Ep. 03

Il simbolo della lotta

«La lotta e la dignità di Mina e Piergiorgio Welby sono state fondamentali per questo Paese»

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Quando morirò

In Italia il Parlamento non si è mai espresso sulla normativa riguardo l’eutanasia, nonostante sia stato chiamato più volte a farlo.

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«La lotta e la dignità di Mina e Piergiorgio Welby sono state fondamentali per questo Paese» spiega Matteo Mainardi, dal 2013 coordinatore della campagna Eutanasia Legale promossa da Radicali Italiani e Associazione Luca Coscioni. Il lavoro corale del suo team ha portato a una recente svolta nella raccolta firme organizzata in tutta Italia. «Ho visto Mina che nonostante l’età e gli acciacchi era lì a volantinare, a fermare le persone, a informarle. È il simbolo della nostra lotta».

Al termine del periodo utile (conclusosi il 30 settembre 2021),  la campagna per legalizzare l’eutanasia ha raccolto più di 1,2 milioni di firme, di cui circa un terzo online. L’obiettivo era raccoglierne almeno 500mila per poter indire un referendum popolare volto alla depenalizzazione di un reato oggi noto come “omicidio del consenziente” e che prevede pene tra i 6 e i 15 anni di carcere.

«Il referendum ci è sembrata la strada più pragmatica per chiedere un intervento richiesto da quasi quarant’anni»
Matteo Mainardi

La storia infinita

In Italia la prima proposta di legge sul tema dell’eutanasia fu depositata nel 1984. Il primo firmatario era Loris Fortuna. Di fortuna, però, quella proposta ne ebbe poca. Né in quell’anno né nei 25 anni successivi il dibattito parlamentare italiano sull’eutanasia assunse infatti toni concreti. L’unico segno di vita arrivò nel 2010 con l’approvazione di una legge sulle cure palliative, che ancora oggi sancisce il diritto alla terapia del dolore e alle cure palliative «in ogni fase della vita e per qualunque patologia ad andamento cronico ed evolutivo, per le quali non esistono terapie o, se vi sono, risultano inadeguate ai fini della stabilizzazione della malattia».

La legge definisce come cure palliative l’insieme di cure e trattamenti volti alla riduzione e al contenimento del dolore causato dal progredire di una certa malattia. A dieci anni dalla prima legge si è sviluppata una progressiva attenzione al tema. Alcune delle principali università italiane hanno master o corsi di laurea sul tema e una quota sempre maggiore di personale sanitario specializzato in questo settore.

Qualcosa di simile è avvenuto negli ultimi decenni anche nei Paesi Bassi, dove oggi esiste un ampio catalogo di cure possibili anche per i neonati. Accanto al Protocollo di Groningen, infatti, il team del Professor Verhagen ha anche investito sulle cure palliative, che contribuiscono ad un sostanziale miglioramento della vita dei piccoli pazienti e dei loro genitori.

Inoltre, nel 2017 l’Italia si è dotata di una legge sul testamento biologico. Il testo – che è lo stesso che ha introdotto il concetto di consenso informato – dà diritto a tutti i maggiorenni capaci di intendere e di volere di rifiutare un eventuale trattamento medico in caso di futura incapacità di intendere e volere. Il riferimento in particolare è a trattamenti come l’alimentazione o l’idratazione ufficiale.​​​​​​​

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Matteo Mainardi, Mina Welby e Rocco Berardo durante la raccolta firme per la campagna Eutanasia Legale

Mario nel buco nero

Tuttavia ad oggi non esistono regole né in tema di suicidio assistito né di eutanasia. Nel 2019 la Corte costituzionale ha detto che il divieto di aiuto al suicidio contenuto nel Codice penale italiano non è costituzionale nei casi in cui l’aiuto viene fornito a una persona le cui condizioni siano state accertate da una struttura pubblica. Prima di poter procedere all’aiuto occorre anche un parere del comitato etico.

«Le procedure però sono così complesse che ad oggi è successo solo una volta che il comitato desse l’ok» spiega Mainardi. In assenza di una legge e di un database nazionale, non esiste un meccanismo chiaro e i tempi di attesa sono lunghi, fino a due mesi. Nella maggior parte dei casi il richiedente muore prima che la sua richiesta venga analizzata.

L’unico caso di cui parla Mainardi è quello di Mario, nome di fantasia di un 42enne che secondo il Tribunale di Ancona ha i requisiti per poter accedere all’aiuto al suicidio. La sentenza è arrivata a giugno 2021 e ordinava al comitato etico della Asl marchigiana di valutare le condizioni del paziente. Nonostante ciò, lo stesso tribunale ha sostenuto che Mario non avrebbe il diritto a «ottenere la collaborazione dei sanitari nell’attuare la sua decisione di porre fine alla propria esistenza». Secondo l’Associazione Luca Coscioni, questa pronuncia «disconosce la sentenza della Consulta sul caso Cappato», il radicale italiano assolto dall’accusa di aver aiutato Dj Fabo a morire in Svizzera.

A novembre 2021 è arrivato l’ok anche da parte del comitato etico. Ma Mario è ancora vivo e ancora soffre perché l’Asl ha sollevato dubbi sulle modalità e sulla metodica del farmaco in questione, rimandando di nuovo la questione al tribunale. Una trappola burocratica, come l’ha definita Marco Cappato.

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Marco Cappato in aula durante un interrogatorio del processo sulla morte di Dj Fabo

Il viaggio in Svizzera

Inoltre in Italia non esiste neanche una legge sull’eutanasia, che a differenza del suicidio assistito prevede che sia il medico (e non il paziente) a somministrare un mix di farmaci letale o a spegnere le macchine. Al momento Lussemburgo, Paesi Bassi e Belgio sono gli unici paesi in cui l’eutanasia è legale in Europa, mentre il suicidio assistito è normato anche in Svizzera, Germania, Austria e Finlandia.

Tra tutti i Paesi, la Svizzera è l’unico che concede l’accesso a tali pratiche anche a cittadini stranieri. È il motivo per cui alcuni italiani superano le Alpi per porre fine alla propria vita. Una delle storie più note è quella di Dj Fabo, all’anagrafe Fabiano Antoniani, rimasto cieco e tetraplegico dopo un incidente in moto.

Accanto a Dj Fabo ci sono molte altre storie. Già nel 2017 l’Associazione Coscioni affermava che un italiano al giorno va in Svizzera per ottenere l’eutanasia e sosteneva di ricevere più di una richiesta di aiuto al giorno.

Ma in assenza di una legge, accompagnare qualcuno in Svizzera potrebbe essere un reato. Per dimostrare l’assurdità del sistema e obbligare i tribunali ad esprimersi, l’ex eurodeputato radicale Marco Cappato ha deciso di aiutare Dj Fabo e di autodenunciarsi per il reato di aiuto al suicidio, per il quale sono previste condanne tra i cinque e i dodici anni. Grazie a Cappato a partire dal 2019 la Corte costituzionale ha affermato che non è punibile per aiuto al suicidio chi aiuta una persona tenuta in vita artificialmente.

Inoltre lo scorso 9 dicembre è stato approvato il testo unico sul suicidio assistito, che è approdato per la discussione alla Camera dei deputati il 13 dicembre. Il testo – composto da 8 articoli – dà seguito alla sentenza della Corte costituzionale e ordina una sorta di sanatoria per tutti i casi di morte volontaria medicalmente assistita avvenuti prima dell’approvazione del testo.

«Una legge sull’eutanasia farebbe chiarezza e darebbe speranza a chi soffre» spiega Matteo Mainardi, aggiungendo che «si darebbe più scelta ai malati, più sollievo ai parenti e più garanzie ai medici, che a quel punto potrebbero operare all’interno di un contesto normativo chiaro». Al momento infatti il quadro è retto solo da sentenze e non da leggi, e il contesto in cui operano i medici è opaco.

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Mina e Piergiorgio Welby. Foto: Associazione Luca Coscioni

«Io penso che la politica sia restia ad esprimersi» dice Mina Welby. «È una questione di ritardo nei confronti della società. C’è paura dell’opinione della Chiesa e di alcuni gruppi conservatori, anche se in realtà sempre più cattolici e sempre più conservatori hanno capito che questa è una battaglia di civiltà che non c’entra niente con la destra o con la sinistra. C’entra solo con la dignità dell’essere umano».

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