Ep. 03

La moda del riuso

Perché dovrei comprare vestiti usati quando allo stesso prezzo posso averli nuovi?

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
Dalle nostre serie Serie Giornalistiche
Il diavolo veste cheap

La moda è un’industria e come tutte le industrie ha al suo interno tante anime diverse.

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
Ed eccomi di nuovo con il solito problema: un armadio pieno di vestiti e niente da mettermi.
Carrie Bradshaw, Sex and the City

«Un giorno entra in negozio una signora e mi chiede: “Cosa vendete?”. “Abiti usati e attrezzature per bambini”. “Abiti usati?!? No no, per carità!”, ed è uscita senza nemmeno salutare». Alessandra, commessa con un’esperienza decennale in un negozio dell’usato per bimbi, mi racconta divertita l’aneddoto. Non importa se sulle relle sono appesi vestiti in ottimo stato o ancora con il cartellino: il fatto che siano capi usati per molti consumatori è un deterrente che supera di gran lunga il rispetto per l’ambiente. La diffidenza rispetto all’abbigliamento di seconda mano non è tanto generazionale, quanto una forma mentis difficile da scardinare. Il consumismo sfrenato e il fast fashion ci hanno abituato ad avere tutto, subito e a poco prezzo. Perché dovrei comprare vestiti usati quando allo stesso prezzo posso averli nuovi? È la domanda che mi pone più spesso mia mamma, boomer doc, mentre guarda disgustata i capi usati che compro per me e i miei bambini.

La buona notizia è che lo scetticismo sta lasciando sempre più spazio a una cultura del riuso a 360 gradi. Secondo una ricerca realizzata da GlobalData, società specializzata nell’analisi del settore retail, e diffusi da Cnbc, le vendite del second hand non sono mai state così alte: solo negli Stati Uniti il mercato dell’abbigliamento usato ha raggiunto un valore di 24 miliardi di dollari nel 2018. Il merito va anche a piattaforme online come Depop o Vestiare Collective, dove si può vendere e acquistare capi usati con molta facilità. Il primo è un marketplace in cui la vendita e l’acquisto sono gestiti direttamente dagli utenti, il secondo è una piattaforma di vendita e acquisto di capi vintage e di lusso. O come Armadioverde, una realtà italiana che basa il suo business sull’economia circolare tramite la vendita di capi e accessori usati. Anche Facebook con il suo Market si è dovuto adeguare alla sempre più crescente richiesta di vendita dell’usato, e non parliamo solo di abbigliamento. Insomma, gli interlocutori di questo mercato sono start-up, piccole e grandi aziende, big media e gli stessi consumatori. Sempre più persone hanno abbassato le difese e limitato i pregiudizi, ma è necessario che questa tendenza coinvolga la maggior parte dei consumatori. Perché la fruizione dell’abbigliamento usato è così importante nel 2020? Come funzionano la vendita e l’acquisto del second hand? È proprio di questo che parleremo.

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
Unsplash

Usato è bello (e sostenibile)

Il mercato dell’usato offre molte possibilità, in primis quella di spendere poco (esattamente come la fast fashion), di guadagnare e di ridurre i rifiuti tessili. Quest’ultima è l’azione più importante per contenere gli effetti negativi dei nostri acquisti sull’ambiente. Secondo un rapporto della Ellen McArthur Foundation, nel periodo che va dal 2000 al 2015 la popolazione mondiale è aumentata di un quinto e la produzione di abbigliamento è raddoppiata, soprattutto con l’avvento della fast fashion. Globalmente un capo viene indossato in media tre volte in meno rispetto solo a vent’anni fa. Metà degli italiani compra più abiti del necessario, secondo Greenpeace. Ma non c’è bisogno di una statistica a conferma dell’esperienza empirica: ognuno di noi possiede molti più capi di quanto ne abbia realmente bisogno. E nonostante ciò, continua a comprarne di nuovi. Le conseguenze per l’ambiente e l’uomo sono disastrose: le fibre naturali come il cotone, la lana e il lino si decompongono lentamente. Quando sono abbandonate nelle discariche rilasciano metano, un gas serra con un potenziale di riscaldamento 25 volte superiore all’anidride carbonica. D’altro canto le fibre sintetiche, che derivano dalla plastica, non sono biodegradabili e ci mettono centinaia di anni a decomporsi.

È necessario un cambio di paradigma e pensare ai vestiti come la carta o la plastica che differenziamo ogni giorno. Quando pensiamo alla raccolta differenziata, infatti, pensiamo agli oggetti di uso quotidiano ma non pensiamo che gli indumenti hanno un peso enorme per l’ambiente. Prima di buttarli nei cassonetti o gettarli in discarica, chiediamoci se possano avere una seconda vita: più si allunga la vita di un capo, meno si contribuisce all’inquinamento. È anche una questione etica, dare il giusto valore a un capo significa sfruttarlo e usarlo il più possibile. Pensiamo allo spreco di cibo: il senso comune ci spinge a ridurlo il più possibile, perché buttare il cibo “è peccato” dalla notte dei tempi.

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
Unsplash

Prenditi cura dei tuoi capi

La durata di un capo è strettamente correlata al concetto di sostenibilità. Lo spiega bene Kate Fletcher, in Moda, design e sostenibilità: “I materiali e i prodotti resilienti sono potenzialmente in grado di allungare la vita utile dei prodotti. La maggiore durata ci offre a sua volta maggiori opportunità di sfruttare l’utilità di un prodotto. Se si amplia il potenziale di soddisfazione di capi esistenti, non si sentirà la necessità di acquistarne di nuovi. Si prevengono nuovi consumi, si risparmiano risorse, si riducono gli scarti, si soddisfano le necessità”.

Sebbene alcuni addetti ai lavori sostengano che il mercato dell’abbigliamento usato sia oberato e non possa ampliarsi all’infinito, di fatto rimane uno dei modi più sostenibili per vestirsi. È anche la conclusione di Elizabeth Cline, che sulla moda sostenibile ha scritto due libri: “Indossare ciò che si ha già nell’armadio è il modo più sostenibile di vestirsi”.

Per chi non avesse mai provato a ad acquistare un capo usato ci sono delle regole da cui non si può prescindere. La prima è che ogni tipo di capo deve essere in ottimo stato, pulito e privo di difetti evidenti. Questo aumenterà le possibilità di essere venduto e su molte piattaforme permette di acquisire credibilità come venditori. Come fare per allungare la vita dei propri capi? Con pochi accorgimenti.

  • Lava a basse temperature. Sapevi che l’impronta di carbonio maggiore è data non dalla produzione di un capo ma dalla sua vita? In termini ambientali è molto più impattante il numero di lavaggi e l’asciugatura di un indumento che non la creazione della fibra tessile o la logistica per farlo arrivare nel negozio. L’ideale sarebbe lavare a basse temperature (30°/40°) o a freddo, limitare il numero di lavaggi ed evitare i lavaggi a secco, operazione che richiede l’impiego di prodotti chimici inquinanti e pericolosi per la pelle. Scegliere una lavanderia che abbia processi di lavaggio ecologici è un buon punto di partenza, per dire.
  • Scegli detersivi delicati. Il che significa utilizzare detersivi privi di metalli pesanti, additivi, tensioattivi. Meglio se biodegradabili e naturali. Al bando gli ammorbidenti: contengono sostanze chimiche che creano un filtro protettivo sui capi che va a finire direttamente sull’epidermide. Vedila così: tutto quello che versi nella lavatrice va poi a finire sulla tua pelle e nei mari.
  • Usa un filtro per le microplastiche. I capi sintetici che, ricordiamolo, sono derivati dal petrolio, a ogni lavaggio rilasciano micro plastiche dannose per l’ambiente. Pensa a tutti gli indumenti in poliestere, nylon, acrilico, con paillette, brillantini e stampe che hai nell’armadio. Probabilmente un capo su due che possiedi contiene questi minuscoli pezzi di fibre sintetiche. Cosa sono le micro plastiche? Sono dei piccoli filamenti che bypassano il filtro della lavatrice e finiscono nello scarico. Di micro plastiche è pieno il mondo marino e sono molto più subdole della plastica “normale”, perché non c’è modo di intercettarle: finiscono direttamente nella flora e fauna marina e da lì nella nostra catena alimentare. Il rimedio c’è, e per una volta è semplice ed economico. Esistono due tipologie di filtri, quello da installare direttamente al filtro della lavatrice (per il quale serve l’intervento di un tecnico) e il filtro-sacchetto, una speciale borsa in tessuto dentro cui si mettere i capi durante il lavaggio.
  • Evita l’asciugatrice. Se è la migliore soluzione per praticità, si può dire che sia la peggiore per consumi e impatto ambientale. Oltretutto, l’utilizzo frequente di questo elettrodomestico riduce sensibilmente la vita di un capo, che è sottoposto ad alte temperature e stress delle fibre.
  • Utilizza tutti i capi. Cambiare abiti, indossarli tutti almeno una volta al mese o a stagione riduce l’usura degli stessi. Gli indumenti possono subire l’usura anche stando appesi negli armadi: la pelle e l’ecopelle si crepa e si stacca, la polvere si insinua nelle fibre, la muffa prolifera in ambienti molto umidi, le tarme amano cibarsi delle fibre naturali. Fai girare spesso i tuoi capi, azzarda nuovi abbinamenti, rispolvera le mode passate.
  • Cura i tuoi capi. Significa, banalmente, coccolare i tuoi vestiti. Togliere la lanugine (esistono appositi mini elettrodomestici che lo fanno meravigliosamente), ripassare la pelle con panni e latte detergente, lavare le sneaker a freddo, non appendere i capi alle grucce per troppo tempo, cosicché non prendano pieghe indesiderate. Trattali come se li avessi pagati 10 volte il prezzo del cartellino e come se li dovessi poi regalare alla tua migliore amica.
Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
Unsplash

Come acquistare abbigliamento usato

Oramai esiste un negozio dell’usato in ogni città. Ci sono luoghi dove è più sviluppato il mercato del second-hand, e altri in cui è una realtà commerciale alla stregua dei negozi d’abbigliamento tradizionali. Esistono franchising (che vendono anche online), vere e proprie boutique del vintage, mercatini con intere sezioni dedicate agli accessori e alle scarpe, bancarelle al mercato che vendono abiti usati a 3 euro. Le possibilità sono molteplici e tutte accessibili. Chi non può andare fisicamente in un negozio può acquistare online.

Quando si compra è necessario imparare a sviluppare un occhio esperto: verificare le cuciture, le zip, la silhouette dell’abito, i materiali, eventuali difetti. In generale, la prima cosa da verificare è l’usura, come mi spiega Maddalena, titolare de L’Antina, un negozio di abbigliamento usato di Vigevano: «Il livello di usura incide sia per l’acquirente che per il venditore, anche se il prezzo del capo è basso (e per me l’abbigliamento usato dovrebbe sempre esserlo). Mi capita di esporre in negozio anche articoli con dei piccoli difetti: la micro macchia in una posizione che non dà nessun fastidio, la micro scucitura che però una mano abile può sistemare. In questo caso faccio in modo che il prezzo ne tenga conto, con l’idea che un capo con queste caratteristiche e questi difetti non è detto che abbia già esaurito le proprie possibilità, può essere semplicemente che abbia bisogno di essere adottato da chi è in grado di metterlo a posto».

Perché dare agli abiti una seconda possibilità significa proprio questo, adottare un capo che è stato abbandonato, farlo proprio, amarlo. Per gli amanti dei film d’animazione non può sfuggire il parallelismo con la saga di Toy Story, dove i giocattoli assolvono allo stesso compito dei vestiti: si occupano di consolare, divertire, scaldare i cuori dei bambini a cui appartengono, per poi essere abbandonati nella migliore delle ipotesi in soffitta o in uno scatolone. Spesso però succede che i giocattoli vengano donati, trovati o regalati ad altri bambini, che felici li rendono protagonisti dei loro giochi. E i giocattoli riacquistano vita. Così, in un ciclo infinito e circolare. Esattamente come dovrebbe essere per i vestiti.

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
Unsplash

Dicevamo dell’usura, che è sicuramente il primo difetto per la valutazione di un capo. Come si può valutare la qualità di un articolo quando si compra online? Di base, i marketplace offrono sempre standard qualitativi elevati, ma se ci si accorge di un difetto sostanziale solo all’arrivo della merce si può restituire il capo entro 14 giorni dalla consegna. Non sempre i resi sono gratuiti, va detto.

Altre peculiarità di un buon indumento di seconda mano sono «la composizione del tessuto [un capo 100% lana vale più di uno in acrilico, ndr] e la presenza di difetti evidenti oppure difetti che possono essere sistemati. Poi faccio un ragionamento da negoziante, e quindi mi chiedo se nell’assortimento che già ho possa inserirsi in modo coerente”, mi dice Maddalena. Una valutazione che dovrebbe essere adottata da tutti i consumatori: capire se il capo che si sta acquistando si abbina ai capi che già possediamo o se rispecchia il nostro stile. Quando si parla di acquisti intelligenti, si intende proprio questo. Frenare l’impulso agli acquisti irrazionali o dettati dalla moda del momento.

Quanto conta, invece, il marchio famoso nel second hand? Dipende dal negoziante. In generale, il capo griffato è sempre il più richiesto, anche se il capo in sé non è in ottime condizioni. Anzi, spesso accade che per una borsa Louis Vuitton usata e malconcia si trovi subito un acquirente, per il solo fatto che si tratta di una borsa marchiata Louis Vuitton. «Personalmente non faccio questa distinzione, non guardo le marche: per me l’usato è tutto uguale. Di solito chi viene in negozio per vendere un capo firmato me lo fa notare, immaginando che questo possa essere un valore aggiunto, ma per me non lo è. Quindi da me la marca famosa non ha successo. Però ci sono negozi con sezioni di usato firmato con prezzi più alti. Se uno è abituato a fruire capi di un certo tipo, non è detto che abbia fortuna in tutti i mercati dell’usato». Come mi conferma Maddalena, esistono vari segmenti del mercato second hand. Non tutti i negozi e i mercatini dell’usato sono uguali, serve conoscere il mercato per capire come vendere e comprare meglio. In una parola, serve ottimizzare. Per evitare di buttare sempre più capi nelle discariche, per far girare sempre più abiti, per ridurre gli sprechi.

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
Unsplash

Certo, è quasi un lavoro. Ci vuole tempo per curare e selezionare i capi da vendere, altrettanto per trovare l’abito ideale nel negozio che fa per noi. I vantaggi, tuttavia, sono molteplici:

  • Farai shopping meno spesso e con più soddisfazione.
  • Occorrerà più tempo per i tuoi acquisti, che non saranno più compulsivi ma si trasformeranno in una divertente caccia al tesoro.
  • Troverai chicche incredibili a prezzi decisamente accessibili: capi vintage, abiti a di collezioni a edizione limitata, tessuti durevoli e confortevoli come non ne se producono più.
  • Imparerai a conoscere i tuoi gusti, senza seguire le tendenze, e a crearti così uno stile personale.
  • Acquisterai solo capi unici, che difficilmente troverai addosso a qualcun altro.
  • Il cambio dell’armadio non sarà più un peso. Per vendere meglio è bene rinnovare il guardaroba più volte durante la stessa stagione: è l’unico modo per capire realmente cosa non indossi più e di cosa hai realmente bisogno. In primavera non puoi avere contezza di quanti capi invernali usi e, viceversa, a ottobre tenderai a rimandare il decluttering dei capi estivi a data da destinarsi. Vivi il tuo guardaroba stagione dopo stagione.

Il rischio che anche l’acquisto di abbigliamento usato si trasformi in una mania è reale: il prezzo basso veicola il desiderio di appagamento verso quantità maggiori di capi, fino a che la dopamina non sarà entrata in circolo. A differenza degli acquisti fast fashion, però, non si contribuisce a reimmettere nuovi capi nel sistema lineare (produco-compro-butto) della moda, semmai si incentiva il sistema circolare della stessa.

Una regola che ho trovato molto utile e che mi sono imposta rigidamente, una volta immersa nel mercato del second hand, è questa: un capo venduto per un capo acquistato. L’equazione deve sempre tornare, altrimenti il rischio è di accumulare in modo seriale altri capi che continuerò a non usare. In altre parole, se ho cinque paia di pantaloni e ne indosso solo tre, farò in modo di vendere i due che non uso e acquistarne altri due con delle caratteristiche più in sintonia con i miei gusti. O, semplicemente, della mia taglia. L’idea è quella, se non di ridurre, almeno di pareggiare i capi, cercando di rivendere quelli che non si usano più. E per tutti quegli abiti che non si possono né rivendere né dare in regalo perché usurati o rovinati? Lo vedremo parlando di riciclo, altro tema chiave che riguarda la sostenibilità della moda.

Continua a seguirci
Slow News ti arriva anche via email, da leggere quando e come vuoi...
Iscriviti gratis e scegli quali newsletter vuoi ricevere!
Stai leggendo
Il diavolo veste cheap

La moda è un’industria e come tutte le industrie ha al suo interno tante anime diverse.

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.

Prossimo episodio

Tutti gli episodi

01
02
03
04
05
06
Altri articoli Società