Turismo, sviluppo e panchine giganti
A Biccari, il turismo è integrato in un disegno di sviluppo locale. Ma nelle aree interne e rurali non è sempre così. Da dove si comincia?
I piccoli Comuni come Biccari affrontano tante difficoltà. Sui Monti Dauni, la Strategia Nazionale Aree Interne li ha spinti a collaborare, anche per usare i fondi di coesione Ue. Ma ora, con il PNRR, è tornata la competizione
Biccari è un paese della Puglia dove, più che in altri luoghi, gli effetti della politica di coesione UE si vedono. Siamo andati a scoprirli con Sarah Gainsforth, tra case in vendita a un euro e boschi multifunzionali
«Un giorno ero in ufficio, ero qui da poco, e sono entrati dei ragazzini con il pallone sotto il braccio. Erano venuti dal sindaco a chiedere se potevano giocare al campetto. Non avrei mai visto questa scena in una grande città» racconta Maria Celeste, segretaria dell’amministrazione comunale di Biccari, paese di 2.700 abitanti nei Monti Dauni, in Puglia. Nei piccoli comuni c’è un rapporto diretto tra istituzioni e popolazione. Celeste fa diversi esempi: una volta, il sindaco di Biccari, Gianfilippo Mignogna, ha fatto l’amministratore di sostegno per un’anziana del paese, occupandosi degli interessi economici e personali della signora, che non era più autonoma.
«Poi c’era quello che litigava con la moglie, usciva di casa a mezzanotte e, per calmarsi, andava dal sindaco. E c’è il signore che, ancora oggi, viene ogni mattina in Comune, aspetta il sindaco e si fa due chiacchiere», racconta la segretaria. «C’è stato un periodo – continua Celeste – in cui il vice sindaco si occupava di un ragazzo che aveva problemi a casa e, tutte le mattine, lo accompagnava al campo sportivo per fargli fare la doccia», che non poteva fare nella sua abitazione.
Oppure, ancora, c’era un altro ragazzo che aveva un problema di dipendenza, ed era in cura al Sert a Lucera, il paese più grande nell’area dei Monti Dauni. «Lui però non poteva andare lì tutte le mattine così, per sei mesi, la puntura di metadone gliel’ho fatta io, in Comune», spiega lo stesso sindaco Mignogna.
Di storie così ce ne sono tante, a Biccari e in tante altre parti d’Italia.
Tutto questo, però, lo Stato non lo vede.
I sindaci e, più in generale, gli eletti nelle amministrazioni locali più periferiche sono i rappresentanti dello Stato più vicini a cittadini e cittadine. A volte, suppliscono anche alle carenze di alcuni servizi, come i servizi sociali che nei comuni più piccoli vengono organizzati in maniera associata tra più amministrazioni per ragioni economiche.
Eppure, per questo, Mignogna e gli altri primi cittadini non vengono premiati. Anzi, sia gli eletti sia i dipendenti di questi piccoli comuni devono affrontare ancora più difficoltà di quelle che toccano ai colleghi di altri comuni, che hanno dimensioni maggiori o si trovano in posizioni geografiche più favorevoli.
Le impiegate del Comune di Biccari, per esempio, portano il lavoro a casa nel fine settimana.
«Gli adempimenti normativi sono necessari, ma è un proliferare», dice sconsolata Celeste, che inizia una lunga lista di sigle e tecnicismi: «il PIAU, il PEG, la relazione di fine mandato, il piano anticorruzione, la performance, il nuovo codice degli appalti da studiare e così via…».
Sono tutte incombenze burocratiche che pesano sulle sue spalle e quelle delle colleghe. L’informatizzazione del lavoro da un lato ha migliorato le cose, spiega Celeste. Dall’altro però ha portato alla moltiplicazione di portali di cui bisogna ogni volta ricordare le credenziali e inserire sempre le stesse informazioni.
«E poi – continua la segretaria – non sai neanche più con chi interloquire…». Le comunicazioni con gli organi dello Stato si limitano a: «‘Questo è il termine, entro tot di giorni devi rispondere, questa è la griglia che mi devi compilare. Qua mi devi mettere questi numeri. Questa percentuale deve tornare’. Punto. Così si perde il senso delle cose, che è dare dei servizi ai cittadini», lamenta Celeste.
La burocrazia è un problema che tocca tutti i comuni, ma che colpisce di più quelli piccoli perché hanno pochi dipendenti. Biccari ne ha 19, che percepiscono stipendi molto bassi. Le tre posizioni più elevate guadagnano tra gli 11mila e i 13mila euro lordi all’anno, mentre i sei dipendenti inquadrati come operai si fermano molto prima.
Il punto, spiega la direttrice del settore finanziario del Comune Tiziana Monaco, è che gli stipendi sono calcolati in base al numero di abitanti e non alle responsabilità. Lo stesso vale per i politici eletti. L’indennizzo del sindaco è di mille euro al mese, quello dei suoi assessori di cento.
«Io ci metto la passione, e accetto anche l’umiliazione di valere solo cento euro al mese per lo Stato, nel caso di un assessore. Ma fino a un certo punto», commenta Mignogna. Il sindaco allude alle cause legali e civili o alle richieste di risarcimento che non di rado coinvolgono gli amministratori. A Biccari, per esempio, qualcuno potrebbe contestare l’assegnazione di uno dei tanti immobili comunali vuoti, di cui abbiamo raccontato nella prima puntata.
«C’è un tema di paura, di retribuzione non commisurata alla responsabilità anche penale, per cui la gente non si candida per amministrare i piccoli comuni», aggiunge Mignogna.
A gennaio 2024 c’è stato un aumento degli stipendi dei sindaci e degli assessori in tutta Italia. Nei piccoli comuni, però, la maggior parte dei primi cittadini svolge comunque un altro mestiere. Quasi tutti i sindaci passati di Biccari erano impiegati nella pubblica amministrazione. «Erano insegnanti, professori. Avevano più tempo e lo stipendio garantito. Io faccio più fatica, sono libero professionista, lavoro il sabato e la sera dopo cena», spiega Mignogna, che è avvocato.
La difficoltà dell’emergere di una nuova classe dirigente, giovane e non necessariamente di ceto medio o alto, è anche legata alle retribuzioni troppo basse, per cui la politica locale finisce per farla solo chi se lo può permettere. La macchina amministrativa di un sistema democratico, però, non può essere basata sul volontariato dei ceti più benestanti. A maggior ragione, se luoghi come Biccari rappresentano una parte importante del nostro paese.
In Italia, i comuni con meno di 5mila abitanti sono il 70 per cento di tutti i comuni e occupano oltre metà del territorio nazionale. Inoltre, il 52 per cento dei comuni è classificato come ‘area interna’ per la lontananza dai servizi essenziali. Eppure per anni sono stati ignorati dalle politiche e da rappresentazioni territoriali concentrate sulla dimensione urbana e metropolitana.
È vero, le città e le economie di agglomerazione offrono vantaggi per la crescita economica, ma i divari produttivi, inizialmente determinati dai processi di industrializzazione concentrati nel Nord-Ovest alla fine dell’Ottocento, poi rafforzati da un sostegno finanziario che ha premiato le città, hanno alimentato i divari civili. Il risultato è che nelle aree interne italiane vive più di un quinto della popolazione italiana che, troppo spesso, è priva dei diritti di cittadinanza.
Il risultato è che un quinto della popolazione italiana che vive nelle aree interne italiane, troppo spesso, è privata dei diritti di cittadinanza.
Le teorie economiche liberiste della fine del secolo scorso hanno sostenuto che il movimento dei fattori di produzione (quindi flussi di capitali e persone) verso le aree dove sarebbero più produttivi, ovvero le città, avrebbe portato alla convergenza dei redditi nelle aree del Paese, annullando i divari. Questo approccio è stato definito spatially-blind (cieco al territorio) e ha guidato anche la politica di coesione europea, mirata a ridurre i divari. Poi, nel 2009, il cosiddetto Rapporto Barca ha introdotto un nuovo approccio alla politica di coesione: un approccio place-based, territoriale, rivolto ai luoghi e alle persone.
Le persone che abitano nelle aree interne del paese, dove la popolazione è rarefatta, dovrebbero infatti godere degli stessi diritti di cittadinanza di chi abita nelle città: beni e servizi fondamentali dovrebbero essere al riparo da logiche di mercato mirate al profitto, ovvero al massimo rendimento del capitale nel breve periodo.
La sanità, la scuola, la mobilità non possono essere subordinati a logiche di profitto perché il mercato non ha interesse a soddisfare una fascia di domanda poco remunerativa. Da questa constatazione, nel 2012, è nata la Strategia nazionale per le aree interne (Snai), voluta proprio da quel Fabrizio Barca che tre anni prima aveva stilato il rapporto sulla politica di coesione Ue e, nel frattempo, era diventato ministro della coesione territoriale del Governo Monti.
La Snai ha selezionato 72 aree interne pilota dove promuovere l’offerta pubblica di servizi per garantire il soddisfacimento dei diritti di cittadinanza e favorire la coesione territoriale.
Tra queste aree, vi sono anche i Monti Dauni.
«I responsabili della Snai sono venuti sul territorio a verificare le esigenze, i problemi, la distanza dai servizi, ci sono stati incontri e visite con le associazioni, con le scuole, e soprattutto con i 29 comuni dell’area. È stato un lavoro lungo. Inizialmente è stato difficile mettere insieme i sindaci, a livello politico, perché sebbene i comuni siano piccoli ogni sindaco ha la sua idea», racconta Adriana Natale del Gruppo di azione locale (Gal) Meridaunia, un’agenzia di sviluppo locale con soci pubblici e privati (come enti locali e imprese) nata per gestire i fondi comunitari per lo sviluppo di aree rurali e marginali.
«Nei Monti Dauni, dovendosi incontrare per forza per definire gli interventi e un piano complessivo, i sindaci hanno imparato, un po’ forzatamente, a condividere una strategia del territorio», prosegue Natale. La strategia d’area dei Monti Dauni, nata grazie alla Snai, si è intitolata “Dalla terra all’uomo” e ha individuato quattro direttrici di sviluppo per il territorio: ambiente e cura dei boschi, scuola e formazione, turismo sostenibile, mobilità e welfare.
La necessità di riequilibrare e rafforzare l’offerta di servizi come la scuola ha prevalso sugli interessi particolari di ogni comune. «È stato un processo difficile, perché lavorare insieme per una strategia comune del territorio non è scontato, ma lentamente è stata costruita insieme una visione condivisa. Uno dei risultati principali della Snai è stato proprio questo: la creazione di un metodo di lavoro, di una governance del territorio, oltre i singoli comuni», conclude l’esponente di Meridaunia.
Il metodo portato dalla Snai è stato replicato per altri programmi e progetti, come quelli per la rigenerazione urbana e la mobilità, per negoziare con la Regione Puglia e ottenere risorse. «I sindaci hanno deciso insieme gli interventi e stabilito le priorità per tutta l’area, quindi anche rinunciando a interventi nei propri comuni a favore di interventi più urgenti in altri», racconta Mignogna.
Complessivamente, su questo territorio, la Snai ha mobilitato risorse per 77 milioni di euro, provenienti soprattutto dal Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e dal Fondo sociale europeo (FSE, oggi FSE+). Questo dato, contenuto nella Relazione Snai del 2020 (l’ultima pubblicata), ha reso i Monti Dauni l’area interna con il maggiore finanziamento dai fondi strutturali europei di tutta Italia. Significa che si è lavorato bene in loco, ma anche che si è inseriti in un contesto positivo.
La Puglia, infatti, è considerata un buon esempio nell’implementazione della politica di coesione e, per quanto riguarda la programmazione 2014-2020 appena conclusa, è la regione che più di tutte ha usato i contributi ad essa destinati.
Ora, sui Monti Dauni e in molte altre aree interne d’Italia, alle risorse della coesione si sono aggiunte quelle del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), anch’esso finanziato da fondi Ue. Ma dopo tanto lavoro per imparare a cooperare, il Pnrr ha distrutto il metodo lasciato dalla Snai.
Il presidente del Gal, Daniele Borrelli, esprime sconforto: «dalla pandemia non abbiamo imparato niente» afferma. Il Pnrr ha infatti messo in competizione i comuni con la logica del bando. La linea A del Bando borghi, per esempio, ha previsto lo stanziamento di 20 milioni di euro per un solo paese in ogni regione. Proprio perché hanno imparato a cooperare con la Snai, i sindaci dei Monti Dauni si sono opposti a questa modalità: hanno scritto alla Regione chiedendo che quei fondi venissero destinati a tutta l’area, e non a un singolo comune. Ma non è stato possibile, racconta Mignogna. Il finanziamento è così andato al solo comune di Accadia, uno dei 29 comuni nei Monti Dauni. La linea B dello stesso Borghi in parte compensa questo squilibrio, finanziando 23 progetti di cui 12 riguardano comuni dei Monti Dauni.
Il problema di fondo, però, resta. Con il Pnrr i comuni partecipano ai bandi singolarmente.
«Così si perde tutto il lavoro fatto in passato», dice Mignogna.
«Ogni comune ha strutturato le stesse proposte, e non c’è più una strategia d’area basata sulle esigenze complessive» spiega il sindaco, che teme mancanza di coordinamento e sovrapposizioni, per esempio nella promozione turistica o nella digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni.
C’è poi il rischio che i comuni partecipano ai bandi a prescindere dall’effettivo bisogno, salvo poi incontrare difficoltà operative nel realizzare i progetti per tempo. «Se per la strategia d’area si entrava nel dettaglio di ogni intervento, nella definizione degli obiettivi, con i bandi del Pnrr bastava presentare un’idea. Non c’è una strategia, non c’è progettualità, non c’è niente», continua sconsolato Mignogna. I comuni, non solo quelli piccoli, rischiano di non riuscire a trasformare le idee in progetti e a realizzarli entro il 2026, anche perché non hanno il personale qualificato per farlo. Soprattutto al Sud.
Le politiche di austerità e il blocco del turnover, insieme alla retorica sugli ‘sprechi’ che ha delegittimato il ruolo del pubblico, hanno prodotto una forte contrazione del personale degli enti territoriali in Italia; tra il 2008 e il 2019 il Mezzogiorno ha perso il 30 per cento dei dipendenti, contro il 20 per cento del Centro-Nord, scrive Gianfranco Viesti in Centri e Periferie, Europa Italia, Mezzogiorno dal XX al XXI secolo (Laterza, 2021). Sempre secondo Viesti, in Puglia, i dipendenti dei comuni sono un terzo di meno rispetto alla media nazionale.
«Spesso il personale nei piccoli comuni non è neanche assunto a tempo pieno, ci sono comuni che hanno personale per un giorno a settimana», conferma Mignogna. Quindi quando ci chiedono di presentare la documentazione entro 30 giorni, il tempo effettivo che abbiamo a disposizione è di 4, 5 giorni al mese. Come si fa?», chiede il sindaco. Il Pnrr ha previsto la possibilità di assumere, ma a tempo determinato e i comuni hanno faticato a trovare le figure professionali ricercate. A Biccari, poi, gli stanziamenti per le assunzioni erano di circa 8mila euro l’anno, troppi pochi per un qualsiasi lavoratore qualificato.
Il quadro complessivo, tra ritorno della competizione, mancanza delle competenze e tempistiche strette, preoccupa seriamente il presidente del Gal Borrelli: «Il rischio è che molti comuni si troveranno in difficoltà. Se un’amministrazione avvia un progetto e inizia i lavori, ma non rispetta le scadenze, in una piccola realtà come la nostra i comuni rischiano seriamente di finire in dissesto».
Dopo anni di indebolimento delle pubbliche amministrazioni, secondo Borrelli, il Pnrr rischia di essere «una bomba lanciata in un sistema che non è pronto».
Foto in apertura: Facciata di un edificio nel comune di Biccari – Foto di Andrea Granatiero
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Biccari è un paese della Puglia dove, più che in altri luoghi, gli effetti della politica di coesione UE si vedono. Siamo andati a scoprirli con Sarah Gainsforth, tra case in vendita a un euro e boschi multifunzionali
A Biccari, il turismo è integrato in un disegno di sviluppo locale. Ma nelle aree interne e rurali non è sempre così. Da dove si comincia?
Il Comune di Biccari ha investito negli spazi pubblici grazie ai fondi di coesione UE. Quindi, ha annunciato la vendita delle abitazioni vuote a un euro.
Come è andata?
La rigenerazione di Biccari, in Puglia, passa anche da una gestione innovativa del suo bosco. «Le foreste – per l’associazione Riabitare l’Italia – sono la più grande infrastruttura verde del paese» E i fondi Ue sono importanti per gestirle.
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