile dai rincari dei prezzi nei mercati e nei supermercati. E dal boicottaggio.
Verso la metà di aprile infatti sui social network più in voga in Marocco, Facebook, WhatsApp e in misura molto minore Twitter, è partita una campagna volta a promuovere un boicottaggio di alcuni prodotti di larghissimo consumo come il carburante dei distributori Afriquia, le acque minerali Sidi Ali e i latticini di Centrale Danone. Un’azione di protesta che secondo Jeune Afrique sta avendo, a poco più di un mese dall’inizio, un impatto negativo sulle vendite tra il 20 e il 30%.
Nell’epoca della comunicazione istantanea il social marketing, se non agisce subito, subisce pesanti conseguenze dalle lamentele dei consumatori: nell’ultimo anno il costo del gasolio e della benzina, di beni alimentari come le patate, la semola e le cipolle, del latte (se ne beve tantissimo in Marocco) è aumentato considerevolmente, anche del 20%, senza che nessuno abbia spiegato il perché. In un Paese, quale è il Marocco, in cui il budget medio mensile per la spesa è di 1.300 Dirham pro-capite (117 Euro circa) è difficile accettare aumenti così consistenti, anche in virtù del fatto che secondo l’Haut Commissariat du Plan, l’ente di statistica marocchino, l’inflazione ufficiale è cresciuta solo dello 0,7% nel 2017, ragion per cui le lamentele dei consumatori marocchini ufficialmente sono ritenute poco credibili.
In Italia la pressione fiscale su un litro di benzina è del 64%. Il 61% sul gasolio. In Marocco le accise sui carburanti sono inferiori, il 42% per la benzina e il 34,5% il gasolio, ma la necessità di mobilità è la stessa e va sommata a quella di alimentare i generatori di corrente elettrica e a una disponibilità di spesa inferiore: oggi un litro di benzina costa, alle pompe marocchine, circa 12 Dirham (1,08 Euro) ma il 19 marzo scorso ne costava poco più di 10 (circa 0,90 Euro). Nel febbraio scorso il carburante aveva raggiunto i suoi massimi storici e dopo un – breve – periodo di calo i prezzi sono iniziati a salire di nuovo proprio con il Ramadan.
Il settore dei carburanti, il distributore più diffuso in Marocco è Afriquia Akwa Group il cui azionista di maggioranza è il Ministro dell’Agricoltura Aziz Akhannouch, è quello che meglio esemplifica il problema marocchino. Nel dicembre 2015 il governo del Marocco ha liberalizzato il mercato e i prezzi sono cominciati a salire immediatamente, attestandosi sempre almeno 1 Dirham (0,09 Euro) al di sopra delle aspettative: secondo uno studio presentato al Parlamento di Rabat nell’agosto 2017 l’uscita dello Stato dal settore petrolifero ha significato un guadagno extra di 17 miliardi di Dirham (1,5 mld di Euro) per le compagnie private, che tuttavia non hanno investito quanto promesso. Nel 2017 Akwa Group, quotata alla borsa di Rabat, ha registrato utili per oltre il 19%.
In totale il settore della distribuzione di carburanti ha registrato appena 2 miliardi di Dirham di investimenti negli ultimi due anni, utilizzati sopratutto per realizzare 272 nuove stazioni di servizio, e le venti compagnie di distribuzione presenti nel Paese mantengono i prezzi alla pompa bene o male in linea con gli standard internazionali: un fatto che si scontra sul muro dei salari marocchini, i più bassi di tutto il nord-africa. Le liberalizzazioni, riforme importanti per l’economia del Paese, sono state avviate al di fuori di un quadro normativo chiaro e in assenza di procedure volte ad accompagnare la liberalizzazione dei prezzi. Ciò ha spinto le aziende ad auto-organizzarsi, mettendo al centro il profitto e facendo cartello sui prodotti di più ampio consumo. L’effetto è una vera e propria bomba sociale.