Ep. 05

Non è (mai stato) un paese per veri editori

Ci avviciniamo alla verità: il problema, prima di Amazon, è l’industria editoriale italiana

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.
Dalle nostre serie Serie Giornalistiche
Piuttosto mi Amazon

La crisi delle librerie indipendenti è veramente tutta colpa di Amazon?

Slow News. Il primo progetto italiano di slow journalism.

«Ci sono editori che nella composizione del loro fatturato hanno già il 70 per cento che arriva da lì.»
«Mi stai dicendo che ci sono già editori il cui primo cliente è Amazon?»
«Eh, certo…»
«Mi puoi fare dei nomi?»
«No, no-no… ehehe, no…»

La voce che esce dal computer è quella di Mauro, un nome finto dietro cui si cela una persona di poco più di 40 anni che lavora per Messaggerie da diversi anni e e che in passato ha lavorato a lungo per una grande casa editrice, una delle Big 4. Dopo che Federico mi ha messo sulla pista della distribuzione, ho cercato qualcuno che me ne potesse (e me ne volesse) parlare e, alla fine, qualcuno l’ho trovato.

«Attenzione, però», continua Mauro, «non c’è nessuno scandalo, né nessuno scoop. Ci sono editori che addirittura possono anche essere inconsapevoli di questa cosa. I piccoli non hanno tanto tempo di studiare e si affidano completamente alla distribuzione e alla promozione. Vedono i loro report, certo, non sono completamente ingenui, ma non hanno al loro interno delle figure gestionali che leggono questi dati. L’editoria specializzata, soprattutto la non fiction specializzata, ha già Amazon come cliente principale».

A pensarci bene quel che mi racconta Mauro mi pare normale. Ci sono dei libri e delle pubblicazioni che, negli anni, sono effettivamente scomparsi dalle librerie. Un piccolo esempio, tra tanti? Il settore musicale — gli spartiti per basso che da ragazzino andavo a comprare in Feltrinelli non li trovi più in libreria. È tutto su Amazon. «Soprattutto è il caso dei libri che hanno la cosiddetta coda lunga», aggiunge Mauro, «libri che i librai indipendenti, ma anche di catena, non hanno risorse per tenere in magazzino e quindi in catalogo, nemmeno se l’editore glieli desse in deposito li terrebbero, sarebbe anti economico, ormai è rimasto Amazon per questo e alla fine, se posso dire la mia, per me va bene così».

Aggiunge un’altra cosa, Mauro, ovvero che, da quando il mercato online ha preso sempre più peso, gli editori indipendenti hanno avuto più spazio. «Amazon è un canale molto costoso», dice, «ma rappresenta un canale di vendite aggiuntive che negli ultimi vent’anni cominciavano a diminuire. È evidente che ai grandi gruppi fa paura questa dinamica. È per questo che sono anni che rimangono conservatori al massimo, rimangono le solite 4 famiglie, con le loro cose, si allargano se possono e si dividono un po’ il mercato facendo finta di farsi la guerra tra di loro.»

Ai grandi capitani coraggiosi dell’imprenditoria italiana terrorizza il vero capitalismo, quello con la A maiuscola? sembra proprio di sì.

Che per la piccola editoria Amazon sia una fonte di introiti tutto sommato importante è un dettaglio interessante e che non mi aspettavo. Gli editori lo sanno, dice Mauro, ma si scontrano con la paura di un player così grande e così forte.

La strategia degli sconti riguarda i promotori, gli editori e le librerie. Il grado di intrusione del marketing nel catalogo di una libreria varia a seconda del suo grado di indipendenza da un editore. Da una parte ci sono gli indipendenti puri, che si trovano come a un tavolo del mercato nero a ordinare merce che sperano di vendere insieme a merce che sanno di non poter vendere ma che devono comprare per ottenere uno sconto maggiore. L’abbiamo visto, non è molto diverso dal mercato del pesce.

Dall’altra ci sono i punti vendita legati a una delle quattro catene a filiera totale, le quattro che si dividono il 60 per cento del mercato. Sulle loro insegne c’è scritto Mondadori, Punto Einaudi, Feltrinelli, Feltrinelli RED, Giunti al punto e Ubik, per esempio. Il catalogo di questi punti vendita è gestito con un gradiente di intrusione crescente: dal franchising Ubik, che corteggia il mondo delle indipendenti dando più libertà, fino alle Giunti al punto, il cui catalogo è gestito da una sede centrale e in cui gli agenti che non siano Giunti non entrano nemmeno. Anche alle Feltrinelli, se in quelle di una volta il direttore si trovava a discutere con i promotori come abbiamo visto fare al collega di Alfredo, ora non è più così. Ci sono scatole da scartare e, più sono, più il mercato gira.

C’è un’immagine che rappresenta bene tutto ciò: un giocoliere che tiene in aria molte più palline di quanto sia in grado di tenere in mano se fossero ferme. E se lo può fare, lo può fare solo perché quelle palline sono in movimento. È un’illusione. E funziona fino a quando il giocoliere riesce a giocolare.

«Il ciclo della resa funziona così», mi spiega gracchiando dal computer la voce di Mauro via Skype: «È un ciclo continuo in cui io continuo a fatturare alla libreria e la libreria continua a fatturare a me (la resa è un documento di accredito da parte del distributore al cliente finale, ma è come se fosse il cliente finale a fatturare all’editore). La fatturazione dal distributore al libraio è settimanale. Un libraio che ha un conto aperto coi grandi gruppi, metti Messaggerie e Mondadori-Rizzoli, riceve almeno due fatture distinte ogni settimana, perché ogni settimana escono delle novità. Questo va a creare un debito che viene pagato a 60 o a 90 giorni, ma nel frattempo quei libri il libraio può renderli. Ma ora che la bolla di resa arriva al magazzino, viene aperta e contabilizzata, di fatto la partita contabile resta sempre a aperta e quei resi non significheranno un rimborso economico, ma probabilmente uno sconto sulla nota del mese. Volendo rimanere neutri, è un sistema difficile da gestire. Volendo formulare un giudizio a caldo: è come una corda per l’impiccato. È un mercato dove vengono prodotte un numero eccessivo di novità all’anno. È un continuo. È una bolla. È un giocoliere che fa girare le sue mille palline in aria.

La domanda mi viene è spontanea: «Perché si produce così tanto?»
«I grandi producono tanto perché continuare a produrre ti consente almeno sul piano dei ricavi, di essere coerente con il budget annuale».

«Che cosa vuol dire?»
«Il motivo per cui iper producono è questo. Se hai un budget di 100 e sei sotto, l’unico modo è metterci una novità, che in prima battuta fatturerà le copie che decidi tu, 2-3-5-10-20-30mila copie, quello che serve. Non importa se poi torneranno indietro, ma tanto torna indietro almeno sei mesi dopo, tu intanto quei fatturati li hai fatti. In Mondadori fino a pochi anni fa si producevano — solo il marchio, non il gruppo — più di mille titoli all’anno. Significa produrre anche libri che perdono soldi. Negli ultimi anni bisogna dire che un lavoro è stato fatto anche dalla stessa Mondadori per ridurre e sfoltire su quel fronte. Meglio perdere gli anticipi già dati che perdere altri soldi».

«Quindi il vantaggio di buttare in campo novità è che la prima vendita la fatturi tutta?»
«Ma certo! L’editore organizza la sua produzione annuale, e stabilisce di fare che ne so, 50 novità, che vengono messe a calendario divise per giri di vendita, tipo in 5 giri, 10 per giro. Adesso è in corso un giro vendita di novità che andranno in libreria tra qualche mese. Io agente promotore raccolgo le prenotazioni, le inserisco in un sistema e quando le copie vengono consegnate, queste verranno spedite ai librai. La fattura viene emessa quando il libro arriva alle librerie e se tu hai 200 librerie di proprietà e gli fai arrivare 10 copie a ciascuna, hai fatturato 2000 copie».

I grossi, soprattutto Mondadori, puntualizza Mauro, avevano questa fama, ma ora il mercato è cambiato, ci sono stati anni in cui Mondadori puntava molto su questa forza di produrre e buttare fuori, occupare spazio fuori, ma non è più così.

C’è una cosa che mi sono appuntato dall’inizio e che devo assolutamente chiedere a Mauro. La fideiussione della libreria Paravia. Quella operazione bancaria che serve per lasciare sospeso un pagamento a garanzia di un’altra cosa che veniva nominato nell’ultimo post della libreria torinese.

«Di cosa si tratta?»
«Non è niente di inquietante o illegale, è normale quando il distributore chiede alla libreria di aprire un conto. Se devi diventare cliente di qualcuno gli dai una garanzia. Ed è normale che i distributori chiedano una fideiussione (ma potrebbe anche essere un semplice assegno) con una somma di garanzia nel caso la libreria in questione diventasse insolvente. Secondo me in quel post parlano o di Mondadori o di Messaggerie».

«Ma perché hanno impostato il mercato su premesse tanto folli?»
«Io ho una teoria, ed è basata su parecchi anni di frequentazione di questo mondo. Il decadimento di questa parte di vendita al dettaglio è iniziato parecchi anni fa, quando l’online valeva ancora il 3 o il 4 per cento del mercato. Eppure, già allora si metteva in testa ai lettori e ai librai che la colpa era di Amazon, ma seppur Amazon sia realmente un problema, la colpa primaria non è sua. È che la distribuzione in Italia è anomala. È il fatto che gli editori posseggano i retail. Quello è l’anello che non tiene. Che Mondadori abbia 600 punti vendita che sono sfogo di tutta la sua produzione e che perdono soldi. Perché perdono soldi. Il retail Mondadori va malissimo, è sempre andato male. Se vai a vedere il conto di una grande libreria, di sicuro vedrai che perde soldi».

Nel retail di proprietà si realizza e si compie in modo definitivo la follia dell’editoria pensata in questo modo. Io, editore, continuo a produrre, lo continuo a fare perché così faccio ricavi, perché ogni libro è un tentativo. Solo che se non hai una risposta di mercato, ma hai una risposta condizionata dal fatto che tanto il retail è tuo, è come se tu non producessi per il mercato veramente, ma producessi solo per te.

Per non parlare del fatto che in quelle librerie si è smesso di fare il mestiere del libraio. E non è difficile da capire. Basta parlare con chi il libraio lo fa veramente. Ci sono libra di catena che ormai sono sostanzialmente dei commessi. Chiunque di noi se ne rende conto entrando in una Feltrinelli o in una Mondadori qualsiasi

In quello che scrivo riecheggiano le parole di Mauro, di Maddalena, di Alfredo, di altre decine di librai con cui ho parlato negli ultimi mesi. Il punto è che è tutto di poche famiglie. Anche nella distribuzione. Sono sempre le stesse, gli stessi gruppi. E a seconda del momento, ogni gruppo fa delle scelte che convengono solo a se stesso, come l’iniziativa dei 9.90 due libri di Feltrinelli, che conviene solo all’editore, non certo alle librerie.

«Se vuoi una risposta concisa, per chiudere l’articolo, ti dico che penso che sia il retail di proprietà che non ha mai dato una risposta realmente di mercato libero alla fruizione del libro, o ha smesso di darla molto tempo fa. Ha dato una risposta totalitaria. Il sistema è tale per fare in modo che la distribuzione e la vendita non siano in un contesto di mercato libero. Perché le concentrazioni sono troppe, e vanno dall’editore, alla distribuzione, al retail, persino agli store online. E sai che ti dico? Ok, avete tutto? Non c’è problema. Ma ammettete che Amazon è l’unico che ragiona solo per il profitto e che voi state in piedi per rendite di posizione». La voce di Mauro è ferma, come la presa sull’elsa di una spada che deve arrivare al cuore.

Siamo vicini al cuore della questione, la scena del crimine si riaccende di colpo, come su un palcoscenico a teatro di colpo illuminato a giorno.

Se tutti gli addetti ai lavori dicono che in realtà Amazon non è il motivo che mette in difficoltà il settore, se addirittura ci sono editori che fatturano a Amazon il 70 per cento di quel che vendono, ma allora perché Amazon è diventato lo spauracchio del settore. Perché Sonia Calarco, intervistata dopo la chiusura della sua libreria, ha detto: «È colpa di Amazon»? Perché di queste cose non si discute? Perché il dibattito è diventato pro o contro Amazon e non si è mai messa in discussione una struttura di potere economico fondata sul proprio stesso potere, su una posizione di forza costruita e coltivata per decenni? La riposta me la dà Mauro: «Non se ne discute proprio per la conformazione che ha: è un mondo piccolo, e se lavori per certi gruppi non sei così libero di raccontare queste cose e quindi alla fine si lascia sempre perdere».

Amazon è il capitalismo vero. È l’imperatore. La vecchia struttura industriale dell’editoria italiana a confronto è un piccolo nobile ancien regime, latifondista, che campa grazie a rendite di posizione difese ad ogni costo. È una classe che si racconta come la classe imprenditoriale che ha fatto l’Italia con le sue mani, ma se ora ha una paura folle di Amazon, non è perché metta in pericolo l’arte, la cultura o i diritti dei suoi lavoratori. Ha paura perché Amazon è prima di tutto il loro mostro finale e ora che è entrato nella partita della distribuzione all’ingrosso dei libri in Italia li potrebbe spazzare via.

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