Ep. 06

Il Virus è potere

Ogni volta che c’è tumulto o caos, i giornali parlano di stato di anarchia. Cosa ne pensano gli anarchici?

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
Dalle nostre serie Serie Giornalistiche
Gli anarchici van via

Una serie su un’ideale il cui nome si usa spesso a sproposito, e sulle persone che ne hanno fatto la storia

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A un certo punto abbiamo creduto che ne eravamo usciti. Dopo l’estate, ma prima ancora di rimettere i cappotti, del lockdown andato in scena tra marzo e maggio si parlava come di un ricordo non molto piacevole e che ci ha costretto a rivedere gran parte delle nostre abitudini. Qualcosa con cui dover ancora fare i conti fino in fondo, ma tutto sommato passato.

Non era così. Qualcuno lo diceva, l’espressione «seconda ondata» affiorava in qualche discorso, ma alla fine nessuno ci pensava davvero. Era la speranza che si sostituiva alla razionalità, il pensare positivo a tutti i costi che ha allontanato per qualche tempo una realtà che comunque non è mai stata meno che drammatica.

E così, alla fine di ottobre, l’uscita dei dati sulla ricrescita dei positivi al Covid-19, del numero delle vittime e del progressivo riempirsi degli ospedali è tornata ad essere un argomento di stringente attualità. Ed è ripartito anche il balletto di DPCM, chiusure, restrizioni. Nel dibattito si è insinuato di tutto, dal complottismo a qualche critica piuttosto motivata, fino a qualche giornata, anzi serata, che ha visto decine di migliaia di persone scendere in piazza per manifestare un dissenso difficile da definire con esattezza ma sicuramente esistente nella società. Prima Napoli, poi Milano, Torino, Genova, Firenze, Ancona. Qualche disordine, come amano scrivere i giornali, qualche confusione, qualche stupidaggine, qualche cosa sensata. Una convinzione: questa classe dirigente non ha idea di come venir fuori dalla situazione.

«Andrà tutto bene», lo slogan esibito sui balconi a primavera, non si dice più.

Le piazze, come spesso accade, sono comunque durate poco. È ancora presto per fare un’analisi, e ogni posizione netta è una coperta corta: se tiri da una parte ne scopri un’altra. Difficile dire. Vero è che nella protesta c’era di tutto: sono state piazze spurie, in qualche modo sporche, piene di neofascisti, di tamarri, addirittura di criminali più o meno organizzati.

Cosa ne pensano gli anarchici? Ecco, per cominciare dicono che «i giornali dovrebbero smetterla di accostare la confusione delle istituzioni all’anarchia». Il riferimento è ai vari titoli che mettono quella parola – «anarchia» – per cercare di definire lo stato di confusione generalizzato di queste settimane. Chiarita la nota semantica, sulle piazze nello specifico, il giudizio è sospeso: molti anarchici «sono andati a vedere», cioè hanno partecipato alle manifestazioni, ma non c’è un giudizio preciso su come sono andate le cose.

«La logica dei famigerati DPCM – si legge sull’editoriale del numero di gennaio della rivista Malamente – è una sola: salvaguardare produzione e circolazione di merci. Per questo le persone improduttive vengono relegate in casa, mentre chi ancora un lavoro ce l’ha può uscire per lo stretto necessario allo svolgimento della propria mansione». Prosegue un articolo di Umanità Nova, il settimanale della Federazione Anarchica Italiana: «Fughiamo ogni dubbio prima di proseguire nel ragionamento: noi non siamo negazionisti e non abbiamo alcun dubbio sulla oggettiva pericolosità del Covid-19. Siamo altresì convinti che sia necessario che ogni persona assuma comportamenti responsabili per la salute propria e degli altri adottando ogni accorgimento utile.

Cionondimeno, non possiamo esimerci da una riflessione sull’estrema pericolosità dei provvedimenti repressivi che nel corso di questo anno sono stati sperimentati in Italia sul corpo sociale. Abbiamo assistito a una implementazione tanto ossessiva quanto contraddittoria della decretazione d’urgenza da parte del governo. Abbiamo visto sindaci e presidenti di regione convinti di essere dei piccoli dittatori, impegnati a emettere ordinanze gratuitamente persecutorie, accecati da un delirio di onnipotenza giustificato dall’emergenza sanitaria. Durante i mesi della chiusura totale del paese, l’opinione pubblica è stata bombardata da messaggi retorici e propagandistici finalizzati al reclutamento collettivo per questa presunta “guerra al Coronavirus.”. Nel delirio nazionalista, a metà tra il patetico e il ridicolo, venivano appesi i tricolori alle finestre, ai bambini si facevano disegnare gli arcobaleni, e ogni pomeriggio si accendeva lo stereo per diffondere l’Inno di Mameli».

Da Napoli Giuseppe Aiello racconta così la piazza più famosa tra quelle viste a ottobre e a novembre: «Se volete un’analisi seria non rivolgetevi alla gente di sinistra, andate dai lazzari. Sotto casa, zona superpopolare, ascolto un giovane signora che, seduta sul suo scooter fuori dalla panetteria, discetta con le amiche, senza mascherina, limpidamente, a voce alta: “Nun ce sta nient’a fa’, ‘a vera Camorra è ‘o Stato, ‘a camorra autorizzata, e nuje amma sulamente subì…”».

A tempi del colera, nel 1884, a Napoli gli anarchici guidati da Errico Malatesta diedero prova che un altro modo di affrontare una pandemia da migliaia di morti è possibile. Sarebbe possibile, forse. Sicuramente lo è stato.

L’epidemia di colera della fine del diciannovesimo secolo causò, secondo le statistiche prefettizie, ottomila morti tra Napoli e dintorni. Ricorda il volume Naples in the time of cholera di Frank M. Snowden: «Lo Stato reagì imponendo azioni repressive: la città fu sottoposta alla legge marziale. Furono imposte restrizioni ai movimenti. I volontari della Croce Bianca, della Croce Rossa, dei socialdemocratici, sei repubblicani e dei socialisti adottarono un approccio completamente diverso. Felice Cavallotti, Giovanni Bovio, Andrea Costa e addirittura Errico Malatesta furono attivi per le strade di Napoli. E non senza correre rischi per la propria salute: i volontari socialisti Massimiliano Boschi, Francesco Valdrè e Rocco Lombardo contrassero il colera e morirono».

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I vicoli di Napoli oggi, una struttura urbanistica che nel 1884 era identica. 

Malatesta, già allora esponente di spicco del movimento anarchico italiano, andò a Napoli da ex studente di medicina e a lui fu assegnata una sezione di malati che, secondo la narrazione popolare, alla fine avrebbe avuto il più alto tasso di guarigione. Il perché, più che medico, è politico: Malatesta si dimostrò in grado di raccogliere ingenti quantità di cibo e medicine che poi distribuì liberamente. Alla fine, racconta Luigi Fabbri in Vita di Malatesta, «fu decorato ufficiale giurato di benemerito, ma rifiutò.

Quando finì l’epidemia, gli anarchici abbandonarono Napoli e pubblicarono un manifesto che spiegava che “la vera causa del colera era la miseria e la vera medicina per impedirne il ritorno non può essere che la rivoluzione sociale”». Tra i più attivi a raccontare quel complicatissimo periodo troviamo Luigi Musini, giornalista, ex garibaldino, secondo deputato socialista d’Italia. Le sue memorie ricordano un film d’azione e le pagine dedicate a Napoli sono centrali.

Il 15 settembre del 1884 sul quotidiano Roma esce un articolo di protesta firmato da lui in cui si descrive in maniera molto colorita lo stato della città durante l’epidemia di colera: «Ieri ci capitò un bel caso. Stavamo con Costa girando per il quartiere del mercato a visitar infermi assieme al dottor Calì, quando il vetturino si accorse che un tale in vettura ci seguiva tenendo nota delle abitazioni da noi visitate.

Temendo di equivocarci ordiniamo al vetturino di fermarsi artificialmente in vari punti e sempre quell’altro prende nota e ci segue. Allora il Calì smonta per vedere chi è e chiedergli ragione. Tosto lo riconosce per un appuntato di PS che, messo alle strette, confessa». La questura temeva più le eventuali attività sovversive del virus già all’epoca. Ogni rimando a epoche successive non è per nulla casuale.

Adesso il fronte anarchico è molto difficile da leggere, sicuramente non c’è una posizione unitaria e vale sempre la regola che ognuno parla per sé. Tuttavia il comunicato diramato dalla Federazione Anarchica Italiana il 20 marzo del 2020, a poche settimane dall’inizio dell’incubo Covid, resta una bussola utile a capire quali sono le istanze che il fronte libertario spinge con più intensità.

«Di fronte a questa crisi stato e capitale stanno mostrando, con un’evidenza mai raggiunta prima, tutti i propri enormi limiti e la loro strutturale incapacità di tenere conto delle necessità e della salute delle persone. In Italia, le scelte politiche dei governi hanno costantemente tagliato la sanità pubblica (più che pubblica, statale). Parte delle poche risorse è stata dirottata verso la sanità privata, anche durante l’emergenza attuale. La contemporanea “regionalizzazione”, secondo un modello aziendalista-capitalista, ha poi reso questo servizio, che in teoria dovrebbe essere di carattere universale, fortemente differenziato tra regione e regione, tra regioni ricche e regioni povere.I pazienti sono diventati clienti e le cure prestazioni d’opera monetizzate in un quadro generale di competizione e profitto. Questa crisi la sta pagando chi ha un lavoro saltuario o precario, al momento senza reddito e senza nessuna certezza di riavere il lavoro a epidemia conclusa. La sta pagando chi si trova a casa in telelavoro a dover conciliare una presenza casalinga spesso molto complessa con bambini o persone da accudire e contemporanei obblighi produttivi. La sta pagando chi è costretto ad andare nel proprio luogo di lavoro senza nessuna garanzia per la salute. La sta pagando chi è povero, senza casa, chi sopravvive per strada o in un campo nomadi. La stanno pagando i lavoratori e le lavoratrici che hanno fatto scioperi spontanei contro il rischio di contagio e sono stati a loro volta denunciati per aver violato gli editti del governo, perché manifestavano in strada per la loro salute. La stanno pagando i reclusi nelle carceri dello stato democratico che hanno dato vita a rivolte in 30 prigioni in difesa della propria salute. Durante le rivolte ci sono stati quattordici morti. Quattordici persone che, ci raccontano, sarebbero morte tutte per overdose da farmaci auto indotta. Quattordici persone sottomesse alla responsabilità di un sistema a cui forse non è parso vero di poter applicare con pugno di ferro altre misure di contenimento, non tanto dell’infezione ma dei carcerati stessi».

Al netto dei toni, che possono piacere o meno, si tratta di cose che pensano in molti, ben oltre il ristretto perimetro dell’anarchismo. Vale ancora quello che diceva David Graeber, il grande antropologo anarchico morto lo scorso settembre: «Detto nella maniera più semplice, le convinzioni anarchiche si basano su due presupposti elementari. Il primo è che gli esseri umani sono, in circostanze ordinarie, ragionevoli e onesti quanto è permesso loro di essere, e possono organizzare sé stessi e le loro comunità senza bisogno che sia detto loro come fare. Il secondo presupposto è che il potere corrompe. L’anarchia consiste, innanzitutto, proprio nell’avere il coraggio di accettare i semplici principi di moralità comune che tutti noi condividiamo, e seguirli fino alle loro logiche conclusioni. Per quanto strano questo possa sembrare, negli aspetti più importanti, tu probabilmente sei già un anarchico – semplicemente non te ne rendi conto».

Note di pubblicazione

La serie “Gli anarchici van via” è stata pubblicata originariamente a maggio del 2020.

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Gli anarchici van via

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