Ep. 07

Arte e controculture

Come sono state usate le sostanze nel mondo dell’arte?

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
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Il lungo viaggio. Storia universale della psichedelia

Non più droghe ma farmaci: l’evoluzione degli psichedelici tra cultura di massa e scienza.

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Un altro ambito fortemente influenzato dall’immaginario lisergico è stato il mondo delle arti plastiche. In questo campo, dove paradossalmente in certi casi l’influenza psichedelica risulta evidente, si è lungamente rimandato (per non dire rimosso) il discorso sul contributo esercitato a partire dagli anni ’60 dalla diffusione delle sostanze psicotrope per scopi ricreativi tra le classi artistiche e intellettuali nordamericane ed europee. Ad affrontarlo in modo originale e organico è stato per la prima volta il critico d’arte del New York Times Ken Johnson, che nel suo Are you Experienced? scioglie l’equivoco che riconosce l’arte psichedelica confinata a quel pugno di artisti che – come Alex Grey, Robert Venosa o Al Held – hanno provato a rappresentarne alcuni elementi esplicitamente ispirati da uno stato di visione alterata dalle sostanze (come i colori particolarmente saturi, i motivi geometrici ricorrenti, i sistemi a griglia o, anche, la mancanza di elementi narrativi nei film di avanguardia). Per Johnson l’influenza della psichedelia va molto più a fondo, fino a diventare addirittura la fonte primaria di gran parte dell’arte nata a partire dagli anni ’60. Il suo è un esame olistico, secondo cui l’espansione della coscienza in quel frangente ha inconsciamente ma profondamente alterato il panorama artistico, creando di fatto il postmodernismo (è una tesi ardita ma è anche l’unica al momento sul piatto). In quel momento, la pervasiva diffusione della psichedelia nel sottobosco artistico statunitense influenzò il modo in cui l’arte visiva veniva prodotta e percepita. Una volta alterato lo Zeitgeist, non era più necessario che questo o quell’artista avesse fatto esperienza diretta delle sostanze, perché, per usare le sue parole «ormai era l’America ad aver preso l’LSD» – rendendo la mutazione parte integrante del nuovo corso internazionale.

Per Johnson da un certo momento in poi diversi artisti, più o meno consapevolmente, hanno condiviso l’idea che lo scopo dell’arte non fosse tanto quello di creare oggetti esteticamente rilevanti ma di fornire esperienze in grado di dialogare con la coscienza degli spettatori. «La cultura psichedelica degli anni ’60 – afferma il critico – riguardava la maggior parte delle stesse aspirazioni dell’arte contemporanea, e divenne per me il fulcro in cui tutte le strade si intersecavano», e ancora «le energie creative e intellettuali che hanno preso vita [in quel momento] stanno ancora alimentando l’immaginazione degli artisti di oggi».

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Pretty Drugthings su Unsplash

Johnson include nella sua analisi artisti dagli approcci diversissimi, e ci dice che in fondo non è così importante sapere se Richard Serra, Fred Tomaselli, Mark Greenwold, Ed Ruscha, Sigmar Polke, David Salle, Cindy Sherman, Sherrie Levine, Lucas Samaras, James Rosenquist, Robert Smithson, Tino Sehgal, Chris Burden, Richard Tuttle, Jeff Koons o Damien Hirst fossero in acido mentre creavano le loro opere, ciò che conta è il salto concettuale che hanno compiuto in un contesto intrinsecamente influenzato dalla psichedelia, ponendo una questione che il critico restituisce così: «In un mondo reale infestato da squali, l’arte può essere un ampio canale per raggiungere una coscienza trascendentale?».

In questa fase storica tuttavia la psichedelia è seriamente relegata nelle retrovie. Un esempio leggendario quanto aderente può essere quello del mitico guru ritiratosi nella scintillante e lisergica Ibiza degli anni ’80 nientemeno che in una grotta, dove produceva illegalmente LSD. Non so quante possibilità abbia questa leggenda di essere vera, quel che è certo è che è verosimile, così per almeno vent’anni devono essersi manifestati gli alfieri della visione, esiliati come Jedi su pianeti esterni della galassia, dove tentavano a fatica di tenere in vita la fiamma di una Forza che pareva destinata a spegnersi per sempre di lì a poco. Da quest’epoca provengono alcuni dei testi più estremi e radicali. Tra questi vanno certamente ricordati PiHKAL (e il suo seguito TiHKAL) di Alexander e Ann Shulgin, usciti rispettivamente nel 1990 e nel 1997. In PiHKAL, volume che nel suo ambito fece epoca, dopo una prima parte autobiografica, nella seconda – che il chimico Alexander Shulgin mise da subito a disposizione in maniera gratuita su Erowid (la più grande banca dati della rete sulle sostanze psicoattive, vero punto di riferimento per tutti quelli che si siano interessati a partire dal 1995 di questi temi) – descrive 179 composti psichedelici (molti dei quali scoperti dallo stesso Shulgin), con tanto di dettagliate istruzioni circa i metodi di sintetizzazione e i dosaggi consigliati.

Un altro personaggio che merita una menzione è certamente Terence McKenna, il naturalista e filosofo statunitense che – data la drasticità degli approcci e la fermezza della vocazione psichedelica – fu indicato dallo stesso Timothy Leary come «il vero Tim Leary». Della sua vasta e dispersiva produzione (fatta in gran parte di conferenze, molte delle quali presenti su YouTube, grazie alle quali si deve probabilmente gran parte della sua fama al giorno d’oggi), va ricordato almeno il testo più audace: Il cibo degli Dei, del 1992 (e per la cui più recente edizione italiana ho avuto l’onore di scrivere la prefazione). Un libro ardito, ricco di spunti e misurato, dal taglio raffinatamente antropologico, in cui McKenna, dopo aver condotto un’appassionante indagine sulle sostanze psicotrope usate dalle popolazioni più diverse nel corso dei millenni, espone una teoria che – pur essendo indimostrabile e balzana – prova a spiegare in modo originale la dinamica alla base di uno dei più grandi interrogativi della storia scientifica: la rapidità dell’evoluzione del cervello nella specie sapiens.

Riflettendo sul corso seguito dall’evoluzione umana, alcuni studiosi hanno messo in discussione lo scenario presentatoci dagli antropologi fisici. L’evoluzione negli animali superiori richiede tempi lunghissimi […]. Alla fine di questi tre milioni di anni – anni davvero sbalorditivi per quanto riguarda l’evoluzione della specie – le dimensioni del cervello umano si erano triplicate! Lumsden e Wilson ne parlano come «il progresso più rapido mai verificatosi per qualsiasi organo complesso in tutta la storia della vita» […]. La mia ipotesi è che i composti chimici mutageni e psicoattivi presenti nella dieta dei primi umani esercitarono un’influenza diretta sulla rapida riorganizzazione della capacità del cervello di elaborare le informazioni […] contribuendo così all’improvvisa espansione della massa cerebrale.
Terence McKenna
Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
Terence McKenna, Medium

In questa fase anche in Italia il discorso psichedelico è confinato nell’underground controculturale. A tenerlo in vita negli anni ’80 furono soprattutto alcune pubblicazioni di area antagonista e punk, a partire da quelle di Stampa Alternativa di Marcello Baraghini, la alternative press romana attiva sin dal 1970 (che conobbe una grandissima diffusione grazie all’idea della collana Millelire), i cui opuscoli come LSD. I miei incontri con Huxley, Leary, Junger, Vogt di Albert Hofmann, o Il fungo magico di Tom Robbins, sono stati per diverso tempo tra i pochissimi vettori capaci di veicolare informazioni sulla cultura psichedelica nel nostro Paese. Il tema era infatti totalmente respinto dall’editoria mainstream e dalla stampa nazionale, in un momento in cui le morti causate dall’eroina rendevano qualunque dibattito sulla «droga» semplicemente impossibile. Un lavoro parallelo e per certi versi analogo è quello della Shake Edizioni, che dal 1987 pubblica a Milano libri su tematiche che spaziano dagli psichedelici, alla Beat Generation, passando per il punk, il cyberfemminismo e la rave culture. In questo contesto non si possono non ricordare i dodici numeri della rivista della stessa Shake, «Decoder», il cui approccio cyberpunk non disdegnava incursioni nella psichedelia. Nella seconda metà degli anni ’80 è da registrare anche l’inizio del grande e raffinato lavoro di ricercatore autodidatta di Giorgio Samorini, una figura di spicco a livello internazionale per la versatilità e l’accuratezza dei suoi oggetti di studio, tra questi: le pitture rupestri nel Tassili n’Ajjer, in Algeria, in cui la presenza di funghi psicoattivi veniva messa in relazione alla presenza di un culto sacro; il culto religioso dei Bwiti, incentrato sull’impiego dell’iboga; l’importanza dei funghi e delle piante psicoattive nell’Europa antica e medievale; fino ad arrivare al volume Animali che si drogano, uscito proprio per Shake.

Lo stesso Samorini fu nel 1990 tra i fondatori della Società Italiana per lo Studio degli Stati di Coscienza (anche nota come SISSC), probabilmente l’organizzazione più attiva per oltre un decennio sullo studio delle sostanze psicotrope nel nostro paese, e a cui si deve l’ideazione e la pubblicazione della rivista «Altrove». Qualche accenno psichedelico riusciva a fare breccia anche nella cultura mainstream, capitava di solito attraverso la musica, dove affioravano nei testi di alcune canzoni, come per esempio in quelle di Franco Battiato, nella cui Shock In My Town, del 1999, viene citata espressamente la mescalina (e può meritarsi almeno una citazione tra parentesi il gruppo di musica demenziale di Lillo e Greg – molto seguito a Roma negli anni Novanta – che si chiamava, piuttosto eloquentemente, Latte e i Suoi Derivati).

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