Governare il turismo: l’esempio dell’Alto Adige
Il tetto ai posti letto per turisti in Alto Adige è parte di una strategia più ampia per promuovere la sostenibilità. Ma potrebbe non bastare.
Prima della pandemia, il settore aveva raggiunto il suo picco anche grazie a fondi pubblici e risorse europee, con conseguenze che meritano qualche riflessione. Oltre i luoghi comuni.
L’impatto del turismo come industria, pratica culturale e politica e economica. Oltre i luoghi comuni.
Il turismo è un oggetto complesso. Da una parte è una pratica culturale individuale, legata al piacere, al tempo libero, al desiderio di conoscere il mondo. Dall’altra è una vera e propria industria moderna: nonostante il turismo non sia un settore a sé stante ma sia trasversale ad altri settori, la promozione del turismo è a tutti gli effetti una politica economica. C’è insomma un lato della domanda e uno dell’offerta, connessi in vario modo. Per capire come, e quale sia l’impatto del turismo, c’è bisogno di andare oltre alcuni luoghi comuni.
Il primo luogo comune sostiene che il turismo sia ‘una risorsa’. In verità la risorsa è il territorio: il turismo è uno strumento per ‘valorizzare’ il territorio, ovvero per generare un valore economico da quel territorio.
Il secondo luogo comune vuole che la ricchezza estratta dal territorio torni al territorio. Ma non è sempre così – basti pensare ai grandi resort di società straniere o ai tanti tour operator romani con sede fiscale all’estero, per non parlare di piattaforme digitali come Booking ed Airbnb, quest’ultima con sede in Irlanda, un paradiso fiscale.
Il terzo luogo comune vuole che sia la domanda di turismo a incidere sull’offerta (più turisti, più posti letto). In verità è esattamente il contrario: sono le innovazioni nel campo dei trasporti e l’ampliamento dell’offerta ricettiva a far aumentare i flussi turistici.
Il quarto luogo comune è che, essendo il turismo considerato un importante motore economico, vi sia una particolare attenzione al suo sviluppo da parte delle istituzioni. Nulla di più falso: in Italia non c’è una vera pianificazione pubblica dell’offerta turistica e perlopiù le amministrazioni non si avvalgono delle competenze degli esperti in materia di turismo (come i destination manager). Insomma, se il turismo è cresciuto tanto negli ultimi anni, questo si deve ad altri fattori.
Negli ultimi tre decenni, il numero di persone che viaggia nel mondo è cresciuto in maniera esponenziale.
Nel 1950 i turisti internazionali erano 25 milioni, nel 2000 erano 674 milioni. Poi, nel giro di soli 15 anni, il loro numero è raddoppiato, raggiungendo 1,3 miliardi nel 2017, e poi 1,5 miliardi nel 2019, l’anno di picco, prima della pandemia di Covid 19 che ha interrotto i flussi globali di persone e merci. Nel 2020, infatti, il turismo mondiale è crollato, con solo 409 milioni di turisti. Oggi è in ripresa: nel 2022 sono state 917 milioni le persone che hanno compiuto viaggi internazionali (il 37 per cento in meno rispetto al 2019). L’Europa è stata la meta del 64 per cento degli arrivi.
Il 2019 è stato anche l’anno del fallimento della prima nonché una delle più grandi agenzie di viaggi del mondo, la Thomas Cook. Cook, un predicatore, inventò il turismo moderno nel 1841 creando in Inghilterra il primo ‘pacchetto turistico’ – una gita giornaliera in treno da Leicester a Loughborouh, a 11 miglia di distanza, per un gruppo di lavoratori.
Negli anni seguenti, Cook organizzò viaggi per destinazioni in tutto il mondo creando, di fatto, la prima agenzia di viaggi. Con la diffusione dei mezzi di trasporto, e poi nel Novecento con l’introduzione delle ferie pagate, il viaggio è diventato una pratica di massa, non più riservata all’aristocrazia, come nel Settecento e nell’Ottocento, o legata a motivi religiosi, nel caso dei pellegrinaggi.
Il turismo moderno è nato con le trasformazioni della cultura del consumo: riflette nuovi gusti e stili di vita. Con la nascita della società di consumi di massa, grazie alle maggiori disponibilità di reddito e di beni prodotti su scala industriale, anche i beni culturali sono diventati oggetti di consumo.
Le innovazioni degli ultimi decenni hanno nuovamente rivoluzionato il turismo, facendo tramontare l’epoca di Thomas Cook e producendo l’aumento esponenziale dei flussi. La rivoluzione digitale ha reso obsoleti gli intermediari come le agenzie di viaggio. Le nuove piattaforme online come Expedia, Booking e Airbnb, infatti, consentono ai viaggiatori di organizzare da sé il viaggio, comprare i biglietti aerei, prenotare un albergo o un appartamento dove dormire. Anche le compagnie aeree low-cost, come Ryanair, hanno iniziato a proporre pacchetti turistici e ad aggiudicarsi le rotte dei voli charter ordinari, venduti dalle agenzie di viaggio.
La crescita del turismo negli ultimi tre decenni è stata il risultato di queste innovazioni: trasporti e alloggi più economici, più facili da offrire e più semplici da prenotare.
Nel 2019, prima del crollo dei flussi, l’Italia era il quinto paese più visitato al mondo con 65 milioni di turisti pernottanti (3 milioni in più rispetto al 2018), secondo la Banca d’Italia. Quelli stranieri erano 42 milioni. Le entrate per viaggi internazionali nel 2019 avevano raggiunto i 44,3 miliardi di euro, pari al 41 per cento delle esportazioni di servizi (la Banca d’Italia registra le spese per viaggi internazionali degli stranieri in Italia come entrate/esportazioni e quelle degli italiani all’estero come uscite/importazioni).
Si tratta di una cifra considerevole. Il turismo internazionale è cresciuto soprattutto con le vacanze in località balneari e montane, mentre il numero di turisti nelle città d’arte, la metà di quanti vengono in Italia per motivi di vacanza, a cui è riconducibile il 60 per cento della spesa totale per vacanze, è leggermente diminuito dal 2017.
Il settore turistico genera il 5 per cento del Pil (il 13 per cento, considerando anche l’indotto) e impiega il 6 per cento degli occupati. Come accennato sopra, il turismo non è un settore economico a sé stante, ma la somma di attività attinenti a diversi settori e comparti economici: servizi, trasporti, ristorazione, cultura, alloggio e via dicendo. È quindi difficile circoscrivere l’impatto economico del turismo rispetto all’impatto dei settori che lo compongono. Per stimare questo impatto specifico, l’Istituto nazionale di statistica (Istat) usa una metodologia (il Conto satellite del Turismo) che integra le informazioni sulla domanda e sull’offerta turistica provenienti da diverse fonti.
L’impatto del turismo va misurato sotto diversi aspetti, alcuni di tipo economico, altri di tipo ambientale, sociale e urbanistico. Dal punto di vista dell’impatto economico, secondo la Banca d’Italia, quasi un terzo del valore aggiunto generato dal turismo è riconducibile all’utilizzo della casa di proprietà per affitti turistici. Le altre attività economiche che contribuiscono maggiormente alla formazione del valore aggiunto turistico sono quelle dei comparti alberghiero, ristorazione e trasporti e, soprattutto, del commercio al dettaglio. I settori che presentano una più elevata incidenza del turismo sono i servizi di alloggio, il trasporto aereo e le agenzie di viaggio.
Se dunque l’impatto economico del turismo è innegabile, vi sono però numerosi aspetti problematici dovuti più che al turismo in sé, come pratica individuale di viaggio, all’assenza di politiche pubbliche che ne guidino la crescita e che redistribuiscano la spesa turistica a favore della collettività.
Un terzo del valore aggiunto, quello riconducibile alle case per affitti turistici, alimenta la rendita immobiliare in un mercato, quello delle case vacanza, a basso valore aggiunto – perché produce pochi posti di lavoro, spesso precari e pagati poco. Questa spesa turistica viene catturata dai proprietari delle case, che già godono di un vantaggio rispetto a chi non possiede una seconda casa in posizione attrattiva.
Una locazione turistica ha una redditività molto più alta di quella di una locazione ordinaria: secondo la società di consulenza immobiliare Nomisma in Italia è sufficiente locare una casa a turisti per 120/130 giorni l’anno per ottenere la stessa redditività di una locazione ordinaria. Questo determina un rialzo dei valori immobiliari e riduce lo stock di abitazioni in affitto sul mercato residenziale a lungo termine, alimentando il disagio abitativo e ampliando i divari sociali e territoriali.
Inoltre, poiché in Italia non esiste una regolamentazione degli affitti brevi turistici o un monitoraggio delle attività (nel 2021 il Ministero del turismo ha previsto la creazione di una banca dati nazionale delle attività ricettive ma non l’ha ancora realizzata) molto di questo mercato è sommerso e sfugge alle analisi istituzionali.
Uno studio ha rivelato che a Roma 5 milioni di arrivi e 13 milioni di presenze turistiche (ovvero di pernottamenti) non sono rilevate perché riconducibili a strutture ricettive non registrate, pubblicizzate su Airbnb. Si tratta del 30 per cento delle presenze ufficiali, un numero enorme. Bisogna poi considerare che i turisti usano i servizi pubblici locali, e rappresentano quindi un costo per le pubbliche amministrazioni che li finanziano con la fiscalità generale a carico dei residenti. C’è quindi un problema di giustizia fiscale, oltre che spaziale.
Un altro aspetto problematico dell’economia turistica riguarda il lavoro. Si dice che il turismo crei posti di lavoro, ma si tratta perlopiù di lavoro povero. Secondo l’Inps il 64 per cento dei lavoratori nei settori dell’alloggio e della ristorazione è povero. Non va meglio nel settore dei beni culturali: oltre la metà dei lavoratori intervistati per un’inchiesta condotta nell’ottobre 2019 dal collettivo Mi Riconosci? Sono un professionista dei beni culturali, molti con laurea e dottorato, non guadagna più di 8 euro l’ora. Quasi il 40 per cento degli intervistati guadagna meno di 5 mila euro l’anno.
Di più, la crescita del turismo è finanziata con investimenti pubblici, come quelli per infrastrutture e grandi eventi, ma l’attività nei settori turistici spesso non è aggiuntiva rispetto ad altri settori, bensì tende a sostituirli, anche perché ha poche barriere all’accesso – non richiede particolari competenze. Ma man mano che tutti si convertono al turismo, l’economia si specializza, la varietà svanisce e si crea una ‘monocultura’.
Secondo la Banca d’Italia, nel caso del Grande Giubileo del 2000, a fronte di investimenti pubblici che hanno riguardato le infrastrutture per la mobilità, i beni culturali e la riqualificazione degli spazi pubblici, il valore aggiunto per abitante è cresciuto, ma si è annullato a distanza di circa 10 anni. Il tasso di occupazione nella provincia è rimasto invece stabilmente superiore ma c’è stata “una ricomposizione dell’occupazione verso settori a più bassa produttività”, ovvero i posti di lavoro sono aumentati, ma in settori di lavoro povero come la ristorazione.
Bisogna poi considerare che i benefici economici diminuiscono con la “maturazione” delle destinazioni che esauriscono il proprio ciclo di vita quando il turismo non è gestito, anche a causa dei costi di congestione e dell’aumento dei prezzi, sganciati dai salari locali.
Un altro problema è che la distribuzione della spesa turistica sul territorio nazionale è molto concentrata. Sempre secondo la Banca d’Italia, nel 2017 due macroaree nazionali (le regioni del Nord Est e del Centro) e in particolare tre città (Roma, Firenze e Venezia), hanno assorbito complessivamente il 60 per cento della spesa turistica internazionale. Infine, il turismo produce costi ambientali in termini di inquinamento, di consumo di suolo e di manutenzione di infrastrutture oggi insostenibili, come gli impianti sciistici in aree non più nevose dove è urgente cambiare il modello economico di sviluppo locale.
Prima della pandemia si era iniziato a parlare, anche sulla stampa, dei danni provocati dall’overtourism, ovvero dal troppo turismo in alcune aree sovraffollate, soprattutto nei centri storici delle città d’arte, a discapito del benessere della popolazione residente. Questo fenomeno riguarda anche aree naturali come spiagge e località alpine dove ecosistemi delicati non reggono l’afflusso di visitatori.
L’assenza di pianificazione del turismo e del territorio in chiave sostenibile, di forme di redistribuzione della spesa turistica a più scale territoriali, contribuisce ad ampliare i divari. L’evidenza dei danni prodotti dal turismo ha aperto una riflessione sulla necessità di tutelare le mete turistiche naturali e urbane. Oggi si parla sempre di più della necessità di promuovere un turismo lento, sostenibile e responsabile.
Nel 2016 il Ministero dei beni e delle attività culturali e turismo (Mibact) ha promosso “l’anno dei cammini”; il 2019 è stato l’anno dei “turismo lento” e il 2020 sarebbe dovuto essere l’anno del “treno turistico”. Queste iniziative mirano a incentivare nuovi percorsi e itinerari alternativi alle destinazioni tradizionali, per promuovere un turismo sostenibile dal punto di vista ambientale. Sono in corso, per esempio, interventi di manutenzione di cammini, di realizzazione di ciclovie e percorsi di mobilità integrata.
Fino al primo marzo 2021 il turismo era accorpato alla cultura, sotto il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact), poi è stato creato un dicastero apposito, il Ministero del turismo.
La direzione turismo del Mibact aveva curato il Piano strategico del turismo 2017-2022 con l’obiettivo di «rilanciare la leadership dell’Italia sul mercato turistico internazionale» mentre il 28 e 29 ottobre 2022 si è tenuta a Chianciano Terme la prima Conferenza nazionale programmatica del turismo promossa dal Ministero del turismo, con l’obiettivo di predisporre il nuovo Piano Strategico del turismo 2023-2027.
Il Piano 2017-2022 poneva quattro obiettivi:
Questi obiettivi erano articolati in obiettivi specifici, linee di intervento strategico, azioni. Una delle linee di intervento prevedeva la qualificazione dell’offerta turistica attraverso interventi di riqualificazione come il Parco del Mare di Rimini o il Piano Paesaggistico della regione Toscana. L’impostazione del Piano mostra come il turismo sia un settore trasversale e come le politiche di pianificazione territoriale possano finire per promuovere il turismo.
Ma, proprio perché il turismo è un settore trasversale, è difficile avere un quadro completo delle risorse a esso destinate. La legge di bilancio del 2021 ha assegnato al Ministero del turismo 275 milioni di euro. Il turismo è però competenza anche delle regioni, che finanziano gli enti promozionali regionali i quali, in percentuali variabili di regione in regione, promuovono il turismo e finanziano sé stessi. Inoltre, ogni anno lo stato finanzia l’Agenzia nazionale del turismo (Enit).
Altre risorse provengono da leggi specifiche che istituiscono fondi con una determinata durata e dotazione, come per esempio il fondo per “le imprese esercenti attività di risalita e fune e di innevamento artificiale”. Alcune risorse sono a fondo perduto ma nella maggior parte dei casi si tratta di crediti d’imposta o crediti agevolati per imprese del settore turistico, insomma di sconti fiscali. Questi fondi finanziano sia l’offerta che la domanda di turismo. Altri fondi ancora li gestisce Cassa Depositi e Prestiti. Infine, il turismo beneficia di leggi che finanziano attività non prettamente turistiche, come quelle culturali o per l’innovazione digitale.
Inoltre, a livello di fondi non ordinari, esiste il Piano sviluppo e coesione del Ministero del turismo, istituito a marzo del 2021, che dovrebbe guardare al turismo come strumento di coesione. Il piano ha una dotazione di 46,84 milioni di euro a valere sul Fondo Sviluppo e Coesione (FSC) 2014-2020, il principale strumento finanziario nazionale per contrastare le disuguaglianze, strettamente connesso ai fondi della politica di coesione UE. . La dotazione del fondo finanzia due ambiti tematici “competitività imprese” (45,7 milioni di euro) e “capacità amministrativa” (1,14 milioni). Il piano si compone di cinque iniziative:
Sul sito del Ministero del turismo è possibile approfondire solo due di queste iniziative (la seconda e la quinta), ma nella sezione Notizie si legge che a ottobre dell’anno scorso è stata avviata la prima iniziativa, “Grandi destinazioni per un turismo sostenibile”, con la firma di accordi tra il Ministero e i comuni di Firenze e Venezia; il piano riguarderà anche Milano, Roma e Napoli.
Nel concreto, si legge sul sito, verranno realizzati «suggestivi percorsi urbani immaginati dalle città partner allo scopo di migliorare l’esperienza turistica e di decongestionare i luoghi a rischio di overtourism che potranno godere di grande risalto mediatico anche attraverso il portale Italia.it, sfruttando l’interoperabilità con il Tourism Digital Hub».
L’idea è quella di finanziare nuovi itinerari turistici per decongestionare le aree più note. Ma, secondo alcuni, questa strategia non fa che aumentare i flussi turistici ‘spalmandoli’ anche in aree meno turistiche senza risolvere alla radice il problema dell’overtourism, legato all’aumento incontrollato dell’offerta di posti letto in relazione ai residenti e alla capacità di carico di una destinazione.
Infine, a livello dei comuni il turismo è finanziato con la tassa di soggiorno, pagata dai turisti pernottanti. Dal 2017 al 2020 sei tra le principali città turistiche italiane hanno raccolto oltre 692 milioni di euro. Ma l’utilizzo del contributo non è chiaro. Di più, comuni molto turistici come Firenze hanno finito per diventare dipendenti dalle entrate della tassa di soggiorno, in uno scenario di contrazione dei trasferimenti statali, per finanziare i servizi necessari al consumo di città causato da milioni di visitatori, finendo così per promuovere il turismo, il cui impatto è però sempre più insostenibile. Per questo motivo, c’è chi chiede l’abolizione della tassa di soggiorno.
Gli investimenti nazionali, regionali e locali sul turismo sono finanziati anche con i fondi europei per la politica di coesione: il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e il Fondo sociale europeo (FSE, oggi FSE+). Questi fondi, quantitativamente rilevanti, possono essere usati per promuovere l’attrattività turistica dei territori attraverso il finanziamento di progetti in tre ambiti tematici diversi: Natura, Cultura e Turismo.
Secondo il sito di monitoraggio OpenCoesione, dal 1 gennaio 2007 al 31 agosto 2021, i progetti avviati nei tre ambiti tematici sono stati 29.609, con un costo pubblico di 15,83 miliardi di euro e 8,73 miliardi di pagamenti (pari al 55 per cento delle risorse complessivamente mobilitate).
Il dato rappresenta, in media, l’8 per cento circa di quanto complessivamente finanziato dalla politica di coesione comunitaria e nazionale nei cicli di programmazione 2007-2013 e 2014-2020. Per quanto riguarda i progetti relativi al 2020 sono entrati nel perimetro di osservazione circa 5.500 interventi per un costo totale di 2,8 miliardi di euro – con una prevalenza per il tema Cultura (56 per cento), rispetto a Turismo (33 per cento) e Natura (11 per cento).
Anche il Piano nazionale di ripresa e resilienza, sostenuto dal programma straordinario dell’Unione Europea Next Generation UE, dedica molta attenzione al tema del turismo. La Missione 1, Componente 3 “Cultura e Turismo” prevede investimenti per complessivi 8,1 miliardi di euro (di cui 5,7 miliardi di euro a titolarità del Ministero della Cultura e 2,4 miliardi di euro a titolarità del Ministero del Turismo).
Nel settore del turismo, il Pnrr prevede una riforma (la revisione del codice del turismo) e tre investimenti: «la principale riguarda la creazione di vari fondi volti a sostenere la competitività delle imprese del settore per un valore complessivo di circa 1,8 miliardi. Altri 500 milioni sono stati stanziati invece a supporto di iniziative legate ai grandi eventi. Infine 140 milioni saranno dedicati alla creazione di un portale nazionale dedicato al turismo», sintetizza Openpolis.
Le risorse andranno, ad esempio, a finanziare le azioni finanziate nel programma “Caput Mundi” per i grandi eventi che riguardano interventi di valorizzazione di siti storici e culturali e di “grandi attrattori”, ma anche la tutela e la valorizzazione dei siti minori nonché la rigenerazione delle periferie urbane.
Un altro dei progetti finanziati dal Pnrr sotto la voce turismo e cultura è quello del “Turismo delle radici”, che si inserisce nell’investimento “Attrattività dei borghi”, di competenza del Ministero della cultura, che interpreta la rigenerazione di paesi in via di spopolamento in chiave turistica. L’intervento mira a coinvolgere le comunità italiane all’estero «nella valorizzazione della nostra offerta turistica all’interno di una strategia volto a invertire il processo di depauperamento dei borghi italiani». Un’idea a prima vista sensata che, però, rivela un cortocircuito.
La migrazione dalle aree interne anche verso l’estero è stata alimentata dal decadimento dei servizi e dal contrarsi delle opportunità di lavoro che, a sua volta, è stato causato anche dal dirottamento di risorse dai settori produttivi a quelli turistici. In pratica, quei cittadini che hanno lasciato i loro territori, anche a causa del turismo, oggi dovrebbero ritornarci proprio da turisti.
In conclusione, il turismo di per sé non è un male, anzi. Il punto è come viene gestito e pensato: usare il turismo come una facile scorciatoia per compensare divari e generare economie locali in territori resi fragili da processi di disinvestimento, come una strategia di crescita pigra e a breve termine, non aggiuntiva ma sostitutiva di altri settori, non funziona. L’efficacia stessa dei fondi europei per la coesione è legata alla loro funzione aggiuntiva e non sostitutiva dei fondi nazionali ordinari; i problemi iniziano quando questo principio viene meno.
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