Un bosco 2.0

La rigenerazione di Biccari, in Puglia, passa anche da una gestione innovativa del suo bosco. «Le foreste – per l’associazione Riabitare l’Italia – sono la più grande infrastruttura verde del paese» E i fondi Ue sono importanti per gestirle.

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Biccari è in movimento

Biccari è un paese della Puglia dove, più che in altri luoghi, gli effetti della politica di coesione UE si vedono. Siamo andati a scoprirli con Sarah Gainsforth, tra case in vendita a un euro e boschi multifunzionali

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A Biccari, per lungo tempo, il bosco è stato «una preoccupazione» per i possibili incendi e «una spesa» per la pulizia sporadica. Era un peso. Il sindaco Gianfilippo Mignogna usa il passato perché, oggi, quello spazio è diventato «uno degli elementi centrali per la rigenerazione» di questo comune dei Monti Dauni. 

 

Il bosco di querce e pini di Biccari si estende per 800 ettari alle spalle del paese, salendo verso il lago Pescara e il Monte Cornacchia, il monte più alto della Puglia con i suoi 1151 metri.  

 

«La zona del bosco era in abbandono. Non c’era gestione forestale, non si faceva il taglio, non c’era più manutenzione», ricorda Mignogna. Con la soppressione delle comunità montane, gli enti che si sono occupati dei boschi fino al 2011, le funzioni sono passate ai comuni, «ma senza risorse o personale aggiuntivi» spiega il sindaco. Insieme alle comunità montane (poi sostituite dalle Unioni montane di comuni) era stato soppresso anche il Fondo nazionale montagna, di fatto cancellando le politiche per la montagna, e nel 2016 la forestale è stata assorbita dall’Arma dei Carabinieri. Biccari non aveva personale dedicato alla gestione del bosco: «siamo rimasti con due vigili urbani», aggiunge Mignogna.

 

Il tema non riguarda solo Biccari. Negli ultimi 80 anni la superficie forestale in Italia si è triplicata. Nel 2015 i boschi e le foreste coprivano il 36,4 per cento della superficie nazionale, undici milioni di ettari, con un aumento del 4,9 per cento rispetto al 2005.  L’espansione dei boschi è dovuta soprattutto all’abbandono dei terreni agricoli e dei pascoli nelle aree montane e rurali, dei terrazzamenti e delle opere di idraulica forestale su cui scarseggia la manutenzione, si legge nella relazione per la Strategia Forestale Nazionale, adottata nel 2021.

 

Il processo di espansione dei boschi, continua il documento, non è quindi «frutto di una politica lungimirante di tutela e rinaturalizzazione del territorio, bensì il risultato del progressivo spopolamento e abbandono colturale e gestionale del territorio in particolare delle aree rurali, montane e interne del Paese». 

«Le foreste sono la più grande infrastruttura verde del paese»

Il risultato di questo processo è che, nel 2018, per la prima volta dopo secoli, il territorio nazionale coperto da foreste ha superato quello agricolo: «le foreste sono quindi la più grande infrastruttura verde del paese», scrive in Riabitare l’Italia Davide Pettenella, professore di economia forestale dell’Università di Padova che ha lavorato alla Strategia forestale nazionale. Quasi il 40 per cento dei boschi in Italia è proprietà pubblica, perlopiù dei comuni, ma anche dello Stato e delle regioni, e una quota importante è posseduta da proprietà collettive. Il resto dei boschi, due terzi, è proprietà privata e sconta una frammentazione fondiaria che spesso ne ostacola la gestione. 

 

«All’inizio del mio mandato, nel 2009, siamo partiti con la gestione forestale, con l’attività di forestazione classica, ma anche con nuove tecnologie e  abbiamo incontrato Mario» dice Mignogna, indicando un uomo con barba e baffi bianchi accanto a lui.  «È un boscaiolo 2.0», scherza il sindaco. «Facciamo anche anche 4.0», ribatte Mario, che di cognome fa De Angelis e che, a Biccari, ha contribuito ad innovare la classica gestione forestale. 

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Mario De Angelis a Daunia Avventura, il parco all’interno del bosco di Biccari - Foto di Andrea Granatiero

I primi lavori hanno riguardato la pulizia del sottobosco, il recupero dei sentieri e i primi progetti di taglio controllato per riattivare la filiera del legno. In paese c’è una falegnameria, ma era usata in modo sporadico. «Abbiamo da poco acquistato un capannone con l’idea di avviare una falegnameria sociale, realizzare manufatti e rafforzare la filiera corta», racconta De Angelis. 

 

La falegnameria sociale potrebbe essere un’iniziativa importante a livello locale, ma il tema della filiera corta del legno è rilevante anche a livello nazionale. Nel nostro paese, infatti, i livelli di prelievo di legname sono più bassi della media europea e il 70 per cento della legna tagliata viene usata per fini energetici, viene cioè bruciata in stufe e camini. La quota destinata alla fetta di mercato più ricca, quella del legname industriale, è invece minoritaria. Paradossalmente, l’Italia è il primo importatore mondiale di legna da ardere e il secondo importatore europeo di legname da industria probabilmente di origine illegale.  Secondo Pettenella, è una «posizione poco coerente con la logica delle filiere corte». Se invece, come vogliono fare a Biccari, venissero valorizzate, la dipendenza italiana dalle importazioni potrebbe ridursi. 

Il bosco multifunzionale

«Stando nel bosco, recuperando i sentieri, abbiamo iniziato a capire la sua potenzialità e la sua multifunzionalità», commenta il sindaco Mignogna. La produzione industriale di legname è infatti solo uno dei possibili usi dei boschi, che possono essere gestiti anche con attività ricreative e sportive, culturali e persino terapeutiche.

 

Prima della nuova gestione, il bosco di Biccari era mèta di scampagnate domenicali e picnic festivi. Ma senza un sistema di viabilità adeguato le persone entravano con le automobili dentro il bosco, e il giorno dopo spesso bisognava andare a pulire. «Non c’era nulla di positivo, di economico o sostenibile», riflette oggi Mignogna. Con la riapertura dei sentieri, sono cominciati ad arrivare anche escursionisti e altri visitatori, più amanti e rispettosi della natura. «Il bosco è anche un luogo di divertimento, ma ora è gestito», prosegue il primo cittadino.

 

Da questa gestione sono partiti diversi progetti e attività: un parco avventura con percorsi acrobatici sospesi tra gli alberi, percorsi didattici e laboratori per le scuole, percorsi di abilità, gare di orientamento, bird watching, tiro con l’arco, arrampicata, iniziative per conoscere farfalle e insetti o raccogliere foglie, fiori e frutti. In paese c’è un’area camper, e una parte del bosco è riservata al campeggio. Poi sugli alberi sono comparse delle casette colorate, per dormire nel bosco. «Vengono soprattutto famiglie, ai bambini piace tantissimo», racconta il sindaco. L’anno scorso il parco avventura ha registrato 50mila accessi; il percorso didattico è stato visitato da 3.500 ragazzi e mille persone hanno dormito nelle case sugli alberi. 

 

Il parco avventura è gestito dalla Società Cooperativa agro-forestale ‘Ecol Forest’ rappresentata da De Angelis mentre la Cooperativa di comunità di Biccari si occupa di un chiosco a lago Pescara e di una Bubble room dove si può dormire sotto le stelle. La Ecol Forest dà lavoro a 15 persone, tutto l’anno. La cooperativa, infatti, non paga una concessione dell’area pubblica al Comune, ma garantisce all’amministrazione lavori per un valore di 15mila euro all’anno: la manutenzione del bosco stesso, quella del verde pubblico e quella degli arredi urbani del paese. «Sono interventi che si possono svolgere in inverno quando il parco è chiuso, così i dipendenti del parco lavorano tutto l’anno», racconta il sindaco. 

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Daunia Avventura, il parco all’interno del bosco di Biccari - Foto di Andrea Granatiero
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Le casette sugli alberi dentro il bosco di Biccari - Foto di Andrea Granatiero
«Il bosco è anche un luogo di divertimento, ma ora è gestito»

Le iniziative che ruotano intorno al bosco sono numerose e diverse. «Offriamo ai visitatori la possibilità di prenotare un cesto con i prodotti locali, i salumi, il vino, il pane del forno di Biccari», racconta Mignogna. L’offerta fa parte di un progetto, “Forest for Food”, che promuove il turismo naturalistico ed enogastronomico nei Monti Dauni con l’obiettivo di rafforzare la filiera agroalimentare locale e mettere in rete imprese e comuni della zona.

 

Infine, da poco è partita anche una nuova sperimentazione, quella del “Bosco che cura”. È un progetto di terapia forestale, di silvicoltura sociale per e con ragazzi neurodiversi, ovvero persone con uno sviluppo neurologico differente rispetto alla media della popolazione. «Alcuni dei nostri ragazzi si stanno specializzando per lavorare con persone autistiche, e abbiamo accordi di partenariato con alcune cooperative sociali per fare inclusione lavorativa», spiega De Angelis. «Attualmente abbiamo tre ragazzi autistici assunti che fanno attività di manutenzione del bosco, in base alle proprie capacità, affiancati da un nostro operatore», aggiunge. 

 

Questi progetti nascono dal confronto continuo con la cooperativa di comunità, spiega De Angelis, che sta ricevendo richieste da parte di altri comuni nella zona per gestire le loro porzioni di bosco. A volte gli chiedono perché ha scelto di dedicarsi proprio a Biccari, paese di cui non è originario. «Si tratta delle persone, dei rapporti, delle relazioni, delle idee… Si crea un feeling particolare. Molte volte basta accennare a un’idea, parlarne, per ritrovarsi con un progetto. Lo mettiamo su carta e pian piano inizia a camminare», confida.

Un mix di fondi

I progetti camminano, come dice De Angelis, grazie a un insieme eterogeneo di risorse economiche. Tra queste, come abbiamo visto nella prima puntata, ci sono i fondi per la coesione, sia europei sia nazionali, cruciali per realizzare progetti non solo di manutenzione del territorio, ma anche iniziative culturali e nuovi servizi. All’interno del bosco, per esempio, hanno finanziato il recupero e la valorizzazione di uno dei sentieri, l’evento Natura in Festa, un’iniziativa didattico-culturale, la manutenzione del verde nell’area montana e soprattutto una serie di interventi di mitigazione del rischio idrogeologico a cui questa zona è soggetta, per oltre tre milioni di euro. Il progetto dell’offerta gastronomica, invece, è finanziato con le risorse del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) mentre altre iniziative sono finanziate dalle risorse della stessa cooperativa Ecol Forest. 

 

«È un mix di fondi con cui riusciamo sia a garantire la sostenibilità ma anche ad aumentare il numero di attrattori o di attività che facciamo. Una delle linee che stiamo sviluppando molto è quella dei laboratori, della parte didattica, insieme a quella legata al benessere, e del turismo esperienziale», spiega De Angelis.

 

Tutte queste nuove attività sono il frutto di un’evoluzione della visione del bosco. «Veniamo da una cultura in cui il bosco significa fatica. Mio nonno era boscaiolo, era un lavoro duro», racconta il sindaco. «Dire oggi ai giovani “ritornate nel bosco” non è stato semplice all’inizio: eravamo accusati di cercare un futuro per i ragazzi facendoli tornare al passato. Ma – conclude – non si può essere un paese di bosco, di montagna, senza boscaiolo». Il punto è cosa si intende per boscaiolo. Scoprendo nuove funzioni e modi di fruire del bosco, infatti, anche la figura professionale del boscaiolo si è evoluta, senza per questo smettere di svolgere l’attività classica di forestazione. Non solo a Biccari. 

«Si tratta delle persone, dei rapporti, delle relazioni, delle idee… Si crea un feeling particolare. Molte volte basta accennare a un’idea, parlarne, per ritrovarsi con un progetto. Lo mettiamo su carta e pian piano inizia a camminare»
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Daunia Avventura, il parco all’interno del bosco di Biccari - Foto di Andrea Granatiero

Dopo anni di oblio, i boschi italiani in Italia stanno ricevendo sempre più attenzione. «C’è molto da fare sui boschi soprattutto in virtù dei cambiamenti climatici» spiega De Angelis. 

 

Un cambio di passo c’è stato nel 2017: presso il Ministero dell’agricoltura è stata istituita la Direzione generale delle Foreste (oggi Dipartimento della Politica Agricola Comune e dello Sviluppo Rurale), è stato realizzato un nuovo inventario forestale nazionale e un nuovo sistema informativo per rendere accessibili a tutti i dati sulle foreste italiane. 

 

«Dal Testo unico forestale è nata la Strategia forestale, che però va a rilento, perché la sua applicazione dipende dalle singole regioni», si lamenta De Angelis. Ma ci sono anche altri problemi. «Molte delle aree forestali – continua – sono salvaguardate da leggi e regolamenti comunitari, come quelli della Rete natura 2000. Il problema è che la tutela del bosco non passa solo attraverso la conservazione, ma anche attraverso la gestione, e c’è ancora conflitto tra queste due visioni».

Qui non si tratta di conservare un monumento, impedendo che si rovini o venga modificato. Tutelare un bosco significa gestirlo e quindi considerare le interazioni degli ecosistemi e le specie viventi, inclusa quella umana.

 

In Italia, caso unico in Europa, l’intera superficie forestale è protetta da un vincolo di tutela paesaggistica, e l’87 per cento del territorio forestale è soggetto al vincolo idrogeologico. Se la protezione dei boschi è senza dubbio una cosa positiva, il modo con cui si è scelto di farlo, ovvero con un “controllo passivo”, ha però prodotto conseguenze negative.

 

«Una risorsa che si voleva proteggere è diventata sempre meno in grado di produrre beni materiali, sempre meno oggetto di attenzione da parte dei proprietari, più esposta al rischio dell’invecchiamento e al degrado, e quindi meno in grado di produrre questi servizi ambientali che avevano inizialmente motivato interventi drastici di protezione», ha scritto Pettenella in Riabitare l’Italia. Oltre una politica di controllo rigido, c’è bisogno di un nuovo paradigma “adattativo” per la gestione del patrimonio forestale della montagna, per affrontare i cambiamenti del clima e “per legare la gestione dei boschi alle iniziative locali di sviluppo rurale”, come sta avvenendo sui Monti Dauni. Il patrimonio forestale della montagna, infatti, è anche uno spazio abitato.

 

Il caso di Biccari è esemplare perché più dei due terzi del territorio italiano sono aree in contrazione demografica, considerate marginali. Fino alla metà del Novecento qui la presenza di abitanti ed enti pubblici poi soppressi garantiva la manutenzione e la gestione quotidiana dei boschi. Vi era una relazione di interdipendenza tra abitanti e foreste che con l’abbandono e lo spopolamento è andata persa. E che ora sarebbe importante recuperare proprio per contrastare la crisi climatica. 

Tra turismo esperienziale e servizi ecosistemici

Intanto, nel parco avventura è iniziata la costruzione di un’aula didattica con pareti in vetro che sarà accessibile anche in inverno, quando il parco è chiuso, anche come spazio di lavoro per gli abitanti che lavorano da remoto. Inoltre, la cooperativa di De Angelis ha da poco vinto un bando del Ministero del turismo per la realizzazione di una pista da “Fun Bob” nell’area del bosco, una pista di due chilometri che simula le montagne russe, con servizi annessi.

«All’inizio – riflette De Angelis – mi dava quasi fastidio l’idea della pista. C’è il rischio di andare verso un’offerta troppo consumistica. Ma dobbiamo essere bravi a creare qualcosa che si lega bene con il contesto, creare un’offerta ricreativa che sia compatibile con la tutela del bosco».  

 

Questa consapevolezza dell’importanza della gestione delle risorse naturali sta aumentando anche nelle aree interne, ma si scontra con una realtà economica complicata, con bilanci comunali risicati e un sistema statistico e di contabilità nazionale basato su parametri che ignorano certi elementi. «Lo Stato mi misura sul numero di abitanti e mi dice che valgo poco perché ne ho solo 2.700. Ma io sono anche il sindaco di un milione di alberi. Non conta solo il numero di abitanti, ma anche le risorse che un territorio conserva, gestisce, presidia, salvaguarda», argomenta Mignogna. 

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Daunia Avventura, il parco all’interno del bosco di Biccari - Foto di Andrea Granatiero
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Daunia Avventura, il parco all’interno del bosco di Biccari - Foto di Andrea Granatiero
«All’inizio mi dava quasi fastidio l’idea della pista. C’è il rischio di andare verso un’offerta troppo consumistica. Ma dobbiamo essere bravi a creare qualcosa che si lega bene con il contesto, creare un’offerta ricreativa che sia compatibile con la tutela del bosco»

Troppo spesso i piccoli comuni non hanno le risorse economiche e il personale necessari per gestire bene il loro patrimonio naturale, a volte molto vasto e potenzialmente ricco. É un problema, non solo per loro. 

 

«Se io mantengo tre sorgenti attive, non lo sto facendo solo per Biccari, lo sto facendo anche per la pianura; se mantengo il bosco, evito il dissesto ideologico a valle», continua Mignogna. Quelli fatti dal sindaco sono due esempi di quelli che in termini tecnici vengono definiti funzioni ecosistemiche e servizi ecosistemici.

 

«Le funzioni ecosistemiche – spiega un documento dell’Asvis, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile – sono quelle “azioni indispensabili al fine di regolare gli equilibri degli ecosistemi”: fissazione della CO2, depurazione dell’acqua, trattenimento dei suoli da parte della vegetazione, produzione di biomasse (acqua, cibo, legname), ecc. L’essere umano, in modo diretto o indiretto, utilizza tutto questo spesso in modo inconsapevole, tanto che queste funzioni hanno avuto la necessità di essere classificate e chiamate “Servizi ecosistemici” in relazione al tipo di domanda che viene sviluppata».

 

Le foreste, per esempio, dopo gli oceani, sono i più grandi depositi di carbonio al mondo: contribuiscono a mitigare il cambiamento climatico assorbendo l’anidride carbonica, immagazzinandola nel legno, nelle foglie e nel suolo, rilasciando ossigeno.

 

«La montagna svolge una funzione per la valle», commenta Mignogna; ma le attività e i servizi ecosistemici che i comuni come Biccari svolgono e garantiscono, continua, «oggi non vengono riconosciute o indennizzate, e rischiano di perdersi perché non c’è più chi le fa, perché nelle aree forestali, montane e interne, mancano gli abitanti». 

 

L’offerta di servizi ecosistemici delle zone rurali è influenzata dai processi di trasformazione del suolo, come quelli legati all’urbanizzazione. Al tempo stesso, però, le aree urbane generano una maggiore domanda di servizi ecosistemici per via della concentrazione di popolazione. Questa relazione di interdipendenza ha portato a «rivalutare il legame tra aree urbane e aree rurali e la necessità di considerate il capitale naturale nelle politiche e nelle strategie territoriali», spiega ancora l’Asvis.  

 

Per questo, da qualche tempo si ragiona sul valore economico dei servizi ecosistemici, da riconoscere sotto forma di pagamenti a quei territori che tutelano, salvaguardano e presidiano le risorse a beneficio della collettività. In pratica, l’idea sarebbe pagare il comune di Biccari perché il suo bosco assorbe Co2, trattiene il suolo, depura l’acqua.

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Daunia Avventura, il parco all’interno del bosco di Biccari - Foto di Andrea Granatiero

La questione è complessa e i casi concreti sono ancora pochi, in Finlandia e Croazia, per esempio. 

Le istituzioni europee, però, sono anni che provano a sostenerla. 

 

Nel 2013, l’Unione Europea ha adottato una prima strategia forestale, che proponeva una gestione sostenibile delle foreste e della valorizzazione dei servizi ecosistemici. Dal 2020, nell’ambito della Strategia europea per la biodiversità, poi, si sono iniziati a mappare i servizi ecosistemici, a quantificare la loro domanda e offerta e a valutarli economicamente. 

 

A livello nazionale, anche l’Istat sta lavorando sul tema e nel 2023 è uscito un ebook dedicato a «strumenti e metodi per un’analisi del consumo di risorse e degli ecosistemi». Sempre lo scorso anno, la Commissione Ue ha inserito alcune disposizioni all’avanguardia in materia di servizi ecosistemici anche nelle linee guida che applica per autorizzare gli aiuti pubblici degli stati Ue nei settori agricolo e forestale e nelle zone rurali e, a luglio 2023, ha pubblicato delle Linee guida proprio per lo sviluppo di sistemi di pagamento pubblici e privati per i servizi ecosistemici forestali. Si tratta però di disposizioni e documenti molto recenti, la cui implementazione e valutazione è ancora tutta da capire.

 

Per Biccari, sarebbe importante ragionare in termini di servizi ecosistemici: renderebbe più sostenibile finanziariamente il percorso di rigenerazione territoriale e delle comunità ma soprattutto, allargando lo sguardo, aiuterebbe a superare una visione antropocentrica del territorio, delle politiche che lo governano, e di indicatori come il Pil pro capite che non sono funzionali alla transizione ecologica.

È un discorso che non riguarda solo i Monti Dauni.

 

Ripensare il territorio a partire dalla gestione pubblica delle risorse naturali in tutta Italia sarebbe un esercizio di riequilibrio, di coesione territoriale, di riconoscimento reciproco tra realtà urbane e rurali. Lo pensa così il sindaco Mignogna: «noi siamo consapevoli che i paesi hanno bisogno delle città, ma le città non hanno ancora la consapevolezza che hanno bisogno dei paesi».

In copertina: Dentro il bosco di Biccari – Foto di Andrea Granatiero

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