ECO è solo uno dei tasselli del Rinascimento Africano. Il 31 gennaio 2014 l’Unione Africana ha presentato la propria Agenda 2063, un documento programmatico che è oggi quasi un manuale di istruzioni per il Rinascimento di tutte le nazioni del continente: crescita economica e progresso, storia e riconciliazione, opportunità e sfide sociali, politiche e giuridiche. La trasformazione completa del contesto socio-economico nei prossimi 50 anni. E alla base di tutto c’è un solo comandamento: fare le cose all’africana.
L’obiettivo è ambizioso, quello di costruire un continente prospero e integrato, unito politicamente e fondato proprio sugli ideali del panafricanismo e del Rinascimento Africano. Liberismo economico afro? Turbocapitalismo africano? Afro-socialismo realizzato? No, qualcosa di molto più rivoluzionario.
Un altro tassello in questo complesso puzzle è il passaporto unico continentale. Durante il XXVII summit dell’Unione Africana, tenutosi a Kigali, in Ruanda, nel luglio 2016, l’Assemblea Generale ha lanciato un’iniziativa rivoluzionaria per la mobilità delle persone all’interno del continente: l’emissione entro il 2020 di un passaporto unico per i cittadini di tutte e 55 le nazioni africane, che potranno così spostarsi liberamente superando la costosa e noiosa burocrazia. Questo documento garantirà la libera e piena mobilità degli individui, anche per studiare e lavorare. Gli esperimenti e i perfezionamenti sono in corso: la Comunità Economica dell’Africa Orientale (Burundi, Kenya, Rwanda, Tanzania e Uganda) emette già passaporti elettronici con il logo della East African Community, documenti di viaggio validi in Africa ma riconosciuti anche nel resto del mondo.
Nel mondo post-novecentesco non c’è libera circolazione di persone senza libera circolazione di merci e capitali. E così, pochi giorni dopo il vertice di Abuja che ha decretato la nascita di ECO, la prima vera moneta unica africana, il 7 luglio 2019 a Niamey, capitale del Niger, i Capi di Stato dei paesi dell’Unione Africana hanno sancito ufficialmente l’inizio della fase attuativa dell’Accordo commerciale di libero scambio che istituisce l’African Continental Free Trade Area (AFCTA), l’area di libero scambio più grande del mondo. L’obiettivo è abbattere tutti i dazi intra-africani e ogni barriera doganale all’interno dell’Africa: si tratta di un mercato unico per beni e servizi da 1,3 miliardi di persone (con un tasso di crescita unico al mondo) e un PIL combinato che vale 3,3 trilioni di dollari. Mentre dall’altra parte dell’oceano Atlantico Donald Trump impone dazi sui prodotti europei e cinesi, mentre l’Europa impone dazi sulle merci asiatiche e si imbraga con un proliferare di regole commerciali interne spesso contraddittorie, mentre le Nazioni Unite continuano a promuovere dazi e persino embargo nei confronti di nazioni “criminali” come la Russia e la Corea del Nord, in Africa la direzione intrapresa in questo senso è diametralmente opposta e si può riassumere con due parole: riconciliazione e dialogo.
Alla ratifica dell’accordo già 22 nazioni africane avevano aderito entusiaste e nei giorni successivi altre se ne sono aggiunte, come ad esempio l’economia più importante del continente: la Nigeria. Al lancio dell’Area di libero scambio vera e propria già 54 nazioni, Eritrea esclusa, avevano aderito al progetto. Oggi il commercio tra Africa e resto del mondo rappresenta solo il 3% del commercio mondiale mentre il commercio intra-africano è appena del 16%: secondo la Commissione economica delle Nazioni Unite la crescita del commercio interno potrebbe aumentare del 50% nel breve termine.